La vitamina C gode di uno status di superstar tra i nutrienti che consumiamo ogni giorno e si contende con la D il titolo di regina delle vitamine. Vediamo quali sono le sue funzioni, i benefici per la salute, i cibi in cui trovarla e i problemi legati ad un possibile abuso, cercando di separare la leggenda dalla realtà scientifica.
“Hai il raffredore? Prenditi una bella dose di vitamina C!” Quante volte avete sentito ripetere questa frase? E quante volte avete sentito tessere le lodi della vitamina C come il più efficace tra gli antiossidanti? Non passa giorno senza che sui media compaia una nuova storia che esalta i miracolosi benefici per la salute legati al consumo di cibi ricchi o, come ormai capita più di frequente, all’integrazione di vitamina C. Un composto per tutte le stagioni che si è ritagliato un suo posto nella cultura popolare che, tutto sommato, poco corrisponde al suo effettivo ruolo nel nostro organismo.
Come ricordato dal ricercatore Tom Kirkwood in una interessante lezione per la BBC [1], l’azione della vitamina C, in fondo è una soltanto:
Quando una molecola di vitamina C incontra un radicale libero, si ossida neutralizzando così il radicale. La vitamina C ossidata vien a sua volta riconvertita al proprio stato iniziale per azione enzimatica. In pratica la vitamina C è come un pugile che entra nel ring, prende un bel gancio alla mascella, si ritira nell’angolo per recuperare e ricomincia da capo la propria lotta.
Tutto vero, ma riduttivo. L’azione specifica della vitamina C è quella di donare un elettrone, ma l’effetto reale di questa azione dipende in larga misura dalla situazione in cui questa sostanza è chiamata ad agire: il risultato finale può essere estremamente positivo, come avviene nella maggior parte dei casi, ma in specifiche situazioni può arrivare a determinare qualche problema per il nostro organismo.
La lunga storia della vitamina C
La carenza prolungata di vitamina C provoca una malattia che per noi è poco più di un vaghissimo ricordo, lo scorbuto, ma che un tempo è stata una piaga temutissima soprattutto tra chi doveva compiere lunghi viaggi per mare. Tra il 1500 e il 1700 non era inusuale che la ciurma dei velieri impegnati nei grandi viaggi di esplorazione — intenti a tracciare le prime rotte commerciali tra continenti — venisse decimata da questo terribile male che inizialmente si presenta con malessere diffuso e letargia, seguiti da dolori muscolari, petecchie, sanguinamento delle gengive e quindi ittero, edema, neuropatia, convulsioni e infine morte.
Già nei primi anni del ‘600 alcuni medici lungimiranti avevano indicato come possibile rimedio alla tremenda malattia il consumo di arance o succo di limone, senza peraltro essere ascoltati. Fu necessario il lavoro dello scozzese James Lind, medico della marina di Sua Maestà, che a bordo della HMS Salisbury diede vita al primo studio clinico della storia. Lind testò su dodici membri dell’equipaggio, malati di scorbuto, alcuni dei rimedi suggeriti per la malattia: aceto e sidro, acqua di mare, solfato, un preparato a base di aglio e infine arance e limoni. Furono i fortunati a ricevere questi ultimi a rimettersi così rapidamente da poter accudire anche gli altri malati. Nel 1753 Lind pubblicò il suo Trattato sullo Scorbuto indicando l’effetto terapeutico degli agrumi: tuttavia non riuscì a capire l’origine da carenza della malattia, attribuendola invece ad un contagio dovuto all’aria umida del mare.
Il Capitano James Cook, grande navigatore e cartografo, prese a cuore le indicazioni di Lind e nel suo viaggio intorno al mondo, che lo portò a toccare per primo l’Australia, perse un solo uomo a causa dello scorbuto. Da allora e per tutto l’800 la marina inglese si curò sempre di rifornire di limoni, arance o delle più economiche limette, i suoi equipaggi: una scelta che si rivelò saggia, visto il ferreo potere esercitato sugli oceani durante tutto il secolo.
Il primo a proporre che lo scorbuto fosse una malattia dovuta a carenza fu il medico londinese George Budd, nel 1840, che sottolineò come la malattia fosse imputabile “alla mancanza di un alimento ancora non noto ma che chimici e fisiologi avrebbero identificato nel prossimo futuro”. Il prossimo futuro era appena una novantina d’anni dopo, nel 1928, quando il gruppo guidato dal biochimico Albert Szent-Györgyi isolò dei cristalli biancastri di una sostanza che all’inizio battezzò ignosio e quindi, in un articolo su Nature nel 1933, acido ascorbico, per la sua capacità di prevenire lo scorbuto. Pochi mesi dopo l’acido ascorbico divenne la prima vitamina a essere prodotta per sintesi, grazie al lavoro indipendente di Reichstein e Haworth.
Per lungo tempo lo studio delle proprietà della vitamina C fu limitato dalla sua azione preventiva nei confronti dello scorbuto. Studi condotti nel secondo dopoguerra hanno evidenziato che per impedire l’insorgere della malattia è necessaria l’assunzione di una dose davvero ridotta del composto, dai 5 ai 10 mg al giorno, mentre per dosi superiori ai 60 mg ne inizia l’escrezione con le urine, accompagnata dall’eliminazione dei prodotti del catabolismo della vitamina. Da queste osservazione nacquero le prime indicazioni relative alla Dose Giornaliera Consigliata pari, appunto, a 60 mg.
Nel frattempo, a partire dagli anni 40, la vitamina C era divenuta uno dei soggetti di studio preferiti da Linus Pauling, Nobel per la Chimica nel 1954 per i suoi studi sulla natura dei legami chimici e di nuovo Nobel, stavolta per la Pace, nel 1963, per il suo impegno contro i test atomici, allora quasi di routine per USA e URSS. Una notevole testolina che nel 1970 pubblicò un libro che riscosse un incredibile successo “La Vitamina C e il raffreddore“, in cui sosteneva che altissime dosi della vitamina potessero prevenire e curare la fastidiosa malattia. Si narra che lui e la moglie ogni giorno assumessero dai 10 ai 40 grammi di vitamina, una dose astronomica rispetto ai 60 mg consigliati.
Negli anni successivi l’entusiasmo di Pauling per la vitamina C aumentò, tanto che giunse a proporre mega-dosi di acido ascorbico per trattare patologie cardiovascolari, neurologiche e addirittura il cancro. Insieme all’oncologo Cameron, Pauling propose una terapia a base di dosi elevatissime di vitamina C somministrata endovena che, a dire dei due, avrebbe potuto quadruplicare le possibilità di sopravvivenza di malati di varie forme tumorali, fino ad arrivare alla completa remissione. Risultati che vari studi, basati tuttavia su somministrazione orale della sostanza, non sono stati in grado di replicare. Fino alla morte, avvenuta nel 1994, Pauling è stato un accesso sostenitore dell’uso di vitamina C e altri integratori, tanto da sconfinare nel terreno della pseudo scienza con alcune sue clamorose affermazioni.
Proprio durante gli anni 90, sull’onda di un ventennio di accese diatribe sulla dose giornaliera consigliata di acido ascorbico, arriva il lavoro di Mark Levine che ha rivisitato i dati degli anni 50, osservando che in realtà la dose per prevenire lo scorbuto potrebbe essere molto ridotta rispetto a quella necessaria per mantenere massima efficienza nei processi fisiologici, che l’eliminazione urinaria potrebbe avvenire ben prima che le riserve corporee siano saturate e che l’escrezione dei prodotti del catabolismo potrebbe dipendere dall’effettivo uso che viene fatto del composto. Sulla base di nuovi e accurati lavori Levine ha suggerito che la dose giornaliera consigliata per soggetti sani sia di circa 200 mg, che dosi superiori ai 400 mg/die non diano vantaggi evidenti e che dosi superiori ad 1 g/die possano essere problematiche. Indicazioni che hanno prodotto una aumento dell’RDA USA a 90 mg/die per gli uomini e 75 mg/die per le donne.
Nel nostro paese l’assunzione raccomandata di vitamina C è di 105 mg/die per i maschi e di 85 mg/die per le donne. Per queste ultime sono previste dosi maggiori durante la gravidanza, 100mg/die, e durante l’allattamento, 130 mg/die (qui trovate le tabelle LARN 2014). [2, 3]
Vitamina C: cosa è?
Con il termine vitamina C in realtà indichiamo diversi composti che presentano tutti la medesima azione fisiologica dell’acido ascorbico, un composto idrosolubile che si presenta sotto forma di cristalli piccoli, incolori, dal forte sapore acido, molto solubili in acqua. L’acidità e il forte potere riducente, la capacità cioè di donare elettroni ad altre sostanze, sono dovute alla particolare struttura chimica del composto in cui sono presenti 2 gruppi ossidrile (-OH) legati a due atomi di carbonio uniti da un doppio legame (enediolo). Questa struttura fa sì che l’acido ascorbico possa donare facilmente elettroni, specie a metalli come rame e ferro.
Con la perdita del primo elettrone si forma il radicale ascorbato, che non è particolarmente aggressivo e reagisce poco con l’ossigeno. L’ascorbato donando il secondo elettrone forma acido deidroascorbico. Questo prodotto finale può essere nuovamente ridotto grazie ad un enzima, glutatione deidrogenasi, la cui azione dipende dalla presenza di glutatione, con formazione di vitamina C ridotta, pronta ad affrontare un nuovo ciclo di reazione; il pugile nel suo angolo di cui si diceva prima.
La vitamina C è prodotta a partire dal glucosio nella maggior parte degli essere viventi. Soltanto i primati, i porcellini d’India, alcune specie di pipistrelli, pesci ed uccelli, non sono in grado di sintetizzarla e devono procurarsela attraverso l’alimentazione. Nell’uomo e nei primati manca un enzima chiave del processo di sintesi, la gulonolattone-ossidasi, il cui gene, ancora presente nel nostro DNA, presenta un numero molto elevato di di mutazioni, tanto da non dare luogo a prodotti funzionali.
La vitamina C presente nei cibi viene assorbita nell’intestino per diffusione passiva a dosi molto elevate, mentre interviene un sistema di trasporto facilitato quando la sostanza è presente in concentrazioni ridotte. L’efficienza dell’assorbimento è altissima per dosi intorno ai 200mg/die e cala notevolmente per dosi superiori al grammo. In realtà i sistemi di trasporto sono due: il primo, dipendente dal sodio, per l’acido ascorbico, e un secondo, specifico per l’acido deidroascorbico, simile ai trasportatori del glucosio GLUT, da 10 a 20 volte più veloce del primo. L’assorbimento si riduce con l’invecchiamento e in alcune patologie particolari.
La concentrazione plasmatica della vitamina C è mantenuta tra 30 e 70 μM/l tramite uno stretto controllo sui meccanismi di assorbimento, su quelli di accumulo nei tessuti e sull’escrezione renale. La saturazione plasmatica si ottiene con dosi tra i 200 e i 1000 mg/die, con eventuali eccessi eliminati tramite le urine. Nel plasma la vitamina C è trasportata in forma di acido ascorbico, con piccole quantità di acido deidroascorbico presente, probabilmente formato per ossidazione dell’ascorbato da parte di sostanze presenti nel plasma.
Le cellule accumulano vitamina C in concentrazioni che vanno da 5 a 100 volte quella del plasma grazie all’azione di meccanismi di trasporto dedicati e di meccanismi di trasporto condivisi con il glucosio: l’azione dell’insulina su questi ultimi può favorire l’accumulo di vitamina C in alcuni tessuti e determinare livelli elevati di acido deidroascorbico nel plasma di soggetti diabetici.
La vitamina C viene accumulata in piccole quantità in molti tessuti, in particolar modo nel cervello, nel fegato, nei surreni e nei muscoli, con scorte complessive di circa 1,5-5 g totali, fatto che spiega come mai i sintomi di carenza appaiano di solito dopo almeno 4 mesi di una dieta che ne sia priva.
Vitamina C e prodotti del catabolismo sono eliminati a livello del rene. Per dosi giornaliere della vitamina inferiori ai 100 mg/die non si ha presenza apprezzabile nelle urine di ascorbato o deidroascorbato. Con dosi superiori ai 500 mg/die inizia l’eliminazione di vitamina, che diventa completa per dosi superiori ai 2 grammi.
L’acido ascorbico, nella sua forma di deidroascorbato, può essere idrolizzato ad acido 2,3 duchetogulonico, a sua volta metabolizzato ad acido ossalico.
L’acido ossalico che deriva dal catabolismo della vitamina C potrebbe rappresentare un fattore di rischio per la formazione di calcoli renali: circa il 50% dell’ossalato eliminato a livello del rene proviene infatti dalla degradazione della vitamina C. In alcuni soggetti un elevato consumo della vitamina, in genere tramite integratori, può provocare aumenti significativi dei livelli di acido ossalico nelle urine, anche se rimane tema dibattuto su quanto questo possa effettivamente influire sulla formazione di calcoli. Nel dubbio, andateci piano con l’integrazione, specie se non ne esiste reale necessità. [4, 5, 6]
Vitamina C: a cosa serve?
La vitamina C svolge importanti funzioni fisiologiche, partecipando ad un gran numero di reazioni come cofattore di diversi enzimi.
Uno dei processi più importanti cui partecipa l’acido ascorbico, in funzione di cofattore, è la biosintesi del collagene. Le fibre del collagene costituiscono oltre il 25% del contenuto totale di proteine del corpo umano e rappresentano un elemento strutturale fondamentale del tessuto connettivo, ossa, cartilagini, legamenti, pelle e vasi sanguigni. Senza vitamina C le fibre di collagene si formano e maturano con difficoltà, con problemi severi per tutti i tessuti in cui sono presenti: rottura della parete dei vasi, articolazioni gonfie, gengive sanguinanti e così via, tutti i terribili sintomi dello scorbuto.
La vitamina C partecipa alla sintesi della carnitina, una sostanza necessaria per il metabolismo dei grassi: la carnitina trasporta infatti gli acidi grassi, liberati dai trigliceridi, all’interno dei mitocondri, dove possono essere utilizzati per produrre energia. Inoltre la carnitina rimuove acidi organici e altre sostanze che si accumulano all’interno del mitocondrio mentre ritorna al citoplasma per un nuovo ciclo di trasporto. Senza carnitina non siamo in grado di utilizzare i grassi a fini energetici e inoltre l’accumulo di acidi nei mitocondri ne danneggia la funzionalità. Il malessere, la fatica, la stanchezza tipiche dello scorbuto, nascono proprio qui.
La vitamina C è essenziale per la sintesi della noradrenalina, un importante neurotrasmettitore e un ormone essenziale nel modulare la risposta allo stress.
La vitamina C è necessaria per l’azione della PAM (peptidilglicina monoossigenasi), un enzima che rende possibile maturazione e attivazione di tutta una serie di peptidi ormonali come ossitocina, vasopressina, colecistochinina, calcitonina, gastrina, molecole che senza l’intervento della PAM rimarrebbero del tutto inerti. Un gruppo di sostanze che hanno azioni molto diverse e che coinvolgono processi altrettanto diversi e importanti; risulta evidente il ruolo cruciale che la vitamina C svolge nel controllare e regolare i normali processi fisiologici.
La vitamina C partecipa anche alla biosintesi dei sali biliari, ha un ruolo importante nell’attivazione dell’acido folico, partecipa alla sintesi degli ormoni steroidei prodotti dalla corteccia del surrene ed è importante per i processi di detossificazione a livello epatico che rendono possibile l’eliminazione di composti tossici, grazie all’azione del citocromo P450.
L’acido ascorbico è importante anche per il metabolismo del ferro. Ne aumenta infatti l’assorbimento a livello intestinale riducendolo dalla forma ferrica, Fe3+, a quella ferrosa, Fe2+, molto più solubile e quindi assorbita più facilmente. Inoltre l’acido ascorbico è necessario per l’incorporazione del ferro a livello dei tessuti dove ne aumenta la biodisponibilità intracellulare. [7, 8, 9, 10, 11, 12]
La vitamina C come antiossidante
In tutti i processi descritti la vitamina C non fa altro che riproporre il suo unico trucco, cedere elettroni ad una sostanza in grado di accettarli. In genere gli elettroni della vitamina C vengono utilizzati per ridurre metalli come il ferro ed il rame, sostanze altamente reattive che proprio per questo sono messe in sicurezza all’interno di enzimi che permettono di utilizzare questa loro reattività in maniera controllata, per specifici fini, in presenza di ossigeno.
Nella produzione di collagene, ad esempio, la vitamina C partecipa alla reazione di idrossilazione di alcuni aminoacidi che permettono la formazione di ponti tra le fibre della proteina, fibre che acquisiscono così una notevole forza tensile. Il ruolo della vitamina C è quello di cedere elettroni all’atomo di ferro nel cuore di enzimi specifici, prolil idrossilasi e lisil idrossilasi, dopo che questi, a sua volta, li hanno ceduti all’aminoacido del collagene permettendo il legame con l’ossigeno molecolare. Il ruolo della vitamina C in questo processo è quello di riconvertire l’enzima alla sua forma attiva, rendendo possibile un nuovo ciclo di reazione. Almeno otto diversi enzimi utilizzano la vitamina C in questa maniera, come cofattore essenziale per lo svolgimento delle reazioni catalizzate il cui ruolo è quello di rigenerare la forma attiva di ferro o rame nel cuore della molecola.
La vitamina C è il principale antiossidante presente nel compartimento acquoso. L’acido ascorbico ancora una volta dona elettroni a specie che ne sono affamate: stavolta si tratta di radicali liberi, specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto, che grazie agli elettroni donati dalla vitamina C formano composti stabili, spezzando una catena di reazioni che, se lasciata continuare senza controllo, potrebbe portare a un severo stress ossidativo.
L’azione antiossidante della vitamina C è resa possibile dalla notevole solubilità del composto in ambiente acquoso e dalla relativa stabilità del radicale ascorbato che si forma in questi processi — dovuta ad effetti di risonanza — una stabilità che permette alla vitamina C di funzionare come antiossidante in grado di rompere la catena di reazioni causata dai radicali liberi ( se volete saperne di più su radicali e antiossidanti leggetevi questo articolo). Il radicale ascorbato ha una vita comunque breve e dona a sua volta elettroni formando deidroascorbato che può anch’esso essere riciclato a spese del glutatione, riformando acido ascorbico.
La vitamina C è necessaria anche per proteggere le membrane cellulari dai danni causati da radicali liberi. A bloccare i processi di perossidazione dei lipidi di membrana ci pensa in realtà la vitamina E, ma l’acido ascorbico svolge un ruolo determinante perché donando elettroni rigenera la forma attiva della vitamina E, pronta ad un nuovo ciclo di reazioni. [13, 14, 15, 16]
La vitamina C svolge un ruolo importante nella difesa da infezioni batteriche. Durante un’infezione i neutrofili assorbono e concentrano al loro interno grandi quantità di vitamina C, raggiungendo livelli da 30 a 100 volte quelli presenti nel plasma. I neutrofili, grazie alla vitamina C accumulata, possono resistere alla tempesta di radicali liberi ed ossidanti che producono e rilasciano contro gli invasori presenti, uccidendoli. Anche in questo caso la vitamina C funziona proprio come un antiossidante, proteggendo dal danno ossidativo i neutrofili nel mezzo della loro battaglia con i microbi, una guerra chimica feroce e brutale. [17, 18]
Vitamina C e salute
Visto il gran numero di processi biologici cui partecipa è evidente l’importanza della vitamina C per il benessere del nostro organismo.
A livello del sistema nervoso centrale la vitamina C viene concentrata grazie all’azione di trasportatori specifici che permettono alla forma ossidata di attraversare la barriera emato-encefalica. La concentrazione di vitamina C è molto elevata in specifiche aree del cervello e diversi studi ne hanno evidenziato una interazione con enzimi coinvolti in processi cognitivi, la cui azione potrebbe essere ridotta in condizioni di carenza. La vitamina C protegge le cellule del sistema nervoso da fenomeni di eccitotossicità, dovuta a eccessiva stimolazione delle cellule. Alcuni studi su animali hanno mostrato un possibile effetto anti-depressivo e un leggero miglioramento dei marker del danno ossidativo cerebrale dovuto all’Alzheimer. [19, 20, 21, 22]
Diversi studi, sia su modello animale che su umani, hanno indagato il potenziale della vitamina C nella prevenzione di patologie dell’apparato cardiocircolatorio. Studi prospettici di popolazione hanno evidenziato una possibile riduzione del rischio cardiovascolare per elevata assunzione di vitamina C. I risultati appaiono netti soprattutto quando si valuti il livello plasmatico dell’ascorbato e correlano in maniera significativa a un elevato consumo di frutta e verdura, alimenti con rilevante contenuto della vitamina. I dati attualmente a disposizione indicano un effetto protettivo significativo per una apporto giornaliero di circa 400 mg. Un possibile meccanismo d’azione della vitamina potrebbe essere dovuto alla riduzione dei processi ossidativi delle LDL causati da radicali liberi, uno degli eventi che porta alla formazione della placca aterosclerotica. [23, 24, 25, 26]
Alcuni studi di popolazione hanno evidenziato un possibile effetto protettivo, per elevati livelli plasmatici di vitamina C, nei confronti di ictus e altri eventi cerebrovascolari. Anche in questo caso l’effetto presentava una evidente correlazione con un abbondante consumo di frutta e verdura, rendendo difficoltoso stabilire lo specifico contributo della singola vitamina. Studi controllati in doppio cieco, con l’utilizzo di integratori, non hanno invece mostrato effetti apprezzabili e necessitano di ulteriore approfondimento. Diversi lavori hanno mostrato che una elevata assunzione di vitamina C porta ad una riduzione della pressione sanguigna, grazie ad un probabile effetto protettivo nei confronti delle cellule che costituiscono la parete dei vasi e che partecipano agli scambi tra vasi e tessuti circostanti. [27, 28, 29, 30]
Studi su popolazione mostrano una debole associazione inversa tra assunzione di vitamina C e varie forme tumorali, in particolar modo tumori del seno, dello stomaco e dell’intestino e di alcuni tipi di linfoma. L’effetto protettivo sarebbe dovuto soprattutto all’inibizione della carcinogenesi dovuta alle nitrosamine, importante fattore di rischio per tumori dell’apparato digerente. Studi di intervento in doppio cieco, anche in questo caso con utilizzo di integrazioni, non hanno tuttavia mostrato risultati apprezzabili. [31, 32]
Negli anni 70 del secolo scorso Pauling e l’oncologo Cameron suggerirono l’uso di megadosi di vitamina C per il trattamento di forme tumorali. I due asserivano di aver sperimentato ampiamente un loro protocollo, con somministrazioni per via endovenosa di dosi di 10 g/die, con notevole successo. Diversi lavori hanno tentato di replicare quanto indicato dai due autori, senza apprezzabili risultati. Va sottolineato che in questi studi la vitamina veniva somministrata per via orale e come sappiamo in questo caso l’assorbimento è parziale e i livelli plasmatici non mostrano aumenti rilevanti sopra la norma, al contrario di quanto avviene con la somministrazione endovenosa con la quale si raggiungono concentrazioni plasmatiche da 30 a 70 volte superiori a quelle normali. Al momento sono in corso diversi studi clinici che prevedono l’utilizzo di dosi elevate per via endovenoso nel trattamento di alcuni tipi di tumore, con l’obiettivo di stabilire i livelli sicuri di utilizzo della vitamina, i possibili effetti protettivi verso gli effetti collaterali dei trattamenti chemioterapici e l’efficacia nel trattamento del tumore stesso, ma i risultati dei lavori non sono ancora disponibili.
Come possono megadosi di vitamina C causare l’eliminazione di cellule tumorali? Un meccanismo proposto prevede che la vitamina possa avviare processi ossidativi nelle masse tumorali, a livello delle quali si ha di solito una elevata concentrazione di ferro libero derivato dalla morte delle cellule stesse, dai loro processi metabolici alterati e dagli effetti dei trattamenti radio e chemioterapici. In queste condizioni l’acido ascorbico può effettivamente agire come un pro-ossidante, scatenando la potenza distruttiva del ferro nei confronti delle cellule tumorali, determinandone quindi una veloce eliminazione. Tutto ancora da verificare sperimentalmente, ma di sicuro un’ipotesi decisamente suggestiva. [33, 34, 35, 36]
La vitamina C ha un ruolo importante in diversi processi che coinvolgono il sistema immunitario. Abbiamo visto come sia essenziale per l’azione dei neutrofili nella difesa da infezioni batteriche. La vitamina C stimola anche la produzione di interferone e vari studi hanno mostrato un ruolo protettivo nei confronti del comune raffreddore, nei confronti delle infezioni da Herpes e di quelle da Helicobacter pylori. I risultati di questi studi sono tuttavia inconsistenti, con un effetto ridotto o trascurabile in soggetti sani, mentre l’effetto risulta decisamente più importante in soggetti con carenza di vitamina C o sottoposti a forte stress psico e fisico, in particolar modo in atleti sottoposti ad allenamenti molto severi. Possiamo tranquillamente affermare che la vitamina C non è in grado di prevenire il raffreddore e i tipici malanni di stagione — fatto dato quasi per scontato e ampiamente pubblicizzato nei media, a partire dal libro di Pauling che ne ha decretato lo status di icona pop— ma in alcuni soggetti potrebbe ridurne severità e durata. Riduzione comunque molto modesta, si parla dell’8% per gli adulti e del 14% per i bambini quando l’integrazione sia somministrata giornalmente, per tempi molto lunghi. Nessun effetto se consumate integratori quando la malattia è ià iniziata.
Inutile quindi riempirsi di spremute ed integratori durante i mesi invernali, a meno che non si abbiano effettive carenze della vitamina, fatto alquanto difficile con la normale dieta occidentale. [37, 38, 39, 40]
La vitamina C è essenziale per il benessere della pelle e di tutto il tessuto connettivo, visto il suo ruolo determinante nella sintesi del collagene.
Alcuni studi hanno indicato una correlazione inversa tra consumo di vitamina C e danni derivati dalle complicazioni del diabete, in particolar modo dalle complicazioni a carico del sistema cardiovascolare, dipendenti da danni di natura ossidativa nei confronti dei quali la vitamina può esercitare una azione protettiva.
Un buon consumo di vitamina C può essere utile nella prevenzione della cataratta: le lenti dell’occhio sono protette dai danni causati dalla luce da vari anti-ossidanti, tra i quali l’acido ascorbico ha un ruolo molto importante, come testimoniato dall’elevata concentrazione che si ritrova in questi tessuti.
La vitamina C ha un ruolo importante nella salute dell’atleta? Di sicuro può prevenire le malattie associate al forte stress psico-fisico, in primis raffreddore e influenza, e in alcuni studi ha mostrato effetti positivi quando utilizzata come integratore in soggetti che praticano sport di endurance. Esistono tuttavia lavori che mostrano anche un possibile effetto negativo, sempre in atleti di endurance, probabilmente per la soppressione dello stress ossidativo che è importante nel recupero e nell’adattamento dello sportivo, quindi una eventuale integrazione va valutata con attenzione. Un effetto importante dell’esercizio assiduo è il miglioramento della sensibilità all’insulina, tuttavia integrazione con vitamina C e vitamina E può interferire con questo processo, negando uno dei più importanti benefici connessi all’attività fisica. [41, 42, 43, 44, 45, 46]
Vitamina C: dove trovarla?
I marinai imbarcati in lunghi viaggi, con diete monotone e prive di frutta e verdura, erano facile preda dello scorbuto. Le loro sofferenze non sono state invano e oggi sappiamo che proprio questi alimenti sono le migliori fonti di vitamina C. Cinque porzioni di frutta e verdura apportano in media 200 mg di vitamina C, una quantità che permette di mantenere livelli plasmatici e riserve decisamente stabili.
Particolarmente ricchi di vitamina C sono gli agrumi, soprattutto arancio e pompelmo, seguiti da kiwi, pomodoro, peperoni, fragole, broccoli, rucola, spinaci, papaya, lattuga; una discreta quantità è comunque presente nella maggior parte delle verdure e della frutta. Trascurabile la presenza in alimenti di origine animale, con l’eccezione del fegato, organo nel quale si accumula in maniera significativa.
Va sottolineato che il contenuto di vitamina C nei cibi subisce un significativo calo a seguito di conservazione e cottura dell’alimento. L’acido ascorbico può subire processi ossidativi che lo degradano irreversibilmente con formazione dell’acido 2,3 duchetogulonico, processi che sono accelerati dalla luce, dalla presenza — anche in tracce — di ferro, dal calore e da pH neutro o alcalino.
Una conservazione prolungata può causare una perdita del 50-60% della vitamina C presente nell’alimento, perdita che può aumentare in conseguenza di cottura prolungata, specie se in presenza di acqua, vista la solubilità dell’ascorbato. È importante quindi che i cibi ad elevato contenuto di vitamina C vengano consumati rapidamente, conservati in un ambiente buio e fresco, sottoposti a cotture rapide, evitando soprattutto prolungata bollitura, e preferibilmente in mezzo acido: in questo modo si potranno ridurre al minimo le perdite del prezioso nutriente.
Sul mercato sono disponibili innumerevoli integratori di vitamina C, in forme diverse e in diverse associazioni con altri nutrienti. Non esistono dati che possano far preferire una forma all’altra. L’acido ascorbico estratto dagli alimenti è perfettamente identico a quello ottenuto per sintesi e non esistono prove che possano far preferire una forma o l’altra. È necessario sottolineare che integrare con vitamina C nella maggior parte dei casi è superfluo, che dosi superiori ai 400 mg/die vengono escrete direttamente e che megadosi superiori al grammo possono provocare disturbi gastro-intestinali.
Soggetti a rischi di una carenza della vitamina sono:
- forti fumatori e, purtroppo, fumatori passivi. in questi soggetti la vitamina C viene rapidamente consumata per far fronte al forte stress ossidativo causato dal fumo;
- chi segue con diete restrittive, particolarmente povere di furtta e verdura fresche;
- chi soffre di patologie che riducono l’assorbimento intestinale del nutriente;
- pazienti in stadi avanzati di patologie renali o in dialisi.
Tutti gli altri si diano da fare con gli alimenti. Meglio andarci piano con le integrazioni (per saperne di più su pro e contro degli integratori leggete questo articolo) e mantenere un buon consumo di frutta e verdura: in questa maniera non avrete soltanto un buon apporto di vitamina C ma anche di tutti gli altri nutrienti che sono presenti in questi cibi preziosi, e troppo spesso poco consumati.
Vitamina C: rischi e controindicazioni
Come abbiamo visto la vitamina C è essenzialmente un composto che ha un unico asso nella manica: può donare elettroni a specie che ne sono affamate, in genere metalli come ferro e rame.
La capacità di donare elettroni rende la vitamina C un buon anti-ossidante, può spezzare infatti la catena di reazioni che porta alla formazione di radicali liberi, ma in condizioni particolari può diventare decisamente un problema. La situazione si fa infatti pericolosa quando siano presenti del ferro o del rame liberi, non contenuti nelle gabbie proteiche di un qualche enzima. In questo caso il rame e soprattutto il ferro, per azione della vitamina C vengono ridotti, ma questa forma ridotta è estremamente aggressiva e a sua volta andrà a reagire con il perossido di idrogeno con formazione del radicale idrossile, un radicale libero estremamente reattivo in grado di provocare notevoli danni a diversi componenti cellulari, dalle menbrane al DNA. In pratica, in situazioni particolari, la vitamina C può funzionare come un pro-ossidante, scatenando una serie di reazioni dalle conseguenze preoccupanti. [47, 48]
Normalmente il rischio che questo avvenga è decisamente basso, ma l’efficienza dei meccanismi di controllo dell’assorbimento, dell’escrezione e della concetrazione plasmatica e cellulare della vitamina C stanno a testimoniare come l’organismo sia attento ai possibili danni derivanti da un eccesso della sostanza.
In soggetti affetti da emocromatosi, una malattia ereditaria che comporta forte accumulo di ferro in diversi tessuti, è teoricamente possibile che dosi elevate di vitamina C, ripetute nel tempo, possano favorire processi ossidativi negli organi in cui si accumula il ferro, rendendo più rapido l’inesorabile progresso della malattia. [49, 50]
Al di là di questi casi particolari la ricerca indica che l’assunzione di vitamina C è sicura e che soltanto per dosi superiori ai 2-6 g/die possono aversi effetti collaterali, in genere diarrea o altri disturbi gastrointestinali.
Un possibile problema legato ad elevata assunzione di acido ascorbico, è l’aumento di escrezione renale di acido ossalico, con formazione di calcoli renali: diversi studi hanno indagato il tema, con risultati inconcludenti. Alcuni lavori non hanno mostrato alcun rischio per assunzioni prolungate di 1,5 g/die di vitamina C, mentre in altri studi è stato evidenziato un aumento del rischio di calcoli renali del 40%, per una assunzione di vitamina C, da alimenti o integratori, superiore ad 1 g/die. In ogni caso chi ha una storia di calcoli renali è bene che valuti con attenzione la quantità di vitamina C consumata, in particolar modo con integrazioni troppo abbondanti che portano a una importante escrezione urinaria. [51, 52]
Alte dosi di vitamina C potrebbero interferire con l’azione di farmaci anticoagulanti —Coumadin — e potrebbero ridurre l’effetto protettivo legato all’uso di statine. Si tratta di osservazioni derivanti da un numero limitato di studi che necessitano di ulteriori approfondimenti. [53, 54]
Alcuni studi hanno mostrato che dosi elevate di vitamina C possono ridurre l’efficacia dei trattamenti chemoterapici, mentre altri lavori suggeriscono un possibile effetto protettivo per i tessuti sani nei soggetti sottoposti a radioterapia. I dati, al momento, sono inconcludenti e prima di assumere integratori il paziente oncologico dovrebbe consultarsi con il proprio medico, senza farsi influenzare o prendere dai facili entusiasmi che certa medicina “alternativa” potrebbe suscitare. [55, 56, 57, 58]
In ogni caso il dato evidente è che, come tutti i nutrienti, anche la vitamina C presenta luci ed ombre. La scelta migliore è quella di assumerla scegliendo cibi che ne siano ricchi, lasciando integrazioni eccessive e megadosi a quegli ambiti della ricerca che ne stanno valutando il potenziale utilizzo nella terapia di alcune patologie. Linus Pauling è stato un grande chimico, ma le sue opinioni nel campo della fisiologia e della nutrizioni erano decisamente parziali, formulate spesso all’oscuro degli effettivi meccanismi di funzionamento della molecola, eccessivamente entusiaste e potenzialmente problematiche, anche se meritevoli di approfondimento. Nell’attesa, fate i bravi e mangiate la vostra frutta e verdura, alimenti che vi daranno tutta la vitamina C di cui avete bisogno e molto, molto di più.
Bonus: la vitamina C nell’industria alimentare
L’acido ascorbico è ampiamente utilizzato nell’industria alimentare, grazie all’efficace azione antiossidante. L’ascorbato impedisce l’imbrunimento di numerosi cibi, blocca la conversione dei nitrati in nitriti ed è utilizzato anche come correttore di acidità. Si utilizzano sia l’acido ascorbico che alcuni suoi sali, in concentrazioni assolutamente non tossiche: l’ascorbato utilizzato come additivo mantiene comunque la sua attività vitaminica, sia che sia naturale, sia che venga ottenuto da processi di sintesi (la molecola è ovviamente sempre la stessa).
Di seguito i composti utilizzati e le sigle identificative che li indicano in etichetta:
- E 300 Acido ascorbico
- E 301 Ascorbato di sodio
- E302 Ascorbato di calcio
- E 304 (I) Palmitato di ascorbile
- E304 (II) Stearato di ascorbile
Non tutti gli additivi alimentari sono i terrificanti veleni che certa informazione vorrebbe farvi credere. L’E 300 non è altro che la buona, vecchia vitamina C. [59, 60]
Extra bonus: piccola bibliografia
Frankenburg F.R. Vitamin Discoveries and Disasters: History, Science, and Controversies Praeger 2009
Lane N. Oxygen, The molecule that made the world Oxford University Press 2002
Combs G.F. The vitamins Fundamental aspects in Nutrition and Health Elsevier Academic Press 2008
Mariani Costantini A., Cannella C., Tomassi G. Alimentazione e nutrizione umana Il pensiero Scientifico Editore 2006