Sui superfood, cibi considerati da alcuni così salutari da poter sconfiggere ogni malattia, si concentra l’attenzione dell’industria alimentare, del marketing e di quanti vorrebbero fare qualcosa per la propria salute. In realtà il termine non ha alcun significato scientifico, è difficile dire cosa sono e quali sono davvero questi supercibi, e soprattutto capire se il loro consumo serva davvero a qualcosa.
Ogni giorno un media manager si sveglia e sa che dovrà correre per procurarsi un articolo sul nuovo superfood; ogni giorno un esperto di marketing si sveglia e sa che dovrà spingere forte sul mercato un nuovo superfood; ogni giorno l’ignaro lettore sarà tempestato da informazioni rutilanti di promesse sulle magiche proprietà del superfood di turno. Chiunque tu sia, media manager, venditore o consumatore, non puoi sfuggire al richiamo del superfood, soluzione perfetta per ogni tuo problema, di contenuti, di vendita, di salute.
Qualche anno fa si parlava di alimenti funzionali, indicando con questo termine
“quei cibi che al di là delle proprietà nutrizionali presentano anche la capacità di influenzare positivamente una o più funzioni fisiologiche, in modo da conservare o migliorare lo stato di salute e di benessere, magari contribuendo anche a ridurre il rischio di insorgenza di quelle malattie correlate ad un certo tipo di alimentazione”
Un sinonimo spesso utilizzato è nutraceutico, un termine ottenuto combinando le parole nutriente e farmaceutico. Termini ingombranti e poco d’effetto che per poter essere utilizzati richiedono che vengano soddisfatti dei requisiti molto stringenti: una situazione poco interessante per chi di certi alimenti fa commercio, motivo per cui le complicate definizioni tecniche sono state ben presto sostituite, nel rutilante linguaggio del marketing, da una semplice, singola, magica parola: superfood! [1, 2]
Cosa sono i superfood
Il problema è che non esiste una definizione specifica di superfood, un termine che, alla resa dei conti, è stato creato unicamente per soddisfare delle esigenze di mercato: in modo molto vago possiamo dire che un superfood è un alimento ricco di nutrienti, in grado di apportare importanti benefici per la salute. Una definizione troppo generica per l’EFSA (Commissione Europea per la Sicurezza Alimentare) che infatti, dal 2007, non permette l’utilizzo di questo termine nella promozione e commercializzazione di un cibo, a meno che i supposti benefici per la salute dovuti al consumo di questo alimento non siano supportati da rigorose prove scientifiche.
Nulla però vieta che nei media e sul web il termine superfood venga costantemente utilizzato per indicare certi alimenti, di cui si decantano i poteri quasi taumaturgici; diverse aziende, attive nel settore, danno quindi diverse definizioni del termine:
- Un superfood è un alimento di origine vegetale con un alto contenuto di antiossidanti, proteine, omega-3, minerali, fibre o altri nutrienti essenziali dai provati effetti benefici per la salute. ( Nativas Naturals)
- I superfood sono cibi vegetali naturali con contenuti eccezionalmente elevati di nutrienti. (RealFoods)
- I superfood sono una speciale categoria di cibi naturali a ridotto contenuto calorico e ricchissimi di nutrienti: una fonte eccezionale di antiossidanti e nutrienti essenziali, quelli che noi non siamo in grado di produrre. (Food Matters)
- I superfood hanno un contenuto elevatissimo di vitamine, minerali e nutrienti essenziali, e sono ben noti per la loro capacità di combattere certe malattie. (Nutrex Hawaii)
Queste definizioni presentano alcuni dati in comune: si parla di alimenti di origine vegetale, naturalmente ricchi di nutrienti e in genere minimamente lavorati. Salvo poi commercializzarli sotto forma di pratiche polveri, capsule o compresse. Il rischio è quello di creare una una gran confusione nel consumatore, portato a credere che mangiando spesso e in quantità questi supercibi — o peggio ancora assumendoli come integratori — possa davvero proteggersi dalle malattie più diverse.
Quali sono i superfood?
Con una definizione così vaga e fantasiosa è ovvio che altrettanto vaghe e discordanti siano le liste che enumerano gli alimenti che fanno parte dell’eletta schiera. In genere gli health claims — le indicazioni sui supposti effetti positivi del cibo — non vengono mai riferite all’alimento stesso ma vengono sempre riportate rispetto alle vitamine, ai minerali e ai nutrienti presenti, ognuno dei quali, in un qualche tipo di studio, ha mostrato di poter influire positivamente su specifici marcatori, ossia degli indicatori dello stato di salute o malattia del soggetto.
Da notare che man mano che passa il tempo le liste tendono ad allungarsi e ad includere alimenti sempre più rari e, ovviamente, costosi: si parte dai broccoli per arrivare alle bacche di aronia, nuova superstar del variopinto settore.
- Broccoli e cavolfiore, poco esotici ma ricchi di sostanze, gli isotiocianati, che in diversi studi hanno mostrato un’apprezzabile attività antitumorale;
- Cavolo nero e cavolo riccio (kale), ben fornito di vitamine ed antiossidanti, a lungo ritenuto il re dei superfood;
- Spinaci, una miniera di vitamine e sali minerali, soprattutto ferro: peccato però sia in forma scarsamente assorbibile;
- Mirtilli, ricchi di antiossidanti, soprattutto antocianine, composti che in vitro e in studi animali hanno mostrato proprietà molto interessanti;
- Cacao, ricchissimo in flavonoidi, composti antiossidanti molto potenti;
- Quinoa, uno pseudocereale con un elevato contenuto di proteine, vitamine e minerali;
- Rape rosse, ricche di vitamine, minerali e betaina;
- Avocado, unico frutto con abbondante presenza di grassi polinsaturi;
- Melagrana, altro frutto ricco di antiossidanti;
- Açaí, bacche provenienti dall’Amazzonia, ricchissime di fibre e antiossidanti e povere di zuccheri;
- Goji, bacche originarie delle steppe asiatiche, ben fornite di vitamina C e antiossidanti;
- Semi di chia, originari del Messico, ricchi di antiossidanti e acidi grassi omega-3;
- Spirulina, alga con alto contenuto di proteine e di un composto simile alla vitamina B12, assente in tutti i vegetali, privo però di reali funzioni fisiologiche;
- Maca, una pianta delle Ande da cui si ottiene una polvere adattogerna ed afrodisiaca (dicono);
- Matcha, polvere ottenuta dal tè verde, ricca di antiossidanti e catechine, composti con azione anticancerogena;
Si tratta di un piccolo campionario cui di volta in volta, a seconda di chi parla, si possono aggiungere alimenti comuni come i pomodori, i peperoni, l’olio di oliva, i ceci e le lenticchie, l’aglio e la cipolla, o prodotti più esotici come i semi di canapa, i funghi reishi e shiitake, edamame e tofu, alghe marine varie, moringa, maqui e addirittura i semi di melone. Senza dimenticare spezie come la curcuma e lo zenzero.
Capita addirittura che alimenti di origine animale possano finire inclusi nella categoria, soprattutto in funzione dell’elevato apporto proteico e della rilevante presenza di acidi grassi omega-3: possiamo così trovare inclusi in alcune liste anche il salmone, le acciughe e le sardine, oppure derivati del latte come il kefir o lo yogurt.
Una liste davvero molto flessibile che si allunga e si estende ad inglobare ogni nuovo prodotto per il quale si possano individuare potenziali benefici per la salute in base al contenuto più o meno elevato di particolari nutrienti e — purtroppo — alle esigenze commerciali del momento, cavalcando o creando mode alimentari che hanno come obiettivo primario la vendita di cibi e integratori e non certo la salute dei consumatori. [3, 4, 5, 6, 7, 8, 9]
I superfood fanno davvero bene alla salute?
Ad una veloce scorsa della sommaria lista di superfood che abbiamo appena visto appare evidente un dato comune agli alimenti inclusi: l’abbondante presenza di composti antiossidanti che, secondo un’interpretazione molto superficiale del problema, nel nostro organismo dovrebbero neutralizzare alcune specie reattive che si formano durante i normali processi metabolici: stiamo parlando dei temutissimi radicali liberi, sostanze che possono determinare importanti danni a livello cellulare, portando allo sviluppo di patologie cardiovascolari, diabete e varie forme tumorali. In realtà nel nostro organismo i radicali liberi sono in equilibrio con una nutrita batteria di antiossidanti endogeni e solo quando questo equilibrio si spezza queste specie reattive possono causare danni.
Assieme agli antiossidanti troviamo poi vitamine e sali minerali, in concentrazioni variabili e tutta una serie di composti che in vari studi hanno mostrato di poter influenzare certi particolari processi: molti fitonutrienti sono in grado di rallentare la crescita e la divisione di cellule tumorali o addirittura possono indurne la apoptosi, la morte cellulare programmata (che, ironia della sorte, dipende da una elevata concentrazione di radicali liberi).
Tutto molto bello e tutto molto scientifico, visto che in genere un qualche studio che mostri una qualche proprietà della sostanza indagata lo si troverà sempre. Prima però di rimpinzarci di bacche, polveri e compresse miracolose sarebbe bene fare qualche piccola considerazione.
Nella maggior parte dei lavori sul tema, sia in vitro, sia in modelli animali ed umani, vengono utilizzati estratti in cui la sostanza studiata è presente in concentrazioni centinaia di volte superiori rispetto a quanto si osserva in natura. Si tratta ovviamente di concentrazioni che non possiamo raggiungere con una normale alimentazione, a meno che non si intenda consumare quantità folli di un dato alimento. Piccolo esempio: per consumare la dose di resveratrolo — un potente antiossidante — che nei lavori sul modello animale ha mostrato effetti apprezzabili dovremmo bere circa cinque litri di vino al giorno.
Molto spesso gli studi cui si fa riferimento sono stati fatti su colture cellulari, lavori preliminari eseguiti in condizioni molto diverse da quelle che si osservano nell’organismo. In un essere vivente è sempre presente una complessa rete di reazioni e relazioni tra i vari elementi coinvolti che può portare a risultati drasticamente diversi da quelli osservati in un sistema decisamente più semplice, come quello indagato prendendo in considerazione cellule isolate o colture tissutali. Un problema analogo esiste quando gli studi sono stati eseguiti esclusivamente su modelli animali: si tratta di risultati che vanno interpretati con molta cautela a causa delle apprezzabili differenze fisiologiche che esistono tra specie diverse.
E i problemi ci sono anche quando abbiamo a disposizione studi su umani, anzi divengono probabilmente maggiori. È necessario capire di che tipo di studi si tratta: di studi osservazionali, in cui si indagano gli effetti di diverse diete su diversi gruppi di persone, o di studi di intervento, nei quali viene modificata la dieta dei soggetti coinvolti per valutare l’effetto di specifici alimenti? Inoltre qual è il numero dei soggetti studiati? Si tratta di soggetti sani o di popolazioni particolari, magari affette da specifiche patologie? Qual è la durata dello studio? E quali i marcatori presi in considerazione?
Prendiamo in esame uno studio in cui a sedici soggetti sovrappeso sono stati fatti consumare duecento grammi al giorno di una miracolosa bacca ricca di antiossidanti: un protocollo di studio tipico per un tipico superfood. Dopo trenta giorni si registra una diminuzione statisticamente significativa di alcuni marcatori utilizzati come indice di rischi per malattie metaboliche e cardiovascolari. La conclusione è che il supercibo in esame è davvero utile nella prevenzione delle patologie indagate. Se però consideriamo con più attenzione natura e risultati del lavoro vediamo che si tratta di uno studio su una popolazione particolare, individui sovrappeso, con un numero limitato di soggetti e quindi un valore statistico suscettibile di forti distorsioni proprio a causa del campione ridotto. Inoltre lo studio ha una durata limitata e molto spesso certi effetti che si osservano nella prima fase di un lavoro tendono a scomparire nel tempo. Infine, ciliegina sulla torta lo studio prevede il consumo di una quantità enorme dell’alimento, 200 grammi ogni giorno per un mese: a parte la difficoltà e il costo per mantenere nel tempo consumi tanto elevati, dobbiamo chiederci anche se l’effetto positivo sui marcatori indagati non sia accompagnato da effetti negativi su altri parametri che non sono stati considerati, o se un consumo prolungato nel tempo dell’alimento non possa creare, a lungo andare, problemi peggiori di quelli che dovrebbe risolvere.
Nella promozione e nel marketing di certi cibi non si va tanto per il sottile: si cerca nella vasta e costante produzione della letteratura scientifica e si scelgono quegli studi che confermano la nostra tesi iniziale. Se il nostro alimento è ricco di vitamina K non sarà certo difficile trovare lavori che mostrino come un certo consumo giornaliero di vitamina K possa avere un qualche effetto positivo, magari utilizzando in maniera impropria lavori preliminari che richiederebbero robuste conferme tramite studi clinici o studi randomizzati in doppio cieco.
L’ultima considerazione riguarda l’apporto che il consumo del superfood di turno può dare in condizioni reali. Le bacche di goji sono tra i supercibi più gettonati e se ne decanta il rilevante contenuto di potassio, ferro, vitamina B2 e antiossidanti. In realtà una porzione di queste bacche, una trentina di grammi, contiene appena il 7% della Dose Giornaliera Consigliata di potassio, il 14% di quella di ferro e il 21% di B2. Non si tratta certo di valori stratosferici e il semplice consumo di un poco di banale verdura e frutta delle nostre parti assicura un apporto paragonabile, se non superiore, a parità di calorie consumate. Inoltre soltanto una piccola parte del ferro e gli antiossidanti presenti sono assorbiti: la maggior parte di queste sostanze viene eliminata o metabolizzata molto rapidamente nel nostro organismo, senza mai arrivare a svolgere la funzione specifica che tanti studi avrebbero evidenziato.
In definitiva le variabili sono tante e separare le esagerazioni del marketing da quanto ci dicono i dati reali non sempre è facile ma è operazione necessaria, buona e giusta, per poter mettere nella corretta prospettiva vantaggi e svantaggi che il consumo preferenziale di certi superfood può comportare. [10, 11, 12]
Superfood, dieta e stile di vita
Definire un alimento un superfood non ha alcun significato scientifico: è semplicemente una strategia di marketing, un modo semplice e immediato per attirare l’attenzione di un consumatore che è sempre più frastornato da una comunicazione ipertrofica, roboante e sensazionalistica, specie quando si parla di nutrizione.
Non voglio ovviamente dire che molte delle caratteristiche che un gran numero di studi hanno rilevato per certi alimenti non debbano essere valutate con attenzione: quello che mi interessa sottolineare è che indicare un alimento come rimedio ad ogni male, come fonte di salute e benessere quando lo si mangia in quantità, è profondamente sbagliato e, in molti casi, disonesto; in questo modo si concentra l’attenzione sul consumo di un singolo alimento o gruppo di alimenti – magari escludendone altri, considerati cattivi a priori — e si riduce l’attenzione verso la dieta nel suo complesso. Ingurgitare etti di mitiche bacche di goji mentre si continua a mangiare in maniera esagerata, a fumare e bere, nella più completa sedentarietà, serve semplicemente per autoassolversi delle magagne del proprio stile di vita, non certo per un reale beneficio per la nostra salute.
E ancor meno utile è ingozzarsi di integratori, polveri ed estratti tutti “naturali” che dovrebbero concentrare le virtù di chilogrammi di supercibi in una singola capsula, un’abitudine profondamente diseducativa: spesso chi ne fa un uso intensivo non ha la minima cura verso gli alimenti che consuma e utilizza questi preparati come supporto per supplire a vizi e abitudini sbagliate che non riesce a sconfiggere. Se non mangiate frutta o verdura è inutile che vi rimpinziate di estratti e integratori a base di supercibi, perché poco potranno contro le conseguenze di un’alimentazione così poco bilanciata. E se fumate non ci sono concentrati di antiossidanti che possano proteggervi dai danni che vi infliggete ogni volta che accendete una sigaretta.
Esistono ovviamente cibi più salutari di altri, così come esiste del cibo spazzatura decisamente problematico quando consumato in quantità. Il problema reale non è tanto quanti supercibi riuscite a infilare nei vostri pasti, ma la dieta nel suo complesso e lo stile di vita più in generale. Se il tanto decantato supercibo è inserito nell’ambito di un’alimentazione varia, ricca di frutta e verdura, con un apporto calorico adeguato ai bisogni reali, magari un piccolo contributo al benessere generale potrebbe realmente darlo, anche se magari non così rilevante come promesso sulla confezione. Se la vostra dieta è monotona, troppo ricca, se fumate o siete sedentari non aspettatevi miracoli: nulla potranno le bacche tutte naturali, che arrivano dal profondo della foresta amazzonica, nei confronti di tante scelte sbagliate.
Per il benessere e la salute non dobbiamo fare affidamento sulla selezione di un ristretto numero di cibi miracolosi: è necessario invece prestare attenzione alla dieta nel suo insieme e al proprio stile di vita in generale, individuare e correggere gli errori più macroscopici, ridurre i fattori di rischio più importanti. Poi, fatto questo, se volete utilizzare più zenzero e curcuma, se andate pazzi per la quinoa, se le bacche di goji e di aronia vi sembrano paradisiache, fate pure. Ricordate però che è lo stile di vita nel suo complesso a fare la differenza e che si tratta di una sfida che si gioca sul lungo periodo: quello di una vita intera, direi.