Ogni giorno sui media compaiono nuovi allarmanti articoli, documentari e inchieste su come questo o quell’alimento possano essere causa di malattie e morte. È una rincorsa continua a chi può fregiarsi del titolo più terrificante, delle dichiarazioni più scioccanti e terribili. Spesso però ci si basa su singoli studi, badando poco al contesto e confondendo rischio relativo e rischio assoluto. Cerchiamo di capire un po’ meglio di cosa si tratti, per evitare di cadere preda delle isterie da clickbaiting.

Quando i media riportano i risultati di studi scientifici sui problemi legati ad un certo tipo di alimentazione, o sui supposti benefici di uno stile alimentare, spesso presentano i dati in forma di rischio relativo anziché di rischio assoluto: questo fa apparire i risultati molto più importanti di quanto non siano, in modo da impressionare, stupire e  scuotere il lettore. Cosa utilissima quando lo scopo della comunicazione sia quello di influenzare il comportamento, convincere o spaventare. Molto meno utile quando si abbia rispetto per la scienza, la ricerca, le reali conclusioni che scaturiscono dai dati.

Per poter interpretare al meglio i dati relativi al rischio relativo è necessario conoscere il rischio assoluto di un determinato evento. Semplifichiamo un poco le complessità della statistica e tentiamo di dare un senso alle percentuali che spesso vediamo volare nei media.

Cosa è il rischio?

Il rischio è semplicemente la probabilità che un evento accada, e parlando di rischio si tratterà di un evento spiacevole, ovviamente. In una popolazione è possibile calcolare il rischio assoluto legato a diverse patologie, da differenti tipi di tumore a malattie cardiovascolari. Il rischio  assoluto in genere fa riferimento a specifici gruppi di popolazione, per intervalli di tempo determinati.

Il rischio può essere espresso in diversi modi:

  • possiamo dire che la probabilità di morire di una specifica malattia è 1 su 10;
  • lo stesso valore può essere espresso in forma percentuale, in questo caso il 10%;
  • lo stesso valore può infine essere espresso in forma decimale ossia 0,1;

in tutti e tre i casi il rischio assoluto è perfettamente identico, soltanto espresso in forma diversa.

In genere si preferisce utilizzare valori percentuali poiché si presume siano di più facile comprensione. Ad esempio, il rischio assoluto di morte per tumori dell’intestino, per tutta la popolazione, è di circa il 5,6%. Per il tumore al seno il rischio assoluto per tutte le fasce di età è di circa il 12%.

Parlando di rischio è necessario sottolineare come il dato ci indichi soltanto la possibilità che un evento posso accadere ma non la certezza che questo in effetti accada. Ovviamente tanto più elevato il rischio assoluto di una patologia, tanto più probabile sarà che ci si possa ammalare di questa nel corso della vita.

Il rischio relativo si utilizza invece per confrontare il rischio tra due differenti gruppi. Nel campo della ricerca molti studi valutano gruppi diversi per verificare se l’esposizione a certi fattori comporti variazioni del rischio rispetto a gruppi di controllo; in pratica il rischio relativo quantifica il differente rischio che esiste tra il gruppo degli esposti e quello dei non esposti.

Il tema di molti dei lavori che spesso troviamo citati nei media è spesso quello di verificare se chi consuma quantità elevate di  un certo alimento ha un un rischio maggiore di sviluppare determinate malattie rispetto a chi ne consuma quantità ridotte (relativamente a, è questo il significato reale del termine relativo). I dati rilevati vanno tuttavia ben interpretati, per non incorrere in errori grossolani di valutazione. [1, 2, 3]

Rischio assoluto, rischio relativo e alimenti

Facciamo un esempio specifico, su temi della nutrizione. Abbiamo visto che il rischio assoluto di morte per tumori dell’intestino e di circa il 5,6%. La maggior parte delle meta analisi e delle revisioni di studi concordano nell’affermare che per un consumo di carne rossa o lavorata pari a 50 g /die si ha un aumento del rischio relativo pari al 18%. La cifra è notevole e induce immediato timore. Ma quel 18%, valore relativo, si riferisce al 5,6%, valore assoluto. In pratica è il valore del rischio assoluto a crescere del 18% nel gruppo che consuma più carne. Il 18% del 5,6% è pari a 5,6 moltiplicato per 0,18 ossia 1,008. Il rischio assoluto per un soggetto che consumi ogni giorno, sottolineiamo ogni gorno, 50 g di carne rossa o lavorata è quindi pari a 5,6 +  1 ovvero 6,6%. A questo punto il titolone si sgonfia e la minaccia ne esce decisamente ridimensionata. Si tratta di un problema reale, effettivamente apprezzabile, sostenuto da prove di buon valore scientifico come indicato da WHO e AIRC, ma di entità non così rilevante come potrebbe apparire valutando il solo dato relativo, un impressionante 18%, mentre l’aumento del dato assoluto è decisamente più modesto, si passa infatti da 5,6 a 6,6%.

In pratica, se prendiamo la popolazione generale, su 100 soggetti circa 5 ne moriranno per un tumore al colon. Se consideriamo invece un gruppo di 100 soggetti con elevato consumo di carni rosse o conservate il numero dei morti per tumore al colon passa a 6. Significativo, ma non esattamente una strage.

Consideriamo adesso il cancro al seno. Il rischio assoluto per tutte le fasce di età è di circa il 12%. Si tratta di un valore decisamente elevato. Tra i fattori che aumentano questo rischio c’è il consumo di bevande alcoliche. I dati indicano un rischio relativo tra il 30 e il 50%, diciamo un 40% circa, per un consumo di alcol pari a circa 20 gr al giorno. Facciamo di nuovo i nostri calcoli e troveremo che per una buona bevitrice il rischio assoluto passa dal 12% al 16,8%, un balzo in avanti assolutamente drammatico, decisamente molto più rilevante di quello dovuto al consumo di carne. Un dato importante di cui tuttavia si parla poco, molto poco, nonostante valori decisamente elevati.

In una popolazione generale di 100 donne circa 12 moriranno a causa di un tumore al seno mentre tra le forti bevitrici il numero sale a 17 su 100. In questo caso la differenza comincia a essere tangibile. [4, 5, 6, 7, 8 , 9, 10]

Rischio assoluto e rischio relativo interpretare i dati relativi agli studi su cibo e salute

Un’immagine piena di rischi: a questo punto dovrebbe essere chiaro anche quale sia quello maggiore.

Interpretare il rischio

Dagli esempi riportati è evidente che per poter valutare in maniera obiettiva il rischio legato al consumo di certi cibi è determinante distinguere tra rischio assoluto e rischio relativo e saper interpretare i dati che si ottengono.

La variazione del rischio riportata dalla maggior parte degli studi fa riferimento al rischio relativo, ossia alla differenza che esiste tra i gruppi e i comportamenti presi in considerazione.

Il rischio relativo può anche essere molto elevato, e quindi impressionare, ma se il valore del rischio assoluto è ridotto alla fine fine l’incremento del rischio assoluto legato ad un certo comportamento potrebbe non essere tanto drammatico o addirittura quasi trascurabile.

Al contrario un rischio relativo ridotto, quando riferito ad un rischio assoluto rilevante, può portare a incrementi molto importanti nel rischio assoluto legato ad un certo comportamento.

Certo, per poter valutare in maniera oggettiva certe informazioni è necessario un poco di impegno: capire la natura e la reale entità di questi dati richiede che si abbia la voglia di analizzali e gli strumenti per recuperarli da fonti autorevoli. Faticoso, direte voi. Necessario, vi risponderò, se volete evitare di fare scelte di pancia che non arrecano alcun vantaggio o che, peggio, possono procurarvi più problemi di quanti non pensiate di risolvere.

Si può decidere soltanto se si è davvero informati, e informarsi correttamente costa tempo e fatica, altrimenti si spara a casaccio sperando di colpire il bersaglio. E il rischio, appunto, è di ferire noi stessi o chi ci sta accanto.


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