Diete: ne esistono tanti e differenti tipi, con proporzioni di nutrienti variabili, semplici o complesse, più o meno rapide nel ridurre il peso corporeo, restrittive o permissive. Indipendentemente dal tipo di dieta gli studi scientifici e l’esperienza di ogni giorno tendono a mostrarci un dato preoccupante: una parte delle persone non riesce a mantenere il peso raggiunto e progressivamente riacquista il grasso perduto. Perché accade questo?
L’industria delle diete è ormai divenuta un business miliardario e non passa giorno senza che qualcuno non arrivi sulla scena a proporre al pubblico — che le statistiche ci mostrano purtroppo sempre più sovrappeso o addirittura obeso — una mirabolante soluzione al problema, rapida, efficace e magari anche indolore, senza ci sia bisogno di sacrificio alcuno. E in effetti le diete, più o meno, funzionano tutte e permettono di perdere peso: non entriamo oggi nel merito dell’efficacia e della sicurezza della dieta, quello che ci interessa è quello che accade dopo. Purtroppo una volta che l’obiettivo è raggiunto diversi studi mostrano che una buona parte dei soggetti tende a riprendere peso e circa un terzo, nel giro di qualche anno, si ritrova nelle condizioni iniziali.
Circola in rete una statistica tremendamente pessimista, basata su studi degli anni 50 del secolo scorso, che afferma che addirittura il 90-95% dei soggetti a dieta riprende rapidamente il peso perduto. Si tratta di una statistica vecchia, derivante da studi molto particolari su popolazioni altrettanto particolari. Lavori più recenti dipingono una situazione meno drammatica, probabilmente almeno il 50% dei soggetti riesce a mantenere il peso raggiunto grazie alla dieta, ma comunque sia una buona percentuale dei soggetti fallisce, e certamente ne esce sfiduciata, diffidente e anche un poco depressa. [1, 2]
Ci sono ovviamente tutta una serie di motivi di natura diversa, fisiologici, psicologici, ambientali, che possono spiegare perchè per un gran numero di persone è estremamente difficile mantenere il peso raggiunto, e le interazioni tra i vari fattori sono estremamente complesse. Ovviamente non è possibile modificare la nostra fisiologia, frutto di milioni d’anni di evoluzione, ma possiamo lavorare sugli altri fattori per capire quali possono essere gli errori più comuni che portano a riprendere il grasso perduto.
Il nostro corpo odia le diete
Uno dei fattori dominanti nell’evoluzione degli esseri umani, un fattore che ha letteralmente forgiato la nostra fisiologia, è stata la scarsità di cibo: siamo bene adattati a sfruttare e conservare ogni briciola d’energia disponibile, accumulandola per i momenti di carestia, che in passato erano frequenti e durissimi. Il nostro organismo dispone di efficientissimi meccanismi per affrontare periodi di ridotto apporto calorico — le diete si basano proprio sulla riduzione di questo apporto — e tende ad adattarsi rapidamente e a combattere questa perdita di peso, che avverte come una minaccia per la sopravvivenza.
Leptina e insulina, ormoni che sono considerati dei veri e propri indicatori di adiposità, tendono a calare durante una dieta. La leptina diminuisce poiché è prodotta dal tessuto adiposo stesso e riducendosi questo è ovvio si riduca la produzione dell’ormone. L’insulina, prodotta dal pancreas, probabilmente cala per un miglioramento della sensibilità dei recettori e per una minor stimolazione della secrezione. Leptina e insulina agiscono a livello di specifici centri cerebrali e controllano, in maniera molto complessa, appetito e ricerca del cibo. In pratica mentre dimagriamo i due ormoni funzionano un poco come la spia del carburante in un’automobile, indicando al cervello che il livello delle riserve si sta abbassando e che è tempo di far di nuovo benzina, in pratica mangiare. Tuttavia studi più recenti mostrano che i livelli di questi ormoni non indicano l’effettiva quantità di riserve disponibile ma ne segnalano soprattutto un uso elevato: in pratica calano durante la dieta, ma tendono a tornare rapidamente ai valori di base anche dopo periodi molto brevi di alimentazione normale. Il loro ruolo nel recupero del peso è soprattutto sul breve periodo, con un contibuto significativo ma non determinante anche su periodo più lunghi, visto che i livelli tendono a stabilizzarsi una volta che si riprende a mangiare in maniera normale.
A livello cerebrale la riduzione delle riserve attiva tutta una serie di centri nell’ipotalamo, stimolando l’attività di quei nuclei che aumentano la produzione di ormoni come il Neuropeptide Y (NPY) e il peptide correlato alla proteina Agouti (AgRP, ne abbiamo parlato in questo articolo) il cui effetto è quello di aumentare l’appetito, stimolare l’attiva ricerca di cibo e ridurre la spesa energetica. In un’altra area del cervello, il rombencefalo, la riduzione delle riserve determina una ridotta sensibilità nei confronti dei segnali di sazietà (la colecistochinina CCK prodotta nell’intestino dopo pasti ricchi e abbondanti) e quindi un maggior predisposizione a consumare grandi quantità di cibo.
Anche i centri che controllano motivazione e stimolo al consumo di cibo risultano attivati, e si registrano adattamenti anche a livello del sistema nervoso simpatico, della tiroide e dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. In pratica la dieta e la riduzione di grasso fanno scattare campanelli d’allarme ovunque e il nostro organismo va a contrastare attivamente la riduzione delle riserve. Molti di questi adattamenti sono rilevanti soprattutto durante il dimagrimento, ma molti studi stanno cercando di verificare se possano avere un ruolo importante nel determinare il recupero di peso che molti soggetti osservano. Ad ogni modo è evidente che più la dieta è lunga e maggiore è la perdita di grasso, tanto più difficile risulterà continuare il lavoro, per le forti sollecitazioni a ripristinare un consumo normale che ci giungono dai centri di controllo.
La nostra fisiologia è molto complessa e ovviamente va a interagire con segnali che provengono dall’ambiente e con la nostra sfera cognitiva e comportamentale: a grandi linee la perdita di riserve è vissuta dall’organismo come evento traumatico, da combattere, poiché mette a rischio la sopravvivenza — o meglio, la metteva a rischio quando il cibo disponibile era davvero poco — con un aumento dell’appetito, una riduzione spontanea dell’attività fisica e tutta una serie di altri sottili adattamenti che in molti soggetti determinano il recupero del grasso perduto uno volta che la dieta termini e si ricominci a mangiare in maniera normale. C’è proprio una forte pressione biologica a recuperare il peso perduto, un sistema ridondante e robustissimo, come accade per meccanismi di importanza vitale. Non si tratta però di un destino ineluttabile: ci sono anche altri fattori in gioco, ambientali, cognitivi, legati al tipo e alla composizione dell’alimentazione del soggetto, ognuno dei quali può dare un contributo molto importante nel modulare e guidare questa risposta del nostro organismo. [3, 4]
Diete: la testa conta; tanto.
Appurato che siamo costruiti per accumulare e mantenere riserve in modo efficiente è bene valutare anche altri aspetti legati alla difficoltà di mantenere il peso faticosamente conquistato con la dieta. L’aspetto cognitivo, l’insieme delle nostre aspettative, dei giudizi e delle scelte che facciamo gioca un ruolo decisamente importante. Vediamo come.
Quando un soggetto inizia una dieta in genere si pone degli obiettivi, un peso da raggiungere, una misura d’abito da indossare e così via. Il problema è che molto spesso questi obbiettivi non sono realistici: l’asticella è troppo alta e non saremo in grado di saltare così in alto. Magari mi aspetto di perdere un peso davvero rilevante, magari mi aspetto di perderlo in un tempo molto breve, magari mi aspetto di perder peso in maniera costante per lungh periodi di tempo. Purtroppo il nostro organismo non funziona così, nonostante le sciocchezze e le esagerazioni che si vedono in certi reality show imperniati su dimagrimenti epocali, e il soggetto in attesa del miracolo — come visto in tv – molto spesso tenderà a mollare, spinto anche dai meccanismi fisiologici che abbiamo visto entrare in azione. Porsi obiettivi realistici, ad esempio perdere il 10% del proprio peso in tempi ragionevoli, si parla di mesi non di settimane, permetterà di apprezzare quello che si è ottenuto, creando le condizioni mentali necessarie a lavorare a lungo per mantenerlo. Il deluso molla tutto, perché giudicherà sempre insoddisfacente quanto ottenuto, ma un soggetto con aspettative ragionevoli troverà forza e motivazione nei suoi risultati e potrà lavorare per mantenerli nel tempo.
Obbiettivi non realistici e aspettative irragionevoli fanno il paio e per molte persone sono la causa prima per cui la dieta fallisce. Il processo di dimagrimento non è mai lineare e dopo l’euforia delle prime settimane, quando i progressi si fanno più lenti, la delusione può portare a mollare tutto. Ancor di più quando si lavora con diete restrittive che riducono irragionevolmente il consumo di cibi specifici o stravolgono completamente le abitudini alimentari del soggetto. Se devo continuare a fare sacrifici sempre più duri — ricordate? l’appetito aumenta durante la dieta — per trovarmi di fronte a risultati sempre più esigui allora la tentazione di lasciare si fa fortissima e spesso compare un comportamento compensatorio che porta a consumare ancor più di prima , con i risultati che possiamo immaginare.
Un altro fattore importante è l’approccio al dimagrimento: chi inizia una dieta convinto che non ce la farà, magari sulla scorta di problemi avuti in precedenza, molto probabilmente andrà a realizzare la propria profezia, mentre il soggetto più convinto dei propri mezzi e della propria possibilità di riuscita in genere ha risultati migliori. La fiducia nella propria riuscita e la capacità di mantenersi concentrato sull’obiettivo sono elementi importantissimi per il successo della dieta. Un poco di ottimismo non guasta mai, anche perché, abbiamo visto, non è poi così drammatica la percentuale di quelli che non ce la fanno. La maggior parte dei soggetti a dieta ottiene risultati stabili nel tempo e le statistiche esorbitanti relative a catastrofici fallimenti sono decisamente esagerate, una delle tante leggende della rete, sconfessata da studi recenti. [5, 6, 7, 8, 9]
Un altro tratto problematico è legato all’eccesso di controllo che molti applicano durante una dieta, pesando tutto, evitando interi gruppi di alimenti, negandosi ogni tipo di vita sociale, facendo costante attenzione ad ogni singolo particolare. Un comportamento che non porta al successo ma, molto più probabilmente, come dimostrano diversi studi, a disturbi del comportamento alimentare e a un peso corporeo maggiore rispetto a soggetti che lavorino con una dieta flessibile, intuitiva, nella quale un certo grado di libertà sia garantito e il paziente sia responsabilizzato e spinto a compiere decisioni precise in maniera attiva. Il soggetto con un eccesso di controllo è più suscettibile a perderlo, a mangiare per compensazione e, a quel punto, ad abbandonare completamente il lavoro di dimagrimento. Gestire la dieta in maniera flessibile, sottolineando che non è il singolo pasto a decretarne il successo, ma la costruzione di nuove e più sane abitudini alimentari e di vita, è uno degli elementi che possono decisamente contribuire a mantenere nel tempo la forma raggiunta. [10, 11, 12]
Un errore tipico che ho notato in molti soggetti è quello di avvicinarsi ad una dieta con l’idea di dover mangiare in maniera radicalmente differente, con cibi particolari, rigide ripartizioni dei pasti, integrazioni, esclusione e mille altri preconcetti che vedono la dieta come punizione ed espiazione, attraverso sofferenze e rinunce, dei peccati commessi. Gli alimenti consumati dovrebbero essere blandi e poco gustosi, la varietà azzerata, le scelte limitate e severe. Purtroppo questo è il risultato di terrificanti diete commerciali, spesso brutali estremizzazioni di concetti fisiologici orecchiati male, con protocolli aberranti, restrittivi, difficoltosi da seguire, in poche parole insostenibili nel tempo, sia perché l’organismo combatte contro questo tipo di alimentazione, sia perché francamente problematici per la salute se mantenuti nel lungo periodo.
Ve lo dico con affetto: se seguite diete in cui vi consigliano di mangiare due etti di pasta a colazione e poi mezzo chilo di salmone affumicato, senza frutta e verdure e — Dio non voglia! — senza attività fisica alcuna, non aspettatevi grandi risultati stabili nel tempo. Ingannerete la bilancia per qualche mese, ma nel lungo periodo, visto che nessuno si sarà preso la briga di aiutarvi a costruire uno stile di vita sano, a scegliere in maniera autonoma, a gestirvi a tavola con attenzione a qualità e quantità di quanto consumate in relazione ai vostri impegni fisici e mentali, il grasso tornerà, magari anche con gli interessi, magari accompagnato da qualche problema ben più grave di una silhouette generosa.
Ovvio che la dieta non debba essere considerata una semplice parentesi di sacrifici da dimenticare una volta terminata: il fallimento sarebbe dietro l’angolo. La dieta è un punto di partenza, è l’occasione per creare e cementare abitudini nuove e salutari da mantenere nel tempo, ed è necessario che si tratti di abitudini sostenibili e compatibili con le esigenze del soggetto.
Lavorare con successo, dimagrire e mantenere il peso conquistato è un obiettivo possibile da raggiungere e da mantenere. È necessario però fare i conti con la nostra fisiologia e con la nostra testa, troppo spesso persa ad inseguire fantasmi piuttosto che risultati concreti, lavorando magari di concerto con un professionista che vi fornisca gli strumenti giusti per poter creare uno stile di vita salutare e che vi dia anche un metro, una sponda, un interlocutore con cui apprezzare in maniera oggettiva la bontà del vostro cammino.