Giudicando dalla quantità di materiale che circola nei vari media sul tema della nutrizione, il soggetto medio dovrebbe essere informatissimo, cosciente, responsabile, capace di mangiare in maniera sanissima ed equilibrata. Invece non è così. Perché?
Questo è il centesimo articolo che scrivo, uno alla settimana per due anni filati, “come rain or come shine” come dicono gli anglosassoni. Quando ho iniziato questa simpatica impresa l’obiettivo era di creare uno spazio dove si parlasse di alimentazione, nutrizione, diete e alimenti in maniera serena, facendo riferimento ai dati scientifici disponibili, senza iperboli, senza isterismi, senza la paura e l’ansia o, al contrario, l’immotivata fiducia quasi messianica che accompagnano spesso i discorsi su questi temi.
Non so se ci sono riuscito. Dall’esiguo numero di lettori — tutti intelligentissimi e simpaticissimi, però — posso tranquillamente affermare di aver evitato quei toni urlati e un poco isterici utilizzati da chi spaccia alimenti salvifici per ogni malattia, diete miracolose, minacce più o meno terrificanti che dal piatto sono pronte a minare in modo irreversibile la salute dell’incauto consumatore.
Non mi sogno di affermare di essere l’unica voce della ragione sul tema: ci sono, online e sui vari media, un buon numero di persone che fa un lavoro di ben più grande valore, una divulgazione corretta ed attenta sui temi degli alimenti e della nutrizione. Ma la voce della ragione spesso rimane sommersa dal frastuono di mille voci frenetiche intente a sparare, più o meno in malafede, sciocchezze che alla fine hanno come unico effetto quello di confondere e disorientare.
Lo stato, disperato, dell’arte
Di cosa parliamo quando parliamo di nutrizione? Di biochimica e fisiologia? Potremmo farlo, lo facciamo, ma il discorso rimarrebbe confinato ad una cerchia ristretta, per quanto interessante ci possa apparire. Vie metaboliche e recettori sono importanti per chi fa ricerca e per chi studia a fondo certi temi, ma per la popolazione in generale si tratta di informazioni che al meglio sono scarsamente rilevanti, al peggio possono essere fuorvianti e indurre in errori, esclusioni e scelte che cercano in studi e in dati parziali, e magari poco compresi, una giustificazione, un’alibi a comportamenti più o meno aberranti.
Di cosa parliamo quando parliamo di nutrizione? Delle proprietà meravigliose e incredibili di questo o quell’alimento, magari ricavate da qualche oscuro studio su cellule in coltura o su topi? Possiamo farlo, ma abbiamo il dovere di indicare la fonte e di specificare la reale portata dei dati che stiamo esaminando, sottolineando che spesso quei fantastici effetti che vengono riportati sono dovuti a dosi impossibili da raggiungere con un’alimentazione normale, o anche dissennata, se è per questo.
Di cosa parliamo quando parliamo di nutrizione? Di come nella medicina tradizionale di questa o quell’antica cultura — antica, mi raccomando, ché sennò non fa presa, meglio se orientale — lo zenzero, o il cumino o la cannella, o qualche altra oscurissima e misteriosa spezia, curi tutto, dal cancro alle verruche? Di come un bicchiere d’acqua con un limone strizzato, bevuto ogni mattino sul far dell’alba, sia rimedio principe per ogni condizione nota all’uomo? Certo, potremmo farlo, ma prima vediamo di catturare tutti quegli asini volanti che girano intorno alle nostre case o, se preferite, quegli unicorni che vi brucano tutta l’erbetta del giardino. Con tutto il rispetto per la saggezza e le preziose indicazioni che possono derivare dalla tradizione, quando non si utilizzino queste fonti per prendere in giro gli sprovveduti.
Di cosa parliamo quando parliamo di nutrizione? Di come certi nutrienti o certi alimenti siano la causa di ogni male? Ogni stagione ha il suo capro espiatorio in tavola, ieri burro e uova, oggi l’olio di palma, domani il glutine e così via, in un’ininterrotta girandola di fobie e paure, anche queste figlie di interpretazioni parziali dei dati scientifici, fisologia e biochimica orecchiate male, parecchio male. Spesso ci si basa su vecchi studi decisamente superati dalle acquisizioni attuali, magari manipolati ad arte per fini che sono decisamente al di fuori del campo della nutrizione, per quanto giusti o addirittura nobili.
Di cosa parliamo quando parliamo di nutrizione? Di diete miracolose, di carbodrati che ingrassano, di proteine che danno fantomatici vantaggi metabolici, di grassi omega3, omega 6, saturi o polinsaturi da dosare con il contagocce? Purtroppo di tutto questo e anche di più, in una continua, a tratti comica, a tratti disperata, talvolta patetica ricerca di una soluzione che sia rapida, indolore, magica oserei direi, una soluzione semplice a problemi e situazioni che sono invece complessi e richiedono un poco di impegno e di volontà, una presa di coscienza di quello che siamo, delle nostre abitudine, dei nostri limiti, per essere risolti. Eh, lo so, è fatica, ma le pallottole magiche non esistono, purtroppo.
Parliamo di tutto questo, parliamo male e spesso lo facciamo in maniera quasi automatica, inconsapevole, sempre più confusi dal crescente montare di informazione, spesso confusa, spesso fraudolenta, un mare nel quale è difficile orientarsi e che porta a ridurre un atto fondamentale e centrale nella nostra esperienza di esseri viventi, mangiare, nutrirsi, a un gesto immerso in paranoie, timori fobie e speranze, un nutrizionismo nel senso deleterio del termine: ridurre il cibo, gli alimenti che ci permettono di crescere e prosperare, a un semplice ricettacolo di sostanze, una somma di composti ognuno dei quali dovrebbe esercitare la sua singola, specifica azione, buona o cattiva che sia, su un certo organo, in uno specifico tessuto, su un determinato recettore.
Vogliamo ridurci tutti come il futurologo Ray Kurzweil, testina finissima quando si tratta di elettronica e informatica, che nel tentativo disperato di campare in eterno trascorre due ore al giorno su un tapis roulant — correre all’esterno potrebbe essere pericoloso, immagino — ingurgitando oltre duecento diversi integratori? O vogliamo diventare vegetariani crudisti, fruttariani, o addirittura melariani, così terrorizzati dalla supposta presenza di sostanze dannose per la salute nei vari alimenti da ridursi a consumare poche, monotone manciate di cibi, magari tragicamente e fantozzianamente disposti in modo da ricordare quei piatti, normali e avvelenati, che rifuggono come la peste?
Vogliamo davvero credere che il passato, quello romanzato e romantico dei nostri antenati, fosse il paese del bengodi dove tutti mangiavano alimenti sanissimi e crescevano forti sani e felici? Dai racconti di chi ricorda davvero quei tempi il quadro che emerge è diverso ed è fatto di fame, di pane ammuffito, di minestre fatte con un pugno di legumi, di poca frutta e rara verdura, spesso malate, di carne e pesce consumati raramente e magari mal conservati. Di grani “antichi” che si allettavano nei campi, di carestie, di ossa deboli e storte, di bambini poco nutriti che spesso non sopravvivevano ai rigori dell’inverno: nelle nostre campagne italiane, non in qualche parte del terzo mondo.
La confusione è grande sotto il sole, le informazioni tante, l’attenzione poca, la capacità di un minimo di pensiero critico, razionale — una dote preziosa che dovrebbe essere coltivata nelle scuole, fin dall’infanzia — spesso inesistente. Non ci si deve meravigliare allora se riesce difficile orientarsi e magari si finisce per mandare al diavolo tutto, rinunciando a curare un aspetto importante, fondamentale direi, della nostra vita.
Una modesta proposta
Prendo spunto da un celebre pamphlet satirico del grande Jonathan Swift — discostandomi notevolmente dal contenuto, via [1] — per avanzare qualche indicazione che possa essere utile nell’affrontare il discorso della nutrizione, del rapporto con il cibo e il movimento, dello stile di vita e delle informazioni che riguardano questi temi.
Si tratta di osservazioni personali, maturate dalle riflessioni scaturite dal mio lavoro con migliaia di pazienti — persone che si rivolgono a professionisti del settore per avere indicazioni pratiche, soluzioni per una vita migliore — da uno studio continuo e curioso di tutti i temi che riguardano il benessere — studio di lavori scientifici, testi, fonti verificabili e verificate — e infine dalla mia esperienza personale di persona da sempre interessata ai temi dell’attività fisica e dell’alimentazione.
La prima cosa da fare è prendere coscienza di quanto e cosa mangiamo, delle nostre abitudini alimentari. Quelle reali, però, non la costruzione, la narrazione mentale che molto spesso ci creiamo ad hoc, per giustificare, rendere normali i nostri comportamenti. E parlo dell’alimentazione nel suo complesso, quello che facciamo nell’arco di una settimana, di un mese, di un anno, non del singolo pasto.
C’è chi toglie lo zucchero dal caffè, o l’olio di palma dai biscotti, ed è convinto di aver risolto ogni problema, continuando a nutrirsi di spazzatura ché tanto ormai non ci sono più quelle cosacce che “fanno male”. Ci sono vegetariani che non mangiano più carne, perché il China Study (il China Study!) dice che fanno malissimo, poi magari si rimpinzano di formaggi, come se il latte crescesse sugli alberi. O ci sono gli impagabili paleoconvinti che rifiutano cereali e latticini, cibi che i nostri fieri antenati del paleolitico di certo non consumavano, per poi divorare kili di bacon – qui da noi pancetta, ma fa meno fico — alimento che notoriamente è comparso sulla terra durante il Miocene, al più tardi.
Cerchiamo di fare un’alimentazione di qualità e che sia adeguata alle nostre reali esigenze, un soggetto attiva consuma e ha bisogno di cibo, un sedentario brucerà molto di meno e dovrà accomodare i propri consumi di conseguenza. Verdura e frutta, cereali integrali e legumi, pesce e carne di qualità, latte e latticini, olio extravergine d’oliva, ruotandola e variandola, per cogliere tutti i benefici e ridurre al minimo i rischi. Se non avete un’alimentazione corretta è inutile, controproducente addirittura, che vi arrovelliate sulle percentuali di nutrienti, sulla presenza o meno di quel composto, di quell’antiossidante favoloso e salvifico, perché nulla potranno pochi milligrammi di resveratrolo — posto che il resveratrolo abbia davvero quei poteri favolosi che alcuni dicono presenti — contro un’alimentazione eccessiva e sbilanciata fatta di prodotti preconfezionati, zuccheri, grassi, il tutto consumato senza alcun controllo.
Non si tratta di scienza dei razzi, alla fine è relativamente semplice e una guida come quella del piatto della salute può essere un ottimo punto di partenza, che permetta perlomeno di prendere coscienza di quello che stiamo facendo. Non c’è bisogno di seguire diete stravaganti, liste di eliminazione, rituali di purificazione, alcalinizzazioni varie, basta usare un poco di buon senso e misura, virtù che di certo non vanno per la maggiore ma che sarebbe bene riscopriere e rivalutare, in questa era di eccessi e iperboli.
Una volta sistemato l’aspetto dell’alimentazione è necessario curare l’attività fisica: la sedentarietà uccide, è un assassino silenzioso e insidioso. I nostri nonni non stavano bene ed erano magri e scattanti perché mangiavano pasta fatta con grano Senatore Cappelli. No. Erano in forma perché si facevano almeno una decina di kilometri a piedi ogni giorno, perché lavoravano duro e si muovevano molto. E mangiavano quel poco che c’era. Che era proprio poco: la vera essenza della dieta Mediterranea.
Quindi cercate di muovervi, di fare attività fisica, che non significa necessariamente iscriversi alla palestra più vicina o allenarsi per correre la maratona, ma dedicare tutto il tempo che riuscite a riservare in una giornata che è sicuramente impegnativa e pesante, a un poco di attività fisica che faccia battere il cuore e lavorare i polmoni. Il vostro corpo, per quanto recalcitrante e dolorante all’inizio, vi ringrazierà e vedrete che, dopo poco tempo, le giornate, anche le più impegnative, non sembreranno più così pesanti.
Se sospettate di aver problemi con certi cibi non mettetevi a giocare al dottore, non eliminate arbitrariamente intere categorie di alimenti. Intolleranze e allergie possono essere diagnosticate con gli strumenti opportuni e ci sono diete specifiche per ogni condizione. Parlatene con un professionista, medico, nutrizionista, dietista, per avere indicazioni affidabili e specifiche per la vostra situazione, non affidatevi al passaparola o a quello che avete letto su qualche pagina web, particolarmente quando non cita fonti e dati a supporto di quanto affermato.
Verificate sempre le informazioni che raccogliete sul tema. Va sottolineato che in campo scientifico opinioni e pareri devono essere supportati da dati e studi e verificati attraverso un processo che, pur non privo di pecche, è rigoroso e affidabile. Se io sostengo tesi particolari devo avere dei dati ma supporto, dati freschi, che provengano da studi recenti, evidenze di valore (in questo articolo qualche informazione sul come valutare gli studi scientifici). E no, mi dispiace, l’esperienza del cugino del vostro amico, la saggezza dei monaci tibetani dell’inarrivabile monastero di Shigatse, o gli studi del ricercatore svizzero indipendente che non può pubblicare i suoi studi sennò le case farmaceutiche gli sparano, proprio non valgono non hanno alcun peso. Ognuno ha diritto alle proprie opinioni, ma le opinioni di un soggetto informato, che ha dedicato la propria vita allo studio di specifici temi hanno di certo un valore superiore a quelle di chi il mese scorso ha deciso di farsi una cultura sulle diete prive di glutine visitando pagine i cui articoli affermano sistematicamente di riportare “cosae che nessuno ti dirà”. Buon senso, si diceva. E rispetto.
Per scrivere ogni singolo articolo di solito mi passo in rassegna decine di libri — testi universitari, non “La dieta del Cocomero” di qualche star televisiva — e studi scientifici, che potete consultare cliccando su quei numeretti tra parentesi che trovate in ogni articolo.Visto che ne scrivo uno a settimana potete immaginare quanta pazienza abbiano quelli che mi stanno intorno. Faticoso ma necessario. E faccio costante attenzione a nuovi dati che possano in qualche modo rendere obsoleto quanto riportato in precedenza.
Lo faccio perché mi interessa, mi piace, perché penso ce ne sia bisogno. Non farò affermazioni sensazionali, non sono di certo una macchina da click e non mi interessa esserlo. Nel mio piccolo voglio aiutare chi sia interessato a questi temi a orientarsi meglio in un territorio difficile da affrontare.
Spero di farlo al meglio.
Continuerò a provarci.