Il termine miglio indica diverse specie di cereali originarie del lontano oriente, un tempo molto importanti per la nostra alimentazione. Ingloriosamente relegate al ruolo di mangime per animali, sono protagoniste di una recente riscoperta grazie alle loro interessanti proprietà nutritive e alla totale assenza di glutine, caratteristiche che le rendono una possibile alternativa ai cugini più diffusi.
Quando si parla di miglio si parla in realtà di un gran numero di cereali diversi, tutti caratterizzati dalla loro capaciti di crescere in terreni poveri e aridi per dare molto rapidamente un bel raccolto di chicchi piccolissimi e nutrienti.
Le specie più importanti sono Panicum miliaceum, il miglio comune, Setaria italica, il panico — entrambe coltivate in Italia sin dall’antichità — Pennisetum glaucum, il miglio perla, Eleusine coracana, il miglio africano, Panicum sumatrense, il piccolo miglio e Echinochloa crus-galli, il miglio giapponese, coltivati soprattutto in Africa, Asia e nelle Americhe.
Le ricerche più recenti indicano che il miglio comune e il panico erano già consumati nelle zone interne della Cina circa 10.000 anni fa. La capacità di crescere rapidamente in suoli aridi ne facilitò la rapida diffusione a tutta l’Asia centrale, al sucontinente Indiano e successivamente all’Europa orientale.
I greci conoscevano il miglio, ma lo ritenevano un cibo adatto soltanto ai barbari. I romani invece ne erano entusiasti consumatori, con estese coltivazioni di panico nell’Italia settentrionale e di miglio comune in quella centrale e meridionale. Tra i piatti cardine della cucina romana, sin dal tempo dei sette Re, c’era la puls fitilla, una polenta di miglio cotta nel latte che per lungo tempo è stata uno dei cibi principali dei nostri antenati, con accompagnamento di legumi, erbe e, quando era disponibile, un poco di lardo.
Nel medioevo il miglio rimane un prodotto importante destinato a nutrire le masse, mentre le classi privilegiate preferiscono il più nobile e costoso frumento.
Un duro colpo alla popolarità del miglio arriva con l’importazione in Europa del mais e della patata dalle lontane Americhe, piante in grado di soddisfare le necessita di una popolazione sempre più numerosa e esigente.
Nel giro di poco tempo il miglio si ritrova ridotto a coltura marginale — spesso destinata a territori difficili o utilizzato nei periodi estivi per garantire un secondo raccolto — per finire destinato alla produzione di mangime, soprattutto per uccelli.
Seppur minore dalle nostre parti, il miglio rimane comunque un cereale importante a livello mondiale, con una produzione complessiva di una trentina di milioni di tonnellate, di cui un terzo proveniente dall’India, mentre un altro terzo arriva da Nigeria e altri paesi africani. [1, 2]
Coltivare il miglio per divertimento e profitto
Il miglio comune e il panico sono molto simili e si distinguono soprattutto per la taglia e le caratteristiche della spiga. Si tratta di piante erbacee, annuali, che possono raggiungere un’altezza massima di un metro e mezzo, un poco meno per il panico.
Il miglio ha una pannocchia grande, lunga, formata da spighette che portano due fiori, uno esterno ermafrodita e uno interno maschile o neutro. La pannocchia del panico è più grande, compatta e cilindrica e ricorda un poco la coda di una volpe.
I semi del miglio, cariossidi, sono molto piccoli e sono avvolti da glumelle il cui colore è utilizzato per indicare le diverse varietà disponibili: miglio bianco, miglio giallo, miglio nero, miglio bicolore, miglio porpora e miglio verdastro. Le glumelle non si staccano con la normale trebbiatura e richiedono quindi un trattamento particolare visto che non sono commestibili, per la loro notevole resistenza all’azione dei succhi gastrici.
I semi del panico sono ancora più piccoli, di forma leggermente schiacciata e, come quelli del miglio, sono classificati in base alla loro differente colorazione.
Il ciclo colturale di queste piante è molto breve, 3-4 mesi, con grande capacità di accestimento ossia di formare nuovi fusti dalla bese di quello originario. Miglio e panico resistono molto bene alla siccità, crescono in terreni aridi, leggeri e sabbiosi ma temono il freddo e i ristagni idrici.
Visto il ciclo vitale rapido sono spesso utilizzati come secondo raccolto, dopo cereali invernali, con semina tra fine della primavera e inizio dell’estate. In terreni mediamente fertili non è neppure necessaria la concimazione, che potrebbe causare un’eccessiva crescita con il rischio di allettamento.
Miglio e panico sono suscettibili a diverse malattie come carbone, ruggini e patologie batteriche che richiedono un attento uso di fitofarmaci; una significativa riduzione della produzione è dovuta al consumo dei semi da parte degli uccelli che, notoriamente, ne sono ghiotti, fatto che consiglia la produzione su estensioni superiori all’ettaro.
La maturazione avviene in maniera scalare, con la granella che tende a cadere: decidere il momento giusto per la raccolta è quindi molto difficile e sempre frutto di un compromesso per massimizzare le rese che tipicamente sono di 10-20 quintali/ettaro per il miglio e di 8-12 quintali/ettaro per il panico .
La raccolta può essere eseguita meccanicamente e subito dopo la trebbiatura, visto l’eterogeneo stadio di maturazione dei chicchi, è necessario assicurarsi che l’umidità della granella non sia superiore al 13%, valore al di sotto del quale il miglio può essere conservato per periodi di tempo molto lunghi.
Le proprietà nutritive del miglio
Cento grammi di miglio danno un apporto calorico di 340 kcal. I carboidrati disponibili sono 65 grammi mentre le fibre totali 8,5 grammi: la maggior parte dei carboidrati è presente in forma di amido che, grazie alla sua particolare struttura, risulta facilmente digeribile. I grassi sono circa 4 grammi, soprattutto polinsaturi, con un discreto contenuto di omega 6.
Discreto il contenuto proteico, che varia sensibilmente in funzione di fattori genetici e ambientali. In media troviamo circa 12 grammi di proteine, con lisina e treonina come aminoacidi limitanti.
La cariosside non contiene glutine ed è quindi indicata per l’alimentazione di soggetti celiaci. Inoltre è basso anche il contenuto di FODMAP, quindi il miglio può essere consumato anche nella fase di eliminazione di una dieta a ridotto contenuto di FODMAP, in porzioni pari a un centinaio di grammi.
Buono il contenuto di vitamine del gruppo B, soprattutto B1, B2, B3 e folati; buono l’apporto di fosforo, magnesio, potassio, zinco; apprezzabile il contenuto di ferro, potassio e selenio.
Miglio e salute
Non esiste una grande letteratura scientifica sul miglio, complice probabilmente il fatto che nel mondo occidentale il suo consumo è molto ridotto. I pochi lavori disponibili riguardano soprattutto il panico e altre specie consumate soprattutto in India e in Asia.
I dati sono interessanti e mostrano che il consumo abituale di miglio, in sostituzione ovviamente di altri tipi di cereali, può migliorare il controllo glicemico in pazienti con diabete di tipo 2, con riduzione dell’emoglobina glicata, della glicemia a digiuno, dell’insulina, dei trigliceridi e del colesterolo LDL.
Incoraggianti anche gli studi sul modello animale che mostrano come estratti della frazione proteica del miglio aumentino la concentrazione di adiponectina — una sostanza dalla marcata azione protettiva nei confronti dei danni causati dal grasso viscerale — e di colesterolo HDL, con riduzione glicemia e trigliceridi. Risultati positivi ma molto limitati, che ovviamente richiedono un ulteirore approfondimento.
A mostrare che ogni alimento presenta aspetti positivi e aspetti negativi ci sono lavori che registrano come un consumo abituale di miglio perla possa interferire con la funzione tiroidea, soprattutto in zone dove il consumo di iodio è molto limitato, favorendo quindi la formazione del gozzo. Fortunatamente si tratta di una specie che non troviamo dalle nostre parti, ma il dato serve a ricordarci che non esistono cibi buoni o cattivi in assoluto, come certa informazione — di solito interessata — si affanna invece a ripetere. [3, 4, 5, 6, 7]
Il miglio in tavola
Il miglio è un cereale molto nutriente e digeribile ma prima di essere consumato va sottoposto a decorticazione per eliminare il tegumeto che lo riveste, estremamente coriaceo, resistente all’azione dei succhi gastrici e privo di valore nutrizionale.
La decorticazione può essere fatta a mano: i chicchi vanno lavati poi pestati delicatamente per separarli dalle glumelle, quindi essicati al sole e infine esposti al vento per eliminare tutti i residui. Un’operazione molto complessa che è stata completamente meccanizzata, grazie a macchine che utilizzano uno specifico circuito ad aria.
Il miglio può essere utilizzato come tutti gli altri cereali, in chicco o in farina. Quest’ultima soluzione era la preferita in passato: quasi tutti i documenti disponibili riportano ricette in cui la farina ottenuta dal cereale veniva utilizzata per produrre polenta o pane. Il miglio è tuttavia privo di glutine e quindi non lievita. Pane e focacce di miglio, consumati abitualmente in Africa e Asia, sono quindi piatti.
Con il miglio si possono preparare anche bervande alcoliche: il chakalow è una birra prodotta con chicchi fatti germogliare, tipica di alcuni paesi del sahel, in particolar modo il Burkina-Faso.
Se acquistate del miglio in chicchi lavatelo bene in acqua fredda e scolatelo. Per dare un sapore più intenso potete tostare rapidamente i chicchi in pentola, con un filo d’olio. A questo punto potete aggiungere acqua già portata all’ebollizione — si consigliano due parti di acqua per una parte di chicchi — e lasciate cuocere a fuoco lento per una ventina di minuti.
Il miglio si sposa bene a verdure di ogni tipo per piatti freddi e caldi, zuppe e insalate, magari con una piccola quota di legumi che permette di migliorare il profilo proteico del piatto.
Il miglio può anche essere aggiunto ai cereali da colazione, può essere utilizzato per preparare frittate, torte salate e budini.
Si tratta in definitiva di un cibo dal gusto deciso, conservabile a lungo, che certo non merita l’oblio in cui era precipitato. Un prodotto nutriente e digeribile, con un ridotto impatto ambientale, che potremmo portare un poco più frequentemente sulle nostre tavole.