Pochi argomenti suscitano reazioni così accese come capita quando si parla di additivi alimentari e tra questi il glutammato monosodico è uno dei più discussi, considerato da alcuni come una sostanza pericolosa e causa di potenziali problemi. Cosa c’è di vero in tutto questo?
La cattiva fama del glutammato monosodico nasce nel 1968, quando il Dott. Robert Ho Man Kwok, in una lettera al prestigioso New England Journal of Medicine, riportò una serie di fastidiosi sintomi che lo colpivano ogni volta che cenava in ristoranti cinesi: secchezza e perdita di sensibilità della bocca, sensazioni di prurito e mal di testa che in genere esordiva entro sei ore dal pasto, il tutto accompagnato da una forte sete. Era nata la Sindrome del Ristorante cinese; in breve si moltiplicarono lettere e articoli ad altre prestigiose riviste scientifiche che riportavano casi analoghi. La storia piacque molto ai media americani che ci imbastirono sopra una serie di articoli dai toni roboanti: “Il cibo cinese vi può rendere pazzi: il glutammato monosodico è il sospettato numero uno” titolava il Chicago Tribune nel 1969. In effetti, sull’onda dell’indignazione popolare alla fine il colpevole fu individuato proprio nel glutammato monosodico, un ingrediente da sempre ampiamente utilizzato nella cucina orientale, senza che in quei paesi nessuno avesse notato alcun problema. Fondamentale un articolo di Herbert Schaumburg che identificava proprio nel glutammato la causa della supposta sindrome.
E così negli anni successivi il glutammato è divenuto protagonista di una di quelle campagne terroristiche che tanto sembrano piacere al pubblico, alla continua ricerca di un colpevole per ogni problema sotto il sole. Ovviamente sul tema sono stati compiuti numerosi studi e gli organismi responsabili della sicurezza alimentare in Europa e negli USA hanno indagato a fondo il problema. Per capire meglio se sia giustificata o meno la paura che alcuni nutrono nei confronti di questo ingrediente, cerchiamo di capire di cosa si tratti e a cosa serva. [1, 2, 3]
Cosa è il glutammato monosodico
Il glutammato monosodico è una polvere bianca e cristallina, derivata dall’acido glutammico. L’acido glutammico è uno degli aminoacidi che costituiscono le proteine, sia nel regno vegetale che in quello animale. Negli esseri umani si tratta di un amino acido non essenziale, il nostro corpo è cioè in grado di produrlo autonomamente per sopperire al proprio fabbisogno.
L’acido glutammico è uno dei costituenti essenziali di molte proteine presenti nei cibi che noi consumiamo abitualmente: ad esempio glutine e caseina ne hanno un abbondante contenuto, oltre il 20% del peso della molecola. Negli alimenti l’acido glutammico può presentarsi libero, e quindi immediatamente disponibile, o legato a formare proteine, in questo caso la proteina deve essere digerita prima che l’acido glutammico possa essere effettivamente assorbito.
Carne, pesce, formaggi e mais sono decisamente ricchi di acido glutammico legato, mentre parmigiano, piselli, pomodori, mais e patate sono gli alimenti in cui l’acido glutammico si presenta libero, o meglio in forma di glutammato.
Dal punto di vista chimico il glutammato non è altro che la forma ionizzata dell’acido glutammico. L’acido glutammico in soluzione acquosa infatti, per la presenza di un doppio gruppo carbossilico COOH e di un gruppo aminico NH2, può cedere o accettare protoni, a seconda dell’acidità del mezzo, generando diversi ioni. Ad un pH superiore a 4,07, e quindi al pH fisiologico — compreso tra 7,35 e 7,45 — lo troviamo appunto in forma di anione glutammato −OOC-CH(NH3+)-(CH2)2-COO−. L’anione glutammato può legare diversi ioni positivi, formando dei sali che possono essere ottenuti in forma solida e cristallina. Il glutammato monosodico non è altro che il sale sodico dell’acido glutammico. I sali dell’acido glutammico si sciolgono molto rapidamente in acqua e sono quindi preferiti nell’uso all’acido glutammico in forma cristallina.
Nel nostro organismo, a pH fisiologico, l’acido glutammico è praticamente indistinguibile dal suo sale sodico, il glutammato appunto. L’acido glutammico ottenuto dalla digestione delle proteine forma infatti lo ione glutammato e lo stesso avviene per il glutammato monosodico, che semplicemente si dissocia a dare uno ione sodio, che verrà utilizzato o escreto a livello renale, e uno ione glutammato. Il corpo umano non è assolutamente in grado di rilevare l’origine del glutammato ingerito e non ci sono dati scientifici di alcun tipo a sostegno della teoria secondo la quale il glutammato derivante dal sale possa creare problemi in quanto assorbito più rapidamente di quello che si forma dalle proteine alimentari.
Acido glutammico e glutammato: il ruolo nel nostro organismo
Il glutammato, sia che provenga dalle proteine alimentari, sia libero, viene rapidamente assorbito a livello intestinale e utilizzato in un gran numero di processi fisiologici. Il glutammato partecipa alle reazioni di transaminazione, fondamentali per il metabolismo degli aminoacidi, ed è substrato essenziale o intermedio in un gran numero di processi come glicolisi, gluconeogenesi e ciclo di Krebs.
Il glutammato è anche un importante neurotrasmettitore, una delle sostanze che permette la trasmissione dell’impulso nervoso tra neuroni. Si tratta del più abbondante neurotrasmettitore nel sistema nervoso dei vertebrati, svolge funzione eccitatoria ed è coinvolto nei processi di apprendimento e memoria grazie al suo ruolo nella plasticità sinaptica, il processo che permette al sistema nervoso di modificare le connessioni tra i neuroni in funzione del loro uso, dell’esperienza. Il glutammato è anche precursore dell’acido γ-aminobutirrico (GABA), il principale neurotrasmettitore con funzione inibitoria.
Il glutammato non può attraversare liberamente la barriera emato-encefalica, è quindi veicolato da un sistema di trasporto attivo ad elevata affinità in grado di controllarne la concentrazione nei fluidi cerebrali mantenendola su livelli costanti. [4, 5, 6, 7, 8]
Il glutammato, l’umami e la cucina
L’acido glutamico fu isolato nel 1866 dal chimico tedesco Karl Heinrich Ritthausen, a partire da glutine trattato con acido solforico, da qui il nome del composto. Qualche anno dopo, nel 1908, il chimico giapponese Kikunae Ikeda purificò il glutammato partendo da del brodo ottenuto dall’alga kombu. Ikeda aveva notato che il sapore del tofu risultava decisamente esaltato quando veniva consumato con del brodo ottenuto da queste alghe e, da buon scienziato, si era chiesto per quale motivo questo avvenisse. La sua indagine lo portò ad isolare dei cristalli di una sostanza che di per sé non presentava un sapore spiccato ma che aggiunta ad altri ingredienti ne esaltava il gusto. Si trattava proprio del glutammato che il professore dimostrò essere responsabile del gusto umami – un termine derivante dal giapponese umai, traducibile come “delizioso” — quello che oggi viene considerato a tutti gli effetti il quinto gusto di base assieme a dolce, salato, acido ed amaro.
L’umami e diverso dagli altri gusti di base in quanto non è percepito direttamente ma va ad esaltare, a rendere più pieni ed intensi, gli aromi dei cibi con cui è consumato. Cibi ricchi di umami sono pesci e crostacei, carni conservate, formaggi, funghi e molti vegetali tra i quali pomodoro, sedano e spinaci. In realtà accanto al glutammato altre due sostanze contribuiscono a dare l’umami, l’inosilato di sodio e il guanilato di sodio, derivati dei nucleotidi abbondanti, rispettivamente, nel pesce e nei funghi.
Già nel 1909 Ikeda aveva sviluppato un processo industriale per la produzione del glutammato monosodico, a partire da grano e soia. Il successo fu immediato e il glutammato divenne rapidamente ingrediente fondamentale della cucina dell’estremo Oriente. Attualmente il glutammato monosodico viene ottenuto per fermentazione batterica in un processo che è molto simile alla produzione dello yogurt. Come materia prima si utilizza una miscela di carboidrati ottenuti da barbabietola, canna da zucchero, tapioca e melassa. In presenza di ammoniaca la miscela è fermentata da batteri del genere Corynebacterium e Brevibacterium, microrganismi che liberano il glutammato nel terreno di cultura. Il composto è recuperato, purificato e commercializzato sotto forma di monoidrato, una polvere bianca, cristallina, inodore, che in soluzione acquosa si dissocia in ioni sodio e glutammato.
Il successo del glutammato non è limitato all’Oriente. La capacità di esaltare il gusto propria della sostanza lo ha reso un ingrediente ampiamente utilizzato anche in occidente, in particolar modo nell’industria alimentare, come esaltatore di sapidità in prodotti preconfezionati, salse, condimenti, dadi da brodo e insaccati.
Negli anni 50 e 60 del secolo scorso il glutammato era addirittura uno degli ingredienti del latte in formula per neonati, una scelta che al momento appariva logica visto che il livello dell’aminoacido nel latte umano, circa 22mg/100ml, è decisamente più elevato che non nel latte vaccino, appena 2 mg/100ml; la pratica fu interrotta proprio negli anni 60, quando alcuni studi posero in relazione un eccesso di acido glutammico con possibili danni cerebrali.
Nelle etichette il glutammato monosodico è identificato dalla sigla E621 mentre l’inosilato di sodio è E631 e il guanilato di sodio è E627. [9, 10, 11, 12]
Il glutammato e la salute
Abbiamo già descritto la Sindrome del Ristorante Cinese, la presunta sequenza di sintomi, dal prurito al mal di testa, che colpirebbe chi ha consumato una eccessiva quantità di glutammato consumando piatti tipici orientali, che ne sono generalmente molto ricchi. In seguito alla pubblicazione della lettera del buon Dott. Kwok molti studi si sono susseguiti sul tema e dopo un iniziale momento di incertezza i risultati sono chiari: la Sindrome in questione non esiste, come confermato da una lunga serie di lavori, molti dei quali condotti in doppio cieco. Il consumo di glutammato monosodico non determina maggiori disturbi rispetto all’ingestione di un placebo. Analoghi studi sono stati eseguiti per quel che riguarda la comparsa di mal di testa o attacchi di asma: anche in questo caso non è stata rilevata alcuna correlazione significativa tra il consumo di glutammato e i sintomi in esame.
Non è possibile escludere che alcuni soggetti presentino una particolare sensibilità al glutammato monosodico; questi soggetti potrebbero presentare sintomi rilevanti in seguito al consumo di quantità “soglia” della sostanza, stimata da alcuni introno ai 3 grammi per pasto, ma questa situazione non può essere estesa all’intera popolazione. [13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20]
Alcuni studi sul modello animale hanno mostrato una possibile connessione tra un elevato consumo di glutammato e obesità, un dato confermato anche da alcuni studi epidemiologici su popolazioni dell’estremo Oriente. Gli autori degli studi su animali, che presentano un metabolismo dell’acido glutammico differente da quello presente negli umani, hanno ipotizzato che il glutammato consumato con il cibo possa produrre lesioni a livello delle aree cerebrali che controllano l’assunzione del cibo. Si tratta di conclusioni da verificare visto che il glutammato negli esseri umani è decisamente compartimentalizzato e quello ingerito con il cibo non è in grado di determinare variazioni significative nella concentrazione di quello presente a livello del sistema nervoso centrale. Inoltre gli studi su animali prevedevano iniezione diretta a livello dei centri cerebrali interessi del glutammato, in dosi molto elevate, e non ingestione tramite alimenti. Infine studi controllati sia su modello animale che umano non hanno permesso di evidenziare alcuna correlazione tra consumo di glutammato con gli alimenti e obesità. Una possibile spiegazione degli effetti rilevati in alcuni lavori può essere dovuta a fattori confondenti, come la modifica delle abitudini alimentari e dello stile di vita che negli ultimi decenni è avvenuta in molte aree dell’Oriente, unita ad un effetto indiretto della presenza di glutammato che rendendo il cibo più appetibile ne promuoverebbe un maggiore consumo. [21, 22, 23, 24]
Negli ambienti della pseudoscienza e delle medicine alternative il glutammato monosodico è decisamente poco popolare e libri e siti, nonché i classici lavori degli infaticabili ricercatori indipendenti, lo indicano come potenziale causa di una lunghissima serie di patologie. Il tutto si basa sugli effetti legati all’accumulo di glutammato a livello delle sinapsi che si verifica a seguito di ictus o lesioni cerebrali. In questi casi l’acido glutammico svolge un’azione eccitotossica, accumulandosi a livello delle sinapsi e provocando un massiccio ingresso di calcio a livello del neurone. L’accumulo di calcio a sua volta danneggia i mitocondri e promuove la trascrizione di fattori pro-apoptotici che portano alla morte della cellula. L’eccitossicità causata dal glutammato è in effetti legata a patologie come ictus, autismo, scerosi laterale amiotrofica, latirismo e malattia di Alzheimer. Tuttavia è necessario far notare ancora che il glutammato ingerito ha poco a che fare con il glutamato presente a livello del sistema nervoso centrale. La barriera emato-encefalica non lascia passare il glutammato che entra soltanto grazio all’azione di trasportatori la cui attività è strettamente regolata, in modo da non determinare variazioni significative della concentrazione dell’acido glutammico a livello del sistema nervoso, se non per livelli di assunzione decisamente poco realistici, superiori ai 10 grammi in un adulto.
Da sottolineare che alcuni lavori hanno mostrato che una esposizione costante dosi crescenti di glutammato può rendere i neuroni maggiormente tolleranti al danno indotto dall’eventuale accumulo, danno che è molto minore per neuroni in maturazione e che può ulteriormente essere ridotto dalla contemporanea assunzione di vitamina C.
Infine diversi studi hanno dimostrato che il metabolismo del glutammato nei bambini è tanto attivo quanto negli adulti e che quindi questa popolazione non presenta un profilo di rischio diverso da quella generale. [25, 26, 27, 28]
Glutammato: che faccio, mangio?
È giusto temere il glutammato monosodico? Dai risultati della ricerca non parrebbe. La commissione congiunta di FAO e WHO per la valutazione degli additivi alimentari ha stabilito che l’assunzione possibile con la dieta, considerato l’uso comune di questa sostanza, non richiede che venga indicata una dose accettabile girnaliera (ADI). La valutazione riguarda anche donne in gravidanza e bambini, con l’unica eccezione di neonati al di sotto delle 12 settimane, per i quali si deve evitare somministrazione di glutammato. Analoghe le indicazioni dell’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza degli Alimenti, che indica comunque una dose massima giornaliera di circa 10g.
Più articolato il parere dell’FDA, Food and Drug Administration, che rileva come in sottogruppi di popolazione sensibili al glutammato la dose giornaliera in grado di scatenare i sintomi tipici della Sindrome del Ristorante Cinese possa essere di circa 3 grammi in un singolo pasto per un adulto.
Le varie agenzie concordano tuttavia nell’escludere, alla luce dei dati attualmente disponibili, che il consumo di glutammato possa determinare danni neuronali o possa determinare alterazioni endocrine e rigettano l’ipotesi che il glutammato monosodico aggiunto agli alimenti possa differire in qualche maniera da quello “naturalmente” presente negli alimenti. [29, 30, 31]
Glutammato e dieta
Il glutammato ha guadagnato una dubbia fama a causa della Sindrome del Ristorante Cinese ma in realtà è notevolmente abbondante in una grande varietà di alimenti che consumiamo normalmente. L’alimento con il più elevato apporto di glutammato, libero e legato, è il parmigiano, oltre 11 g per 100 g di prodotto. Decisamente ricchi sono anche piselli, pomodori, mais, patate e spinaci.
Un bel piatto di pasta condita con pomodoro e parmigiano, una pizza con mozarella e pomodoro — e magari un’abbondante spruzzata di funghi — contengono un’abbondante dose di glutammato del tutto naturale, responsabile in primo luogo del gusto pieno e forte, l’umami appunto, di questi piatti. Nessuno teme la pasta al pomodoro e infatti non c’è motivo di farlo — se non per la linea, nel caso se ne mangi troppa — così come non c’è motivo di temere la cucina orientale per l’utilizzo di un ingrediente che, se fosse vero quanto riportato da alcuni, dovrebbe aver causato la completa estinzione delle popolazioni di Cina e Giappone, visto l’utilizzo che se ne fa in quei paesi.
Ricordiamo che il glutammato monosodico può essere presente in quantità nel cibo preconfezionato, in prodotti in scatola, in dadi ed estratti di carne o vegetali, in certi tipi di insaccati e altri prodotti il cui consumo dovrebbe essere decisamente ridotto in una dieta equilibrata e variata. In questo caso ridurre il consumo di questi alimenti e quindi il consumo di glutammato, non può che giovare alla nostra salute: ma il problema non sarebbe comunque il nostro aminoacido, quanto la qualità complessiva degli alimenti in cui più largamente viene utilizzato.
Se temete comnque di essere nel novero di quei soggetti che paiono essere particolarmente sensibili a questa sostanza allora leggete con attenzione le etichette degli alimenti e ricercate gli questi ingredienti o queste sigle:
- Glutammato monopotassico
- Acido glutammico
- Glutammato monosodico
- Sodio glutammato
- Sodio glutammato monoidrato
- MSG monoidrato
- E620 = acido glutammico
- E621 = glutammato monosodico, MSG
- E622 = glutammato monopotassico
- E623 = diglutammato di calcio
- E624 = glutammato d’ammonio
- E625 = diglutammato di magnesio
In definitiva la criminalizzazione subita dal glutamato è una storia tipica nel campo dell’alimentazione: si parte con un’anedottica, nobilitata dal fatto che è riportata da un medico, si passa all’isteria di massa e alla campagna mediatica, con tanto di titoloni, libri, interviste e compagnia cantante, per passare quindi a studi scientifici che tuttavia non trovano assolutamente correlazione alcuna, figuriamoci causalità. Tuttavia il danno ormai è fatto e si è creato uno dei tanti “mostri” che a detta di alcuni infesterebbero le nostre tavole, attentando ogni giorno alla nostra salute; in pratica roba da bandire, secondo i più accaniti detrattori. E la vedo difficile riuscire a bandire pomodori o parmigiano, davvero dura.
Invece non c’è da bandire nulla, basta variare l’alimentazione,. evitando il consumo eccessivo, per quantità e frequenza, di certi alimenti, senza tante paranoie e paure. La filosofia di base è sempre quella, è semplice e funziona.
Vi lascio con un brano di fine anni 90, degli ottimi Mao e la Rivoluzione, ode alla cucina da asporto cinese e all’avventurosa vita dei giovani che ne consumano: d’altronde ogni tanto un involtino primavera ci vuole.