Le fave sono un legume davvero antico, con un sorprendente contenuto di sostanze dalle notevoli proprietà, a partire dalla L-DOPA. La lunga storia le rende un caposaldo della cucina regionale di tutta Italia, ma in certi casi vanno consumate con cautela.

Le fave, Vicia faba, appartengono alla famiglia delle Leguminose o Fabacee. Si tratta di piante erbacee annuali che possono arrivare a d un metro e mezzo di altezza, con fiori bianchi o cremisi in alcuni rare esemplari. Il frutto è un baccello che nelle varietà moderne può arrivare ad una lunghezza di 25 cm, rivestito internamente di uno strato spugnoso biancastro, che contiene 3-10 semi schiacciati di grandi dimensioni, dai 2 ai 5 cm di lunghezza, il cui colore va dal verde, al rosso, al bruno a seconda delle diverse cultivar. La varietà utilizzata per l’alimentazione umana è soprattutto la Vicia faba var. major, con baccelli e semi di grandi dimensioni. Vicia faba var. minor è utilizzata per il sovescio, ossia per arricchire di azoto il terreno, vista la presenza di batteri azotofissatori nei noduli radicali, carattere comune a tutte le leguminose, mentre Vicia faba var. equina è utilizzata soprattutto per la produzione di foraggio.
Si tratta di una pianta molto resistente che ama temperature fresche e tollera bene suoli ad elevata salinità, da seminare a fine autunno/inizio inverno per una raccolta che va da maggio a giugno. Numerosi i parassiti e le malattie che possono ridurre anche drammaticamente la resa, in specie alcune specie di afidi, funghi e batteri.

La fava è probabilmente originaria dell’area del Mediterraneo, si ritiene sia una delle prime piante domesticate, ed era coltivata già nell’antichità dagli Egizi che pare non la apprezzassero particolarmente. Tra i greci le fave oltre che in cucina — si diceva fossero il cibo preferito da Ercole — erano utilizzate, secche, per le votazioni e si riteneva vi si reincarnassero le anime dei defunti. Il buon Pitagora ne vietava non solo il consumo ma anche il contatto ai suoi adepti: si narra che inseguito dai suoi nemici si sia trovato di fronte un campo coltivato a fave e si sia rifiutato di attraversarlo, permettendo agli inseguitori di catturarlo e giustiziarlo.

Anche tra i romani il legume era molto apprezzato e consumato, fresco o secco, in particolar modo dalle classi più povere, per le quali era prezioso sostituto della carne; e deve aver funzionato bene, vista l’enorme estensione dell’Impero al suo culmine. La gens Fabia, una delle più antiche e nobili famiglie romane, deve il proprio nome a questo legume che Plinio il Vecchio ci dice fosse il loro favorito. Il solito Apicio, masterchef ante litteram, nei suoi libri propone diverse ricette tra cui gustose zuppe speziate.
Portate nel nuovo mondo da Colombo sono coltivate, in altura, anche nelle regioni tropicali. I maggiori produttori mondiali sono Italia, Cina, Egitto, Etiopia e Marocco.

Fave proprietà nutrizionali

Il buon, vecchio Quinto Fabio Massimo, sconfisse Annibale praticamente ignorandolo. Nel frattempo lui e gli amici romani coltivavano e apprezzavano legumi.

Le proprietà nutritive delle fave

Le fave fresche crude hanno un contenuto calorico davvero ridotto, appena 41 kcal per 100 grammi. I carboidrati sono appena 4,5 g, la fibra, per la maggior parte insolubile, ammonta a circa 5 g mentre i grassi si fermano ad appena 0, 5 g. Buono il contenuto di proteine, intorno ai 5 g. Le proteine presenti sono globuline, albumine, prolamine e gluteline, con una buona presenza dei vari aminoacidi, per i quali si stima un assorbimento del 90% quando i semi vengano cotti. Leggermente carenti gli aminacidi solforati cisteina e metionina. L’alto contenuto proteico fa sì che questi legumi possano essere considerati una delle migliori alternative al consumo di prodotti di origine animale, in specie carne rossa. Alcune delle proteine presenti, in soggetti sensibili, possono determinare sensibilizzazione e scatenare reazioni allergiche.

[1] Tra le vitamine abbondantissimi i folati, la vitamina B1 e la vitamina B2 mentre tra i minerali importante il contenuto di manganese, magnesio, fosforo, rame, ferro, potassio e zinco.
Ovviamente nel prodotto secco i valori aumentano decisamente con un contenuto calorico che arriva intorno alle 224 kcal, zuccheri a 15 g, fibra oltre i 20 g, grassi a 3 g e proteine oltre i 21 g.

Accanto all’abbondanza di nutrienti le fave presentano anche un contenuto apprezzabile di diversi anti-nutrienti, la maggior parte dei quali può essere facilmente eliminata con ammollo di 8-12 ore e cottura ad elevata temperatura. Le saponine sono problematiche soprattutto per gli animali, danno un sapore amarognolo al frutto fresco ma nell’uomo hanno anche mostrato effetti positivi, con riduzione del colesterolo, stimolazione del sistema immunitario e azione anticarcinogenica [2]. Le lectine sono proteine in grado di provocare problemi gastrointestinali, tuttavia,ad eccezione della favina, sono facilmente distrutte dalla lavorazione del prodotto. L‘acido fitico lega numerosi minerali e riduce l’assorbimento di ferro e calcio, ma ha anche effetto benefico in quanto può fungere da agente chelante per metalli pesanti e altri inquinanti: il contenuto è elevato nel seme fresco ma si riduce notevolmente con ammollo e cottura. I tannini possono interferire con digestione e assorbimento di proteine e ioni, danno al seme fresco il caratteristico sapore astringente, ma hanno anche importanti proprietà di prevenzione e antiossidanti.
Spesso si parla delle fave, come di altri legumi, come di cibi da eliminare propri per la presenza di questi anti-nutrienti: come sempre si tratta di posizioni estreme che non tengono conto di come sia più importante il sottile gioco di interazioni tra le varie sostanze presenti nell’insieme dei cibi che consumiamo piuttosto che la singola azione, spesso determinata in laboratorio, di uno specifico componente isolato. Detto questo, sappiamo che il consumo di fave per alcuni soggetti può avere conseguenze davvero importanti.

Fave e favismo

Chiusi nel loro baccelli, i semi di questo legume sono ricchissimi di nutrienti di buon valore, dai minerali alle proteine.

Fave e favismo

I semi di fava contengono vicina e convicina, due glucosidi che hanno funzioni protettive contro i numerosi patogeni che attaccano la pianta. La concentrazione è massima nei semi giovani e tende a ridursi progressivamente durante la maturazione. Il consumo di fave fresche in soggetti sensibili può portare a crisi emolitiche anche molto gravi. Si parla di favismo, una malattia genetica ereditaria dovuta ad una carenza di un particolare enzima la glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD), enzima coinvolto nella via dei pentoso-fosfati, una via metabolica che converte il glucosio in pentoso-fosfati, utilizzati nella sintesi di acidi nucleici. Durante queste reazioni G6PD ricostituisce le scorte di NADPH (NAD fosfato ridotto), a sua volta necessario per ricostituire la scorta di glutatione ridotto, il principale composto anti-ossidante della cellula. Nei soggetti affetti da favismo il consumo di fave, con l’assunzione di vicina e convicina, va ad interferire con questi meccanismi, e la carenza di G6PD funzionale, più o meno grave a seconda della forma della malattia, comporta un accumulo di prodotti dei processi ossidativi che nei globuli rossi, dove questa via è l’unico processo per ottenere glutatione ridotto, porta a danni tali da determinare la lisi della menbrana del globulo rosso e quindi la distruzione dell’intera cellula. Ne consegue un quadro di crisi emolitica conn ittero per accumulo di bilirubina e, nei casi più gravi, insufficienza renale acuta.

Il favismo è ben noto dall’antichità e descritto in tutto il bacino del Mediterraneo, ed è una forma particolare di carenza della glucosio-6-fosfato-deidrogenasi. Si tratta del più più comune difetto enzimatico umano e la sua diffusione probabilmente è dovuta alla resistenza che i soggetti che ne sono affetti presentano nei confronti della malaria, fattore che ne ha favorito comunque la conservazione in popolazioni di aree plagate da questa malattia. La presenza di questo difetto impone molta attenzione, oltre che al consumo di fave, anche all’utilizzo di particolari farmaci come la primachina, non utilizzato in Italia, che in soggetti malarici affetti da carenza possono scatenare gravi crisi emolitiche. [3, 4]

Il contenuto di vicina e convicina può essere ridotto attraverso ammollo prolungato in acqua acida o alcalina, e attraverso la cottura: in particolar modo efficai paiono essere bollitura e frittura che possono portare ad una riduzione oltre il 40% delle due sostanze incriminate.

Fave e l-dopa, trattamento del Parkinson

Un modo davvero gustoso di consumare fave fresche, ricche di L-DOPA, è insieme a dell’ottimo pecorino romano.

Fave e levodopa

Le fave sono una delle maggiori fonti naturali di L-DOPA, un aminoacido non proteico da cui per decarbossilazione si forma la dopamina, un neurotrasmettitore della famiglia delle catecolamine la cui produzione risulta carente nei soggetti affetti da malattia di Parkinson. La L-DOPA presente nelle fave, fungendo da precursore per la sintesi di dopamina, è stata oggetto di studi su soggetti affetti da Parkinson, come sostituto o adiuvante alla terapia con prodotti sintetici. Il risultato degli studi, pur se incoraggiante, non giustifica di certo l’abbandono dei farmaci di sintesi, anche se alcuni pazienti affetti da Parkinson hanno mostrato benefici apprezzabili e un miglioramento della sintomatologia grazie ad un consumo regolare di fave. Va sottolineato che il contenuto di L-DOPA varia molto in base a terreni e condizioni di crescita del legume, con valori massimi nel baccello verde e riduzione importante con maturazione, essiccazione e cottura dei semi, fattori di cui tenere di conto quando si voglia introdurre il legume nella dieta di un soggetto affetto da questa malattia. [5, 6, 7]

Fave usi in cucina e ricettte

Un’insalata di fave, grano saraceno e pomodori secchi testimonia
la versatilità di questi legumi.

Le fave in cucina

Quando acquistate il prodotto fresco scegliete baccelli grandi e robusti, privi di macchie o area rovinate. Le fave vanno sgranate a mano, un processo laborioso, e una volta pulite sarà possibile asportare l’escrescenza che copre il seme e quindi tutta la cuticola esterna, operazione consigliata quando il prodotto non sia fresco di giornata; è infatti la cuticola a dare al seme il sapore amarognolo. La cuticola può essere eliminata con facilità anche scottando le fave in acqua bollente e immergendole quindi in acqua fresca, oppure tenendo le fave fresche in ammollo per 12-24 ore, cambiando l’acqua due o tre volte, procedura che elimina anche saponine, fitati e altri anti-nutrienti presenti nei semi.
Baccelli e  fave fresche possono essere conservati per qualche giorno in frigorifero. Le fave fresche sgranate possono essere sbollentite e congelate.

Le fave secche si trovano in commercio con la buccia oppure decorticate. Nel primo caso prima di cucinarle vanno tenute in ammollo per 12-16 ore, mentre per le fave decorticate sarà sufficiente un ammollo di una decina di ore. Le fave secche possono essere conservate molto a lungo, in un luogo fresco ed asciutto.

Le fave fresche possono essere consumate crude o cotte. Crude e con la cuticole hanno un sapore astringente e amarognolo, dovuto alla presenza di saponine e tannini, che ben si sposa ai formaggi, in particolar modo il pecorino romano,  e all’olio d’oliva:  probabilmente il modo più semplice ma nello stesso tempo stuzzicante e gustoso di consumare questi legumi. La pellicina può essere asportata con facilità per lasciar emergere il gusto dolce  e farinoso del seme. Le fave crude oltre che col formaggio sono ottime anche per preparare insalate miste, leggerissime con verdure o più sostanziose con formaggi e pancetta o magari tonno e uova sode, come avviene nell’insalata nizzarda.

Le fave fresche possono esser cotte in meno di venti minuti e sono ottime per la preparazione di primi piatti, sia con riso che con pasta: anche qui l’abbinamento ideale è con il pecorino e un pizzico di menta, con interessanti soluzioni a base di seppie, senza disdegnare il più classico utilizzo del guanciale. Ottime anche le frittate con fave, accompagnate magari da piselli o altre verdure. Ovviamente le fave ben si prestano alla preparazione di purea, che poi può essere ingrediente per preparare polpette, creme o addirittura sughi. I falafel sono deliziose polpette speziate tipiche del medio oriente, a base di fave e altri legumi.Come alternativa alla carne le fave possono essere la base di sostanziosi piatti, saltate in padella con del pomodoro o stufate con ingredienti più o meno saporiti. La fabada è un piatto tipico spagnolo in cui le fave  sono preparate in umido con salsicce, maiale e cavolo.

Le fave secche vanno cotte, con tempi lunghi oltre le due ore e possono essere utilizzate per preparare stufati e zuppe. Un piatto tipico siciliano è il macco, una zuppa in cui le fave sono cotte e schiacciate con l’aggiunta di verdure e aromi, in genere finocchietto selvatico, e abbondante olio d’oliva. Ingredienti molto semplici per un piatto che si dice risalga ai tempi dei romani. Quod erat demonstrandum, i legumi dell’impero.

Fave, uso in cucina e preparazione, macco

Si dice che risalga ai tempi dei romani, il Macco, una zuppa di fave secche tipica della Sicilia. magari l’ha inventato Quinto Fabio Massimo mentre temporeggiava.