Ci sono persone che riferiscono di aver sempre fame, di ricercare in continuazione il cibo. Spesso si tratta di individui in sovrappeso. E spesso si tende a giudicare troppo in fretta queste persone, liquidandole come deboli e prive di volontà, mentre alla base di certi comportamenti possono esserci anche cause genetiche.
La fame è una sensazione fastidiosa, profondamente negativa e in grado di spingerci alla ricerca e al cunsumo di cibo. Una fame costante , un appetito insaziabile possono portare ad un significativo aumento del grasso corporeo. Numerosi studi hanno mostrato che la quantità di grasso che un organismo accumula è regolata, in definitiva, dal cervello in risposta a diversi segnali: principale tra questi è un ormone, la leptina, che viene prodotto dallo stesso tessuto adiposo. Semplificando, il tessuto adiposo produce leptina in funzione della sua massa e quindi il livello di leptina circolante indica al cervello la quantità di grasso presente nell’organismo.
Il cervello risponde alla variazioni di leptina attivando specifici gruppi di neuroni, di cui due sono i più importanti:
- I neuroni POMC localizzati nel nucleo arcuato dell’ipotalamo producono la Proopiomelanocortina (POMC), un pro-ormone da cui per azione enzimatica si formano diversi ormoni la cui funzione è quella, tramite stimolazione di altre aree cerebrali, di ridurre l’appetito e il consumo di cibo, sia nell’immediato, sia su scale temporali più lunghe. [1]
- I neuroni AgRP, anche questi localizzati nel nucleo arcuato dell’ipotalamo, producono il peptide correlato alla proteina Agouti (AgRP) che è uno dei più potenti stimolatori dell’appetito. [2]
Quando l’attività dei neuroni POMC sale l’appetito scende e il grasso corporeo diminuisce, quando invece sale l’attività dei neuroni AgRP l’appetito aumenta, la fame cresce, e il grasso corporeo si accumula. La leptina agisce su queste due popolazioni di neuroni andando ad attivare i neuroni POMC e al contempo riducendo l’attività dei neuroni AgRP: in pratica l’azione della leptina è quella di ridurre l’appetito e la fame e quindi controllare in questo modo l’accumulo di grasso corporeo.
Ognuno di noi, a livello del DNA, presenta un corredo di geni che è caratterizzato da piccole ma significative variazioni, variazioni che determinano differenze molto importanti sul comportamento verso il cibo e sull’accumulo di grasso corporeo. Secondo alcuni autori addirittura il 70% delle variazioni individuali relative a peso e accumulo di grasso possono essere ricondotte a queste differenze genetiche. Numerosi studi hanno cercato di far luce sulla natura di queste differenze e una buona parte dei risultati sembra indicare che tra i geni che regolano l’accumulo di grasso corporeo una netta maggioranza determina strutture e funzioni di specifiche aree del cervello. In particolar modo sono molto studiati proprio quei geni che codificano per le strutture coinvolte nei meccanismi di regolazione dell’appetito controllati dalla leptina. [3, 4, 5]
Uno dei geni che presenta significative variazioni è proprio quello che codifica per la Proopiomelanocortina. In particolar modo si ritiene che una inattivazione del gene per questa proteina possa essere causa dell’obesità infantile nell’uomo, almeno nel 5-6% dei casi, e anche negli animali. [6]
Uno studio recente eseguito su modello animale, in questo caso oltre 300 cani Labrador retrivier, ha permesso di evidenziare come tra i cani obesi la mutazione che porta a inattivazione dei prodotti del gene POMC fosse molto pù diffusa che non tra i cani con peso corporeo normale. La presenza delle copie difettive del gene porta a un aumento di peso, che nel caso degli animali omozigoti, con due copie del gene non funzionale, è rilevante, con una media di oltre 4kg in più rispetto agli animali provi del gene difettoso. Gli animali con la mutazione oltre che più grassi risultano anche maggiormente motivati alla ricerca e al consumo di cibo. [7]
La tendenza all’obesità, il comportamento nei confronti del cibo, una fame ed un appetito costanti che portano ad una continua ricerca di cibo, possono avere una base genetica, e sia in modelli animali che nell’uomo, i geni coinvolti sembrano essere quelli delle vie che controllano l’appetito, sopprimono la sensazione di fame e riducono l’accumulo di grasso corporeo.
In definitiva per alcuni soggetti la fame è un vero e proprio fatto genetico, dovuto a mutazioni che riducono l’efficienza di quei meccanismi raffinatissimi e complessi, che controllano ricerca e assunzione di cibo.
Il risultato di questi studi significa quindi che non c’è nulla da fare e che chi è “nato affamato” è destinato a diventare e rimanere grasso, qualunque cosa faccia? Assolutamente no: la genetica è soltanto uno dei fattori in gioco, un fattore certamente importante ma non determinante. Come abbiamo visto i meccanismi che regolano l’appetito sono estremamente complessi e coinvolgono una messe di segnali disparati che arrivano dal corpo al cervello. È nel cervello che questi segnali producono una risposta, risposta che può in effetti essere non adeguata se nella via che la determina esistono anomalie. Tuttavia i problemi possono essere anche nella catena che produce i segnali che arrivano al cervello e di certo un ruolo importante, se non determinante, lo gioca anche l’ambiente in cui viviamo, un ambiente obesogeno, come alcuni lo definiscono, che favorisce il consumo di una quantità di cibo, ricchissimo di calorie e spesso povero di nutrienti, decisamente superiore alle nostre necessità. Cibo molto spesso particolarmente appetibile e quindi in grado di incentivare il consumo, particolarmente in quei soggetti che, mettiamola così, sono particolarmente vulnerabili a questo richiamo per cause genetiche.
È importante capire che esistono queste particolari situazioni per ridurre quell’aura di biasimo e di riprovazione che molto spesso accompagna persone sovrappeso, un riflesso quasi automatico che induce a giudicarle deboli e non in grado di controllarsi di fronte al cibo. Potremmo non essere di fronte a carenze caratteriali, potremmo aver a che fare con problemi fisiologici oggettivi sui quali sarebbe opportuno intervenire con un adeguato supporto che non è soltanto nutrizionale ma che deve coinvolgere anche la sfera psicologica e comportamentale, per impegnarsi in una battaglia che è certamente molto dura ma che di sicuro può essere combattuta e vinta. [8]