Una recente rassegna di un gran numero di studi ha messo a confronto diete a basso contenuto di grassi -low fat- con altri tipi di diete al fine di valutare quale fosse la strategia in grado di garantire un dimagrimento più efficace sul lungo periodo.
Le diete a ridotto contenuto di grassi sono state estremamente popolari negli anni 70 e 80 e molto spesso hanno portato a formulare piani alimentari in cui l’utilizzo dei grassi, di qualsiasi tipo e provenienza, veniva ridotto in maniera drastica, spesso al di sotto del 10% dell’apporto calorico giornaliero totale, che per un apporto medio di 2000 calorie corrisponde a poco più di 20 grammi totali di grassi in giornata, un valore francamente incompatibile con un’alimentazione decente. Il tutto nella ingenua convinzione che tagliando i grassi l’organismo sarebbe stato costretto a utilizzare quelli gelosamente tenuti in riserva, ipotesi semplicistica e ben lontana dalla complessa realtà biochimica e fisiologica del corpo umano.
Lo studio: quanti grassi nella dieta?
Il dibattito sul tipo di dieta che potesse dare i migliori risultati ha continuato ad infuriare a lungo, generando un gran numero di studi e rassegne. Tra queste appare interessante l’ultima pubblicata in ordine di tempo, uno studio che è stato pubblicato sul numero del 30 ottobre di The Lancet Diabetes & Endocrinology, un importante giornale scientifico inglese, ed è stato realizzato da ricercatori del Brigham and Women’s Hospital e dell’Harvard T.H. Chan School of Public Health.
Scopo del lavoro è stato quello di esaminare la notevole massa di lavori scientifici sul tema delle diete a basso contenuto di grassi (low-fat) per appurare se queste fossero più efficaci di diete a basso contenuto di carboidrati (low-carb), di diete a maggior contenuto di lipidi, o di quella che può essere considerata la dieta standard, per la perdita di peso ed il mantenimento sul lungo periodo.
I ricercatori hanno raccolto i risultati di un gran numero di studi su interventi in cieco e rassegne riguardanti i vari tipi di dieta escludendo tutti i lavori comprendenti oltre che la dieta anche interventi sull’attività fisica e quelli nei quali si è fatto uso di integratori come sostituti del pasto, selezionando soltanto gli studi in cui l’intervento si è prolungato per oltre un anno. Gli studi che hanno soddisfatto i rigidi criteri di selezione sono stati 53, per un totale di oltre 68.000 soggetti esaminati.
I risultati parlano chiaro: le diete a ridotto contenuto di grassi non si mostrano più efficaci di altri tipi di dieta nel determinare perdita di peso. Il solo vantaggio che mostrano è nei confronti di una dieta standard, ma un risultato di questo tipo è ovviamente atteso.
Analogamente non si evidenzia alcun vantaggio nel mantenimento del peso conquistato sul lungo termine nei confronti di diete low carb o diete a più elevato contenuto in grassi. Il solo vantaggio è, ancora una volta, nei confronti di diete standard.
La conclusione degli autori è questa:
I dati raccolti indicano che l’effetto sul lungo periodo delle diete a basso contenuto di grassi dipende dall’intensità dell’intervento rispetto alle diete utilizzate come paragone o controllo. Quando l’intensità degli interventi è simile i dati derivanti dagli interventi in cieco non permettono di indicare come migliori le diete a basso contenuto di grassi rispetto ad altri tipi di diete per la riduzione del peso sul lungo periodo.
Interessante il commento di Deirdre Tobias, una tra gli autori del lavoro, che afferma che “nonostante il dogma imperante che è necessario tagliare i grassi nella diete per poter perder peso il nostro studio ha invece evidenziato che le diete a basso contenuto di grassi non danno risultati migliori rispetto ad altre tipologie di intervento. Infatti non abbiamo trovato prove che permettano di affermare la superiorità di un qualsiasi contenuto in grassi nell’eliminazione del peso in eccesso e nel mantenimento sul lungo termine del peso raggiunto. È necessario guardare oltre criteri vecchi come il rapporto tra contenuto in grassi, carboidrati e proteine, per parlare finalmente di sane abitudini alimentari, qualità dei cibi e dimensioni delle porzioni. Dobbiamo trovare nuove modalità di lavoro che permettano di aumentare l’aderenza alla dieta nel lungo periodo, che permettano di controllare e limitare l’aumento di peso, strategie fondamentali per il mantenimento di un peso corretto, essenziale per conservare un buon stato di salute.”
Un altro degli autori, Frank Hu, dell’harvard T.H. Chan School of Publi Health precisa che “Una perdita di peso significativa può essere raggiunta egualmente con diversi tipi di dieta. la chiave è assicurare l’aderenza a lungo termine e il benessere cardiometabolico. Perciò le diete dimagranti dovrebbero essere ritagliate sulla cultura, sulle preferenze alimentari e sulle condizioni di salute del soggetto e dovrebbero anche considerarne le conseguenze sul benessere per il lungo periodo.”
Il messaggio finale probabilmente pare scontato ma è di notevole importanza: piuttosto che concentrarsi in maniera maniacale su un singolo nutriente è importante valutare la dieta nella sua globalità, cercando di rispettare le preferenze dell’individuo, ponendo l’accento soprattutto su abitudini alimentari corrette, una scelta giudiziosa dei cibi e non dei singoli nutrienti e, questo sì importante, grande attenzione alle porzioni consumate.
Per chi volesse consultare lo studio: Effect of low-fat diet interventions versus other diet interventions on long-term weight change in adults: a systematic review and meta-analysis – Dr Deirdre K Tobias, ScD, Mu Chen, ScD, Prof JoAnn E Manson, MD, Prof David S Ludwig, MD, Prof Walter Willett, MD, Prof Frank B Hu, MD
The Lancet Diabetes & Endocrinology, 29 Ottobre 2015