La nostra alimentazione sta diventando un campo minato. Tra allarmi costanti per i rischi rappresentati da questo o da quel cibo, diete fantasiose basate sull’eliminazione di alimenti ingrassanti, allergie, intolleranze, veleni e catastrofi ambientali incombenti, quello che, oltre che una necessità, dovrebbe essere un piacere si sta trasformando in un percorso di rinunce e paure.
Nel XXI° secolo è di moda mangiare “senza”, almeno nell’Occidente ricco, prospero, preoccupato. Una moda che parte da lontano — ci sono sempre stati soggetti che hanno fatto fortuna proponendo un’alimentazione più o meno restrittiva — ma che negli ultimi anni sta assumendo proporzioni preoccupanti. Si mangia senza glutine, si eliminano i prodotti animali, non si consumano i cereali o i legumi, si rinuncia alla frutta, si scansa il pesce, si vive di soli alimenti crudi, in una continua e frenetica rincorsa ad un ipotetico benessere che dovrebbe essere garantito dalle nostre scelte virtuose.
I motivi che spingono a queste scelte sono diversi: la preoccupazione per la propria salute, il desiderio di vivere meglio e più a lungo, l’interesse per l’ambiente e la sostenibilità delle nostre scelte alimentari. Motivi legittimi, giustissimi, anche nobili, che tuttavia finiscono per sfociare in scelte estreme, spesso basate sulla paura e sull’emotività, piuttosto che su di una analisi razionale dei dati.
Gli studi scientifici sono branditi come mazze da combattimento, in maniera assolutamente impropria, per dimostrare la pericolosità ora di questo alimento, ora di quello. Chi dovrebbe occuparsi di informazione banalizza ed amplifica, distorce ad arte per ricavare titoli d’effetto e individuare il nuovo alimento”killer”. Si alimentano paura e diffidenza, ieri verso i grassi saturi, poi verso gli zuccheri, oggi nei confronti dell’olio di palma e domani chissà. Nascono così prodotti ad hoc, pensiamo all’invasione dei cibi “light” degli anni 90, pensiamo agli scaffali dei supermercati dove nel giro di pochi anni si sono moltiplicati gli spazi per alimenti senza glutine, pensiamo alla campagna contro l’olio di palma che negli ultimi mesi ne ha praticamente imposto l’eliminazione da un gran numero di prodotti.
E pensiamo alle mode alimentari, dalla paleo che elimina gli alimenti ritenuti non ancestrali, individuati su basi non propriamente scientifiche, al crudismo che impone di evitare qualsiasi alimento cotto, alle diete low-carb con il loro sacro terrore verso zuccheri e insulina; una miriade di proposte e di soluzioni che tagliano gli alimenti più diversi, accampando motivi spesso fantasiosi e privi di ogni reale fondamento scientifico.
Si tratta tra l’altro di un terreno fertilissimo per l’industria, per il marketing, per cialtroni e imbonitori di ogni tipo, pronti a sfruttare paure e preoccupazioni per lucrare il più possibile, sia direttamente, con prodotti pensati per questi palati imbavagliati, sia indirettamente, con diete, programmi alimentari, soluzioni “miracolose” all’insegna dell’esclusione.
Prima di tagliare la propria alimentazione sarebbe bene riflettere ed informarsi. E informarsi non è facile, paradossalmente, in questa era di comunicazione pervasiva e multiforme. Per molti è difficile valutare l’attendibilità delle fonti e spesso si finisce con il prendere per vere le peggiori bufale, mine vaganti di disinformazione disseminate ad arte.
Esercitare il proprio senso critico è importante. Chi vi propone di rinunciare a certi alimenti ha l’onere della prova, e dovrebbe portarvi evidenze scientifiche di valore. Se l’articolo che leggete sulla pericolosità del glutine fa riferimento alle ricerche indipendenti di un fantomatico professore tedesco, oppure spara cifre iperboliche senza indicarne la fonte, lamentando il fatto che nessuno vi rivelerà mai queste scomode verità, allora qualche domanda sulla bontà di quanto state leggendo dovreste comunque farvela.
E se vengono citati nuovi studi di prestigiose Università e Istituzioni sarà il caso di chiedersi cosa dica realmente lo studio, per quale scopo sia stato realizzato e se i risultati siano effettivamente applicabili alla popolazione nel suo insieme o riguardino invece situazioni e gruppi precisi.
L’alimentazione della paura
La contrapposizione manichea tra alimenti buoni e cattivi è del tutto errata. Tutti i cibi che consumiamo hanno lati positivi e lati negativi. Focalizzare l’attenzione su un singolo componente ritenuto pericoloso, arrivando ad eliminarlo, potrebbe portare a consumare di più alimenti che hanno altri e ben più gravi problemi, crogiolandosi in una falsa sicurezza legata al fatto che il cattivo di turno è stato eliminato.
L’attuale della frenetica e isterica corsa all’eliminazione dell’olio di palma è un esempio di questo atteggiamento. Via il terribile olio — in una commistione indefinita tra nebulose motivazioni scientifiche non supportate da dati solidi e istanze ambientali importanti ma spesso distorte e strumentalizzate — e luce verde per il consumo di biscottini, merendine, crackers, snack a tutte le ore, che ormai tanto sono sane. Idiozia assoluta. L’olio di palma è indicatore di alimenti industriali, trasformati e manipolati, ricchi di calorie e poveri di nutrienti. Non dobbiamo chiedere che alimenti di questo tipo siano”senza” un qualche ingrediente, dobbiamo semplicemente consumarne di meno, senza criminalizzarli perché non si tratta di veleni, ma con attenzione: non è che rimosso il palma se ne vanno tutti i problemi connessi a certe scelte.
E analogamente assurdo è il comportamento di quei vegetariani che eliminata la temibile carne si rimpinzano di cereali e formaggi, o l’atteggiamento dei convinti assertori della paleo che evitano come la peste cereali e legumi mentre si riempiono il piatto di bacon, che notoriamente era uno dei piatti principali nelle comode ed accoglienti grotte in cui vivevano i nostri fortunati antenati. In entrambe i casi l’aver rinunciato a cibi “cattivi” fa sentire autorizzati a consumare indiscriminatamente tutti gli altri alimenti, percepiti come “buoni” a prescindere.
Se non siete celiaci non ha alcun senso eliminare il glutine, anzi, in assenza di una diagnosi certa, l’eliminazione potrebbe essere controproducente e mascherare una celiachia latente. Non consumare i legumi perché contengono lectine e fitati che vi privano di minerali è sciocco, così come rinunciare alla carne perché per l’AIRC è un cancerogeno di classe 2 è una reazione esagerata. Specie se continuate a consumare alcolici, che contengono alcol, un cancerogeno di classe 1, in quantità rilevanti.
Le preoccupazioni per l’ambiente sono legittime ma non devono assumere connotati grotteschi o terroristici. E si dovrebbero sempre valutare le conseguenze di scelte e rinunce. L’olio di palma distrugge le foreste? Vero. Ma anche la coltivazione della soia, o del mais, o del girasole. E impegna maggiori quantità di terreno. Allevare bovini costa all’ambiente? Assolutamente. Ma quanto costerebbe fornire lo stesso nutrimento utilizzando soltanto prodotti vegetali? Anche qui le scelte “senza” mostrano spesso un pensiero superficiale e pigro che sposa la causa di turno senza valutare attentamente le conseguenze di certe “soluzioni”. Non sto dicendo che il nostro atteggiamento verso l’ambiente sia perfetto, anzi, possiamo e dobbiamo migliorarlo se vogliamo sopravvivere su questo pianeta, ma non è semplicemente rinunciando a un dato cibo che otterremo i risultati sperati.
Purtroppo viviamo in un’era di paure e questa paure vengono trasferite anche al cibo, che dovrebbe essere una fonte di vita e finisce invece per diventare valvola di scarico delle nostre nevrosi e delle nostre ansie, un mezzo con il quale rivendicare un’identità incerta, una qualche appartenenza, fino a sfociare in vere e proprie guerre di religione nelle quali l’alimentazione è soltanto un pretesto e un veicolo per affermare sé stessi e la propria visione del mondo.
Per un’alimentazione equilibrata
Gli esseri umani sono onnivori, la nostra fortuna evolutiva è in gran parte dipesa dalla nostra capacità di adattarci al consumo dei cibi più disparati e diversi. Questo non significa che dovremmo ingurgitare di tutto, senza preoccuparci di nulla, ma indica nella misura e nella scelta consapevole una strada che di certo non è semplice ma è probabilmente la più adatta alla nostra natura.
Ci sono dei casi in cui, per patologie reali, dalla celiachia, ad allergie, all’insufficienza renale, è effettivamente necessario eliminare o limitare il consumo di alcuni alimenti. E diete di eliminazione temporanea possono essere utili per alleviare i sintomi legati all’intolleranza ai FODMAP. Ma si tratta di casi e situazioni particolari, che vanno affrontati assieme ad un professionista della nutrizione che saprà guidarvi nella diagnosi e nel trattamento di queste condizioni.
Se non abbiamo di questi problemi non cerchiamo un’alimentazione “senza”, non pretendiamo alimenti “senza”, soluzioni semplici a problemi complessi che, nel lungo periodo non solo si mostrano inefficaci, ma possono addirittura essere dannose. Cerchiamo invece di variare costantemente i cibi, privilegiamo frutta e verdura, legumi e cereali integrali, preferiamo carne e pesce di qualità, magari consumandone un po’ meno. Mangiamo in funzione dei nostri bisogni, non per riempirci la pancia o esorcizzare le nostre nevrosi. Mangiamo in maniera consapevole, con attenzione alla nostra salute e alla salute del pianeta, ricordando quella massima fondamentale che ci insegna che “È la dose che fa il veleno“.
Capisco che faccia meno interessante che potersi dichiarare seguace di un qualche tipo di moda alimentare, capisco che sia più faticoso che ingozzarsi di sanissime merendine senza olio di palma, ma è di sicuro più produttivo e proficuo per il nostro benessere. La paura non porta lontano, la conoscenza e la consapevolezza lo fanno.