Un articolo scientifico pubblicato sul British Medical Journal ha attirato l’attenzione dei media che non hanno perso l’occasione di sparare titoloni ad effetto: “Il cibo spazzatura causa il cancro!”. Bella scoperta, direte voi, probabilmente appena più impegnativa di quella dell’acqua calda. In realtà il lavoro è molto interessante, ben eseguito e utilizza un nuovo sistema di classificazione dei cibi, NOVA, che è davvero interessante e permette di capire bene quali siano davvero i cibi ultra-processati.
Che un consumo esagerato di cibo spazzatura possa rappresentare un problema per la salute penso non sia una sorpresa per nessuno. Che uno studio di notevole valore confermi quanto intuito da molti è positivo, anche se per qualcuno sarà sembrato un lavoro inutile, la classica scoperta dell’acqua calda, una conferma non necessaria ad un dato che si dà quasi per scontato. In realtà il lavoro comparso sul British Medical Journal, opera di un team di ricercatori francesi, presenta molti aspetti interessanti e vale la pena di essere valutato con attenzione, sia per il rigore e l’attenzione con cui è stato progettato ed eseguito, sia per il sistema di classificazione dei cibi che è stato scelto, il NOVA, un sistema solido e di sempre maggior uso nell’ambito della ricerca.
Di preciso, cos’è questo cibo spazzatura?
Il termine cibo-spazzatura fu utilizzato per la prima volta negli USA negli anni 50 del secolo scorso, ma soltanto nel 1972 fu utilizzato in ambito scientifico da Michael F. Jacobson, fondatore del Center for Science in the Public Interest, organizzazione che da anni si batte per una alimentazione migliore in un paese che qualche problema con il cibo in effetti ce l’ha.
Un termine che ha sempre avuto una definizione vaga, indicando un insieme di prodotti industriali in genere poveri di nutrienti ma molto ricchi di calorie. In ambito scientifico si è cercato di definire con maggior precisione il concetto, valutando parametri meglio quantificabili, con massima attenzione rivolta al grado di lavorazione dei cibi piuttosto che a specifici aspetti legati alla presenza o meno di nutrienti. Diversi sono stati i metodi proposti per classificare gli alimenti dalla IARC, dall’EFSA e dall’IFIC, organismi di sorveglianza e centri studi che hanno cercato di individuare con un buon grado di precisione la natura dei cibi ultra-processati, in modo da poterne valutare il consumo e le eventuali conseguenze sulla salute.
I sistemi esistenti sono purtroppo difformi e di difficile comparazione, un fatto che ha spinto allo sviluppo di un nuovo sistema di classificazione chiamato NOVA, basato su 4 categorie che permettono di ordinare cibi ed alimenti in base a grado e obiettivo dei processi di lavorazione cui sono sottoposti. NOVA definisce le lavorazioni come”i processi fisici, chimici e biologici che interessano i vari alimenti una volta che siano separati dalla natura e prima che siano consumati o utilizzati nella preparazione di piatti.” Un sistema che dopo diverse revisioni è ormai maturo ed è stato utilizzato in diversi lavori ed indagini , sintetico e di facile utilizzo rispetto al più completo, ma complesso FoodEx 2 della EFSA. [1, 2, 3, 4]
Diversi gli aspetti legati alla lavorazione dei cibi che un gran numero di studi hanno mostrato avere un possibile impatto sulla salute del consumatore:
- utilizzo di acidi grassi trans e altri prodotti derivanti dalla esterificazione ed idrogenazione dei grassi;
- utilizzo di quantità elevate di zucchero e di sale;
- tecniche di conservazione particolari come la salagione e l’affumicatura;
- tecniche di cottura che possono portare alla formazione di sostanze considerate cancerogene come l’acrilamide (frittura) o le ammine eterocicliche e gli idrocarburi aromatici policiclici (cottura al forno, a fuoco vivo, alla brace, alla piastra);
- utilizzo di additivi particolari come i nitriti o l’ossido di titanio che sono risultati problematici in studi su modello animale;
- utilizzo di materiali per il confezionamento degli alimenti che potrebbero presentare problemi a livello endocrino, come il bisfenolo A.
L’attuale revisione del NOVA, prendendo in considerazione tutti questi aspetti connessi alla lavorazione degli alimenti, classifica i cibi in 4 gruppi:
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Cibi non lavorati o minimamente lavorati
Sono così indicate le parti commestibili di piante ed animali da cui siano state rimosse le parti non commestibili. Sono inclusi in questa categoria anche alghe, funghi, latte ed acqua. Questi prodotti possono essere consumati freschi o sottoposti a processi che ne possano prolungarne la conservazione come refrigerazione, congelamento, essiccazione, sotto-vuoto e fermentazione non alcolica. Nessuno di questi processi deve comportare l’aggiunta di sali, grassi o zuccheri all’alimento. Sono consentite anche lavorazioni come la triturazione di semi, la tostatura del caffè, la fermentazione del tè e quella del latte per produrre yogurt e kefir. Sono consentiti alcuni additivi come antiossidanti e addensanti in alcuni prodotti confezionati.
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Ingredienti culinari lavorati
Si tratta di alimenti ottenuti direttamente da prodotti del gruppo 1 attraverso tecniche di taglio, pressione, raffinazione, triturazione, molitura e utilizzati per la preparazione di pane, pasta, brodi e zuppe, insalate, bevande e dessert. In genere si tratta di alimenti utilizzati con cibi del primo gruppo, come condimenti o ingredienti di piatti complessi: sale marino, miele, oli vegetali, burro o lardo e anche aceto. La pasta fresca prodotta utilizzando acqua e farina appartiene a questo gruppo. Anche qui possono essere utilizzati additivi come antiossidanti, umettanti, addensanti, antibatterici o stabilizzanti.
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Cibi lavorati
Si tratta di prodotti semplici, ottenuti utilizzando ingredienti del primo e secondo gruppo, lavorati per migliorarne la conservazione o renderli più palatabili e gustosi. Possono essere utilizzati direttamente o come ingredienti di piatti più complessi. La maggior parte di questi cibi ha due o tre ingredienti e le lavorazioni includono cottura, conservazione e fermentazione non alcolica. Il gruppo comprende verdure, frutta e legumi in scatola, frutta e semi secchi e/o salati, carne lavorata o affumicata, pesce in scatola, formaggi e pane fresco. Bevande alcoliche come vino, birra e sidro appartengono a questo gruppo. Anche qui sono permessi additivi con azione antiossidante o antimicrobica.
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Cibi ultra-processati e bevande
Si tratta di prodotti industriali che utilizzano diversi ingredienti, con abbondanza di zuccheri, oli, grassi, sali, antiossidanti, stabilizzanti e conservanti. Ingredienti particolari e presenti soltanto in alimenti di questo gruppo sono sostanze e additivi che hanno lo scopo di imitare i caratteri organolettici di alimenti del gruppo 1 oppure di mascherare caratteristiche poco desiderabili del prodotto. Alimenti del gruppo 1 sono presenti in piccola quantità o sono addirittura assenti in queste preparazioni. Le sostanze utilizzate posso essere estratte da cibi del gruppo 1, come caseina, proteine del siero, lattosio, glutine; possono ottenute da lavorazione di grassi, oli, proteine e zuccheri, come gli acidi grassi trans , le proteine isolate della soia o lo sciroppo di glucosio-fruttosio; possono essere additivi di vario tipo come coloranti, esaltatori di sapidità, emulsionanti, umettanti e così via (in questo articolo maggior informazioni sugli additivi alimentari). Altre lavorazioni, esclusivamente di tipo industriale, sono estrusione, modellazione e preparazione a particolari tipi di cottura come la frittura.
Si tratta di alimenti pronti da consumare, in genere intesi per sostituire alimenti del gruppo 1 o piatti preparati con alimenti del gruppo 1 e 2. Sono di solito alimenti iper-palatabili, venduti in confezioni attraenti, oggetto di campagne di marketing aggressive spesso destinate a bambini e adolescenti, talvolta supportati da claim salutistici basati sulla presenza di specifici ingredienti. Appartengono a questo gruppo:- bevande zuccherate e gassate;
- energy drinks;
- sciroppi e succhi di frutta;
- pane, pizza e prodotti da forno preconfezionati;
- cereali da colazione;
- pasticcini, torte, caramelle e dolciumi;
- marmellate;
- creme spalmabili;
- margarine;
- salse da condimento;
- piatti preconfezionati a base di pasta;
- zuppe e brodi in scatola o liofilizzati;
- piatti preconfezionati a base di carne, pesce, formaggi e verdure;
- bastoncini e bocconcini a base di pollo, tacchino e pesce;
- patatine fritte e chips;
- hamburger e hot-dogs;
- wurstel e preparati a base di carne lavorata;
- latte al cacao, bevande e preparati a base di latte, yogurt alla frutta;
- gelati;
- prodotti light di vario tipo;
- pasti sostitutivi e barrette;
- prodotti di distillazione come grappa, whisky, rum e vodka
A questo punto dovremmo avere chiaro di cosa si parla quando si parla di cibo spazzatura o cibo ultra-processato, una miriade di alimenti allineati in silente attesa nei kilometri e kilometri di scaffali di ogni supermercato.
Cibo spazzatura e cancro: lo studio
“Consumo di cibi ultra-processati e rischio di cancro: risultati dalla coorte prospettica NutriNet-Santé” è il titolo dello studio che tanto clamore ha generato sul tema, opera di un team di ricercatori francesi. Come evidente già dal titolo si tratta di uno studio di coorte, un lavoro in cui è stato seguito un grande gruppo di persone per lunghi periodi, raccogliendo una grande massa di informazioni relative a variabili di interesse come consumo di certi alimenti, stili di vita e così via, con l’obiettivo di valutare una possibile associazione tra il consumo di cibo spazzatura e certe forme di cancro.
Lo studio ha seguito circa 104.000 soggetti, età media 42 anni, dal 2009 al 2017, valutandone le abitudini alimentari attraverso la somministrazione periodica di questionari, utilizzando dei moduli attraverso i quali è stato possibile misurare il consumo di 3300 alimenti diversi, classificati in base al sistema NOVA che abbiamo descritto sopra.
L’analisi statistica dei dati raccolti è stata utilizzata per valutare l’associazione tra il consumo di alimenti ultra-lavorati e rischio per tumori del seno, della prostata, del colon-retto e del rischio globale di cancro. Il lavoro di analisi è stato molto scrupoloso e si è cercato di ridurre al minimo, utilizzando sofisticati modelli matematici, le distorsioni dovute ad altre variabili in gioco, dal fumo di sigaretta all’attività fisica, dall’età al livello di istruzione, fino all’uso o meno di contraccettivi.
Il contributo medio di cibo spazzatura alla dieta dei soggetti studiati è risultato intorno al 18% dei consumi totali, un valore relativamente ridotto rispetto a stime che per alcuni popolazioni indicano un consumo che potrebbe arrivare intorno al 50% del totale. Il consumatore più assiduo di questi cibi è risultato essere giovane, fumatore, con un basso livello di istruzione, un elevato introito calorico complessivo, con consumo elevato di zuccheri, carboidrati e sodio e un basso livello di attività fisica. Tra i cibi spazzatura i più gettonati risultano essere dolciumi e caramelle, seguiti da bibite gassate, cereali da colazione e alimenti a base di farine, succhi di frutta e prodotti conservati a base di frutta e verdura, prodotti a base di carne e pesce, grassi e snack salati.
Un elevato consumo di alimenti ultra-processati — un incremento del 10% sul consumo giornaliero complessivo — è risultato essere associato ad un aumento di circa il 12% del rischio globale di cancro e a un aumento dell’11% del rischio di tumore al seno, in particolar modo nel periodo post-menopausale. Non sono state rilevate associazioni significative per il tumore della prostata mentre esiste una debolissima associazione per il cancro del colon-retto, non significativa dal punto di vista statistico.
Punti di forza dello studio sono l’ampio campione, la durata prolungata e la notevole attenzione posta alla raccolta dei dati e all’eliminazione dei fattori confondenti in grado di alterare in maniera significativa i risultati. Tuttavia il campione non è omogeneo — netta predominanza di donne, circa l’80% del totale — e per le particolari modalità di arruolamento risulta probabilmente più attento ai temi legati ad alimentazione e salute, con un livello sociale e professionale e un grado di istruzione più elevati rispetto alla media. Il tutto potrebbe comportare una sottostima del consumo di cibo spazzatura e quindi una analoga sottovalutazione della forza dell’associazione registrata. Come sempre, uno studio di questo tipo deve essere considerato un punto di partenza e non di arrivo, come avviene invece nei media: sono necessari nuovi studi controllati che esaminino i vari aspetti legati al consumo di cibi ultra-lavorati, in modo da chiarire i possibili meccanismi che legano questi consumi alle patologie indagate.
Un elevato consumo di cibo spazzatura è indice di una dieta di bassa qualità, ricca di zuccheri, grassi e sodio e povera di fibre e micronutrienti. Soggetti con elevato consumo di questi alimenti sono spesso sovrappeso o addirittura obesi e spesso poco attivi: sedentarietà e obesità sono importanti fattori di rischio e potrebbero rappresentare un contributo importante agli effetti osservati dallo studio. Lo studio ha preso in considerazione la massa corporea dei partecipanti e anche la qualità complessiva dell’alimentazione: le associazioni osservato sono comunque rimaste, nonostante le correzioni, il che fa sospettare che comunque altri fattori possano essere in gioco. Gli autori fanno notare che nel cibo spazzatura sono presenti un gran numero di differenti additivi e sostanze di vario tipo, sia aggiunte in produzione sia formate durante la lavorazione, un carico che nel lungo periodo, con consumi elevati, potrebbe diventare importante e dar luogo a interazioni problematiche. Studiosi come Bruce Ames fanno notare che la quantità complessiva di queste sostanze rimane comunque molto ridotta e che il problema maggiore di questi alimenti ultra-processati è dovuto alla ridotta presenza di micronutrienti la cui carenza sarebbe uno dei fattori alla base della genesi di patologie degenerative come il cancro.
Cibo spazzatura: che faccio, mangio?
Pur con tutti i limiti legati ad uno studio di tipo epidemiologico, lo studio citato è comunque interessante e va a consolidare quanto già emerso in altri lavori che hanno indicato associazione tra sovrappeso, obesità, ipertensione e consumo di cibo spazzatura. [5, 6, 7, 8, 9]
Le indicazioni che scaturiscono da questi lavori sono chiare e possono essere riassunte in cinque punti chiave, basati proprio sulla classificazione degli alimenti secondo il sistema NOVA:
- gli alimenti del gruppo 1, cibi non lavorati o minimamente lavorati, devono essere la base di una dieta equilibrata. Prodotti freschi, frutta e verdura, carne, pesce, latte, cereali, legumi e semi sono i cibi da preferire;
- gli alimenti del gruppo 2, oli, grassi, sale, miele, devono essere utilizzati con parsimonia: si tratta di condimenti che servono a rendere più gustosi i nostri piatti e non dovrebbero alterarne in maniera significativa il profilo nutrizionale;
- gli alimenti del gruppo 3 dovrebbero essere consumati in piccole quantità, come ingredienti o portate di pasti che sono basati su prodotti freschi e non lavorati. Stiamo parlando di verdure, frutta e legumi in scatola, frutta e semi secchi, carne lavorata o affumicata, pesce in scatola, formaggi, pane fresco, vino, birra e sidro;
- gli alimenti del gruppo 4, i prodotti ultra-processati, il cibo spazzatura, vanno evitati o consumati saltuariamente, con estrema parsimonia, in modo che la loro eventuale e sporadica presenza non porti a diminuire il consumo di prodotti freschi;
- preferite sempre prodotti freschi, poco lavorati, utilizzandoli come ingredienti per i vostri piatti e i vostri pasti. Non rimpiazzate cibi che potete prepararvi da soli con prodotti preconfezionati. Dedicate un minimo di tempo e di attenzione alla preparazione del cibo che consumate, i vantaggi per la vostra salute saranno notevoli;
- non dimenticate che anche gli alimenti freschissimi che mangiate vanno comunque consumati nelle giuste quantità, in funzione dei vostri bisogni e senza esagerare. Il fatto che siano freschi e poco lavorati non vi autorizza ad ingozzarvi: si possono creare problemi anche abusando di alimenti di qualità, naturali, biologici e a km zero. E senza olio di palma.
Attenzione, misura, rispetto di quello che mettiamo sul piatto, delle risorse e del lavoro che sono state necessarie a produrlo, della nostra fisiologia e della nostra salute sono l’ingrediente essenziale per limitare ogni rischio e per una miglior salute. Senza scaricare responsabilità su mostri che, tutto sommato, è facile evitare.