Pochi temi sono oggetto di un dibattito così acceso come quelli legati al consumo di carne: è indispensabile, è pericoloso, è essenziale per l’organismo, è causa di ogni male, è drammatico per il pianeta, è insostenibile, è parte essenziale della nostra cultura. I punti di vista sono molteplici e spesso sostenuti con una foga e un ardore che paiono più appartenere a guerre di religione che a ponderate considerazioni razionali.
Vorrei cercare di raccogliere, in questo articolo, quelle che sono le più recenti posizioni scientifiche sull’argomento; tanto per chiarire la mia posizione sull’argomento, io seguo una dieta onnivora. Non ho mai amato le posizioni estreme e sono lontano dalle esagerazioni e radicalizzazioni che spesso si trovano nel campo vegetariano/vegano o tra le tribù paleo amanti della carne ad ogni costo. A me la carne piace ma non ne sono un grande consumatore. La ritengo un alimento importante nella dieta, ma non essenziale. Sono consapevole delle implicazioni etico/morali che il consumo di carne ci pone, e ancor di più sono conscio dei problemi di tipo ambientale che il massiccio consumo di carne moderno pone in un pianeta dove ogni risorsa è sfruttata spesso oltre ogni ragionevole limite.
Detto questo è evidente che nella vita di ogni giorno facciamo miriadi di compromessi, visto che pochissimi se la sentirebbero di rinunciare a tutti quegli agi che un moderno stile di vita ci ha messo a disposizione e che spesso hanno un impatto sul’ambiente ancor più devastante. Lasciamo quindi da parte queste considerazioni e affrontiamo un tema ben preciso: il consumo di carne è fattore di rischio per patologie cardiovascolari?
Ancel Keys, il pioniere
Ancel Keys è stato il biologo, fisiologo ed epidemiologo statunitense, praticamente l’inventore della Dieta Mediterranea, che per primo ha avanzato la tesi che potesse esistere un legame tra un eccessivo consumo di grassi e malattie cardiovascolari n un suo studio del 1953. I dati raccolti da Keys mostravano una correlazione evidente tra il consumo di grassi, essenzialmente di origine animale, e la mortalità per queste patologie. Al tempo le critiche furono numerose, ma anche revisioni importanti dei dati presentati da Keys, come quella di Yerushalmy et Al, continuarono a mostrare una correlazione di questo tipo, anche se meno accentuata. [1, 2]
Keys era un ricercatore molto attento e continuò i suoi studi con metodo e determinazione: il coronamento del suo lavoro è il Seven Country Study, uno studio epidemiologico condotto su sedici popolazioni in sette paesi campione, tra cui l’Italia. Lo studio è molto preciso nel determinare dieta e stile di vita dei soggetti coinvolti, pur con il limite di utilizzare campioni di 20/50 uomini per estrapolare i dati dell’intera popolazione: uno studio ecologico, le cui conclusioni sono considerate di minor rilevanza nello stabilire causalità. [3] Le indicazioni più importanti emerse da questo studio, in parte ancora in corso, sono:
- una correlazione forte tra i colesterolo circolante e rischio cardiovascolare;
- una correlazione forte tra consumo di grassi saturi e colesterolo circolante;
- una correlazione forte tra consumo di grassi saturi e rischio cardiovascolare.
Poiché la maggior parte dei grassi saturi delle diete in esame proveniva da grassi animali, ne risultò che il consumo di carne presenta una evidente correlazione con il rischio cardiovascolare.
I primi risultati furono pubblicati nel 1970 e sono alla base della fobia verso i grassi che fu estrema tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso.
Gli studi di popolazioni tribali
Ci sono aree del mondo in cui vivono popolazioni che raggiungono età venerabili in ottime condizioni di salute. Queste aree sono state definite Zone Blu, una di queste è nella nostra Sardegna, e sono tutte caratterizzate da alcuni tratti comuni: una dieta basata su cereali —spesso integrali— legumi e verdure, un’importante attività fisica, bassi livelli di stress e un consumo moderato di carne, uova e latticini. Sebbene in nessuna di queste aree si consumino diete vegetariane, l’utilizzo di carne è inferiore rispetto a quello riportato nella dieta occidentale, uno spunto importante per studi più approfonditi che possano mostrare una eventuale relazione.
Numerosi studi eseguiti in popolazioni rurali, in Africa e Asia, con diete basate su cereali, tuberi e verdure, mostrano in genere una ridotta incidenza di patologie cardiovascolari, ma la dieta potrebbe non essere l’unico fattore in gioco.
Popolazioni di cacciatori raccoglitori, con diete ricche di cibi animali, sono state poco indagate: un’eccezione è rappresentata dagli Esquimesi, la cui dieta tradizionale è basata su un’elevatissimo consumo di grassi animali e tra i quali l’incidenza di patologie cardiovascolari è estremamente ridotta. Difficile però comparare una popolazione che vive in ambienti estremi con la popolazione urbana del mondo occidentale.
Un capitolo a parte meriterebbe il China Study di Campbell, che tanta fortuna mediatica ha riscosso negli ultimi anni: uno studio epidemiologico di tipo ecologico, eseguito su popolazioni della Cina rurale le cui draconiane affermazioni sul consumo di grassi e proteine animali come fonte assoluta di ogni male sono state ampiamente contestate dalla comunità scientifica, in primis da Hu e Willett della Harvard School of Medicine, che ne criticano metodologie e soprattutto, conclusioni, estreme, allarmistiche e non supportate dai dati raccolti. [4, 5, 6]
Lo stato attuale della ricerca
Il Seven Country Study ha aperto un filone di ricerca importante e frequentato. Le migliaia gli studi condotti sul tema hanno però mostrato un quadro molto più sfumato e complesso rispetto a quanto individuato dalo studio capostipite.
Un dato costantemente confermato è quello relativo al rapporto esistente tra consumo di carne lavorata e rischio cardiovascolare. Mangiare anche modeste quantità giornaliere di derivati della carne come salumi, insaccati, prodotti industriali a base di carne e così via, aumenta in modo significativo il rischio cardiovascolare.
Meno netti i risultati relativi alla carne rossa non lavorata, che parrebbe avere un ruolo marginale e non altamente significativo, così come quello della carne bianca, apparentemente priva di rischi. [7, 8, 9, 10]
Numerosi sono gli studi condotti su popolazioni o gruppi vegetariani e vegani. I risultati indicano generalmente un’incidenza ridotta di malattie cardiache in questi gruppi. Alcune meta analisi tuttavia mostrano come la riduzione sia maggiore tra i latto-ovo-vegetariani e i pescetariani -termine tremendo che indica chi si nutre di solo pesce tra i cibi di origine animale- piuttosto che tra i vegetariani o i vegani.
Molto interessante uno studio inglese condotto tra soggetti reclutati tra gruppi di vegetariani e non vegetariani, entrambi con con uno stile di vita altamente salutare, che ha mostrato come la differenza in mortalità per malattie del cuore fosse statisticamente non significativa tra i due gruppi, ma decisamente inferiore rispetto a quella di una popolazione normale [11, 12, 13, 14].
Quest’ultimo articolo è particolarmente interessante perché evidenzia tutte le difficoltà inerenti a studi di questo tipo. In primo luogo il ruolo importante di tutta una serie di fattori confondenti che sono molto difficili da includere e valutare nell’esecuzione degli studi: mentre il consumo di alcol e il fumo sono sempre presi in considerazione, molto più difficile è determinare l’impatto dell’attività fisica, dello stile di vita generale, di specifiche scelte nella dieta e nella vita di ogni giorno. Come mostra questo lavoro le differenze importanti di mortalità che si osservano fra vegetariani e onnivori tendono ad azzerarsi quando si consideri un gruppo di onnivori salutista, con un atteggiamento nei confronti del proprio stile di vita comparabile a quello dei vegetariani, generalmente molto attenti a questi aspetti.
Studi di intervento, con soggetti sottoposti a diete particolari, hanno mostrato che la correlazione tra il consumo di colestrolo nella dieta ha una importanza molto minore di quanto si pensasse, mentre rimane apprezzabile il contributo dovuto agli acidi grassi saturi, in un quadro che comunque appare molto confuso e sottolinea la natura complessa e multifattoriale delle malattie del sistema cardiocircolatorio. [15, 16, 17] Il fattore protettivo osservato in alcuni studi su diete vegetariane potrebbe essere dovuto in larga misura al maggior consumo di soia, in grado di ridurre il colesterolo LDL, e di fitonutrienti e fibra, piuttosto che alla semplice assenza di carne. [15, 16]
Nel considerare il legame tra il consumo di carne e certe patologie è importante valutare anche le modalità di cottura con cui la carne viene preparata: cotture alla brace o alla griglia, a temperature assai elevate, portano infatti alla produzione di composti che, oltre che potenzialmente carcinogenici, possono essere fattori di rischio anche per malattie cardiache. Tuttavia il prblema della cottura ad alta temperatura non è esclusivo della carne ma riguarda praticamente tutti i cibi.[17]
Alcune ipotesi ancora in esame postulano un qualche legame tra un elevato introito di ferro, legato al consumo di carne rossa, e malattie cardiovascolari, ma le ricerche in questo senso non hanno prodotto risultati di nota. Analogamente l’ipotesi che suggerisce un ruolo di alcuni acidi sialici, tipici della carne rossa, non è ancora supportata da studi significativi. [18]
Cosa si deve fare, allora?
Come avrete letto, se avete resistito fino a questo punto, la ricerca non dà risposte nette sul tema che ci sta, letteralmente, a cuore. Gli studi disponibili ci pemettono però di tirare alcune conclusioni che, come sempre per quanto attiene alla scienza, sono suscettibili di revisioni all’emergere di nuovi dati:
- la carne lavorata e conservata —insaccati, salumi, wurstel, prodotti industriali a base di carne e così via— mostra un’importante correlazione con il rischio di malattie cardiache, quindi andrebbe consumata in quantità modeste e non molto spesso. Purtroppo gli affettati, spesso accompagnati da formaggi, sono protagonisti dell cene degli italiani molto frequentemente. Sarebbe meglio considerare questi cibi come delle leccornie da consumare occasionalmente, prediligendo quelli più magri, particolarmente se abbiamo già un alto rischio cardiovascolare. Per soggetti sani un consumo accettabile potrebbe essere di non più di 200g a settimana, divisi in 3/4 porzioni. Naturalmente più il prodotto è grasso, minore la porzione da consumare ;
- la carne rossa fresca mostra una correlazione molto più bassa, ridottissima in alcuni lavori, anche se sono necessari studi più approfonditi sul tema. In questo caso sarebbe opportuno puntare alla qualità del prodotto, magari scegliendo la carne di animali allevati con metodi naturali e non industriali, carne che mostra un contenuto più basso di grassi saturi e più elevato di acidi grassi Ω3, con un impatto quindi probabilmente molto minore sulla salute di cuore e vasi. Consumare magari meno di frequente, sostituendo la carne di allevamento intensivo, prodotto industriale a tutti gli effetti, con un prodotto di qualità, certificato, come la Chianina e le altre razze di pregio, riducendo un poco il numero di porzioni settimanali, magari aumentando il consumo di pesce. [19, 20, 21]
- la carne bianca parrebbe essere innocente: ciò non significa che si possano consumare quantità industriali di petto di pollo o tacchino, come avviene in certe dissennate diete dimagranti. Anche in questo caso è evidente che la carne di animali allevati a terra o all’aperto è di gran lunga superiore a quella di animali da batteria, e andrebbe preferita quando possibile.
- vegetariani e vegani mostrano effettivamente un’incidenza minore di malattie dell’apparato cardiovascolare, anche se è difficile quantificare quanto sia l’eliminazione del consumo di carne o lo stile di vita generalmente più attento, con un elevato consumo di sali minerali e fitonutrienti, a determinare questo effetto.
Alla fine penso che un consumo di carne attento a qualità e quantità non rappresenti un fattore di rischio determinante quando ci sia un’attenzione adeguata ad altri importanti aspetti dello stile di vita: una sufficiente attività fisica, una dieta che preveda un buon consumo di frutta e soprattutto di verdure, una selezione attenta di cibi non raffinati, il monitoraggio costante ma non ossessivo della propria condizione di salute e del proprio peso corporeo, il controllo dello stress, possono essere fattori importanti, molto importanti, nel ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, senza per questo dover rinunciare a certi piaceri -o necessità? un discorso che approfondiremo in un altro articolo- che proprio questo devono essere, piaceri, e non inutili e dannose esagerazioni.