Ai romani e ai greci l’avena non piaceva: era una malaerba, al massimo buona per sfamare i cavalli. Per una volta i nostri nobili antenati si sbagliavano e trascuravano un cereale che ha buone proprietà nutritive, in grado di dare un piccolo aiuto nella lotta contro il diabete e altre patologie.
L’avena, Avena sativa, è un cereale della famiglia delle Poaceae, originario dell’area della mezzaluna fertile. La specie coltivata è un esaploide, ha cioè ben sei copie di ogni cromosoma, derivante da una complessa storia evolutiva, con continue ibridazioni tra le diverse specie di avena selvatica: una storia che si è dipanata per oltre trenta milioni di anni in un ambiente che ha visto profondi cambiamenti del territorio e del clima. [1]
L’avena era già nota a Greci e Romani, che la disprezzavano e la utilizzavano come mangime per i cavalli. Migliore la fortuna nei paesi dell’Europa continentale, dove è divenuta uno degli alimenti di base, in Scozia e in tutta la penisola scandinava, grazie alla sua capacità di crescere in climi freschi ed umidi, proibitivi per gli altri cereali. Il successo non dev’essere comunque stato travolgente se l’inglese Samuel Johnson, nel suo Dizionario del 1755, definiva ancora l’avena in questo modo:
Un cereale, che in Inghilterra generalmente si dà ai cavalli, ma che in Scozia sfama il popolo.
L’epoca d’oro dell’avena inizia alla fine dell’800, negli Stati Uniti, grazie ad un intraprendente immigrato tedesco, tale Ferdinand Schumacher, che propone una prima versione dei fiocchi d’avena come cereale da colazione, e al solito astuto mago del mercato, l’americano Henry Crowell, che inizia a commercializzare i fiocchi già confezionati sotto un marchio che ancora trovate sugli scaffali dei supermercati d’oltreoceano: Quaker Oats.
L’avena oggi è un componente immancabile nel muesli, è apprezzato cereale da colazione e ingrediente di barrette e snack. La produzione annuale è di oltre 25 milioni di tonnellate, con una tendenza costante alla diminuzione. Russia, Canada, Polonia e Australia sono tra i principali produttori del cereale. In Italia sono coltivati ad avena appena 150.000 ettari.
Coltivare avena per divertimento e profitto
L’avena è una pianta annuale che cresce bene in zone temperate. L’apparato radicale ha sviluppo notevole, il fusto è robusto, le foglie ampie. L’infiorescenza ha numerose ramificazioni che portano delle spighette, ognuna con due o tre fiori. Le cariossidi, — i chicchi, in cui il corpo fruttifero è unito al seme — sono vestite, sono cioè ricoperte da rivestimenti, le glume o brattee, che aderiscono strettamente ai tegumenti del frutto. I piccoli semi possono essere bianchi, gialli, rossi, grigi o neri e in molte varietà sono ricoperti da una fitta peluria.
La semina si fa in ottobre o, più spesso, in marzo-aprile, vista la scarsa resistenza al gelo della pianta. L’avena ha consumi idrici elevati, secondi solo a quelli del riso, e teme molto il secco, specie durante la formazione dei chicchi, e quindi è adatta a climi freschi e umidi. Si adatta a terreni molto diversi, magri, sciolti o ricchi di sostanze organiche poco decomposte; è più sensibile del grano alla salinità del terreno. Richiede concimazione con azoto e fosforo, trattamento con diserbanti e, se necessari, anticrittogamici. La raccolta è fatta in tarda estate e la produzione media è di circa 3-4 tonnellate per ettaro. Il miglioramento genetico mira soprattutto a ridurre l’allettamento, ossia il ripiegamento a terra dello stelo che espone la pianta a malattie e ne rende difficile la raccolta, e migliorare la resistenza al freddo. Poche le varietà italiane, la maggior parte delle varietà coltivate sono di origine nord-europea, selezionate per quei climi, con semina primaverile, e quindi poco adatte al nostro clima.
Una volta raccolta l’avena viene ripulita per eliminare sabbia, sassi e altre impurità. Il chicco viene fatto seccare e quindi viene tostato a bassa temperatura, un processo che gli dona il tipico sapore e permette l’eliminazione del rivestimento esterno. La tostatura è necessaria anche per inattivare un enzima in grado di scindere gli abbondanti grassi presenti nel seme, un processo che potrebbe rendere l’avena rancida, migliorandone quindi i tempi di conservazione. I chicchi tostati sono separati in base al diametro: quelli più grandi sono destinati al consumo umano, mentre quelli più piccoli, come ai tempi di greci e romani, diventano mangime per animali.
Le proprietà nutritive dell’avena
Centro grammi di avena danno circa 390 kcal. Il contenuto di carboidrati è di circa 66 g, con dieci grammi di fibre mentre le proteine, di discreta qualità nonostante una leggera carenza di lisina, sono circa 16 g. I grassi sono molto abbondanti, intorno ai 7 g, a prevalenza mono e polinsaturi: abbondanti acido linoleico, acido oleico e acido palmitico. Buono il contenuto di magnesio, potassio, fosforo ferro e calcio, discreta la presenza di vitamine del gruppo B. [2, 3, 4, 5, 6, 7]
L’amido dell’avena ha una struttura particolare, diversa da quella tipica degli altri cereali, con netta predominanza di amido a lenta digestione e amido resistente. Si tratta di due forme che rendono decisamente più lente digestione e assorbimento degli zuccheri che lo costituiscono, con un ridotto impatto sulla glicemia. L’amido resistente sfugge in larga misura ai nostri processi digestivi e diventa importante substrato per il sostegno del microbiota intestinale e la produzione, da parte di questo, di acidi grassi a catena corta, essenziali per il benessere delle cellule che costituiscono la mucosa dell’intestino. Per avere un effetto positivo sulla flora batterica intestinale si stima che sia necessario il consumo di 20/30 g di amido resistente ogni giorno: il consumo medio è molto più basso, intorno ai 10 g/die, quindi mangiare prodotti a base di avena un po’ più spesso potrebbe contribuire ad aumentarne l’apporto.
Anche le proteine dell’avena sono diverse da quelle degli altri cereali, specie grano, orzo e segale. Il contenuto di prolamine, una delle forme in cui le proteine si accumulano nei chicchi, è relativamente ridotto e in una forma molto particolare, definita avenina. Le prolamine sono tra i costituenti del glutine e, sulla base di esperimenti in vitro, quelle dell’avena dovrebbero presentare una bassa tossicità per i soggetti celiaci, tanto da poter essere tollerate quando il consumo del cereale non sia particolarmente elevato. L’introduzione dell’avena nella dieta del celiaco è in effetti un tema di grande importanza, poiché potrebbe rendere possibile aumentare l’apporto di fibre nella dieta di questi soggetti: il consenso attuale indica che un consumo di circa 50-70 g/die è ben tollerato dal celiaco, anche in età infantile e per periodi prolungati. Non tutti gli studi sono concordi: un ruolo importante lo hanno le varietà di avena effettivamente utilizzate, con contenuto variabile di avenine: c’è quindi grande interesse verso la selezione di varietà che siano sempre meglio tollerate da soggetti celiaci.
L’avena è ricca di fibre, in particolar modo di β-glucano: si tratta di un polisaccaride lineare resistente alla digestione, molto viscoso, in grado di modulare l’assorbimento degli zuccheri nell’intestino con riduzione del picco glicemico post-prandiale e della risposta insulinica. Il β-glucano favorisce il trasporto e l’escrezione degli acidi biliari e può contribuire alla riduzione dei livelli serici di colesterolo. Un consumo regolare di avena è quindi indicato nei soggetti che soffrono di diabete di tipo 2 — purché vada a sostituire e non ad aggiungersi ad altri cereali — e in soggetti con significativo rischio cardiovascolare. Le fibre dell’avena oltre a favorire escrezione di acidi biliari probabilmente agiscono anche a livello dei recettori epatici del colesterolo, favorendo il riassorbimento delle LDL. Inoltre gli acidi grassi a catena corta prodotti per fermentazione di queste fibre a livello del colon possono inibire la sintesi di colesterolo da parte del fegato. L’effetto è apprezzabile, maggiore di quello imputabile a fibre presenti nel grano e nel farro, e confermato da numerosi studi.
I lipidi dell’avena, abbondanti, la rendono un ottimo alimento per gli animali, con un elevato contenuto energetico che, al contrario, può rappresentare un piccolo problema nella nostra dieta occidentale già così ricca. Inoltre i grassi presenti, soprattutto mono- e polinsaturi, tendono a irrancidire facilmente e sono soggetti all’azione di enzimi, con produzione di aromi e sapori fastidiosi. L’avena presenta quindi problemi di conservazione e richiede che i chicchi vengano tostati per evitare l’azione degli enzimi e migliorare la conservazione dei prodotti.
Come in tutti i cereali anche nell’avena sono presenti composti fenolici ad azione antiossidante. Tra questi hanno un rilievo particolare le avenantramidi, un gruppo di composti con un potere antissidante 10-30 volte maggiore rispetto a quello di altri composti fenolici. In studi preliminari queste sostanze hanno mostrato una significativa azione antiaterogenica e antinfiammatoria e inoltre, stimolando il rilascio di ossido nitrico, possono contribuire anche al controllo della pressione arteriosa.
Tutto sommato non male per quello che molti ritenevano un cibo buono solo per i cavalli. E gli estratti di avena fanno anche bene alla pelle, non dimentichiamolo.
Esistono anche alcune controindicazioni al consumo di avena. A seconda del tipo di lavorazione l’avena può non essere indicata durante la fase di eliminazione di una dieta FODMAP a causa di un contenuto abbastanza elevato di oligosaccaridi: sono a rischio soprattutto i fiocchi spezzati e lavorati finemente, mentre i normali fiocchi dovrebbero essere tollerati in quantità non eccessive. Esistono alcuni lavori che indicano possibili interazioni tra l’avena e alcune statine, atorvastatina in particolare, con riduzione dell’efficacia del farmaco, probabilmente per un minor assorbimento a livello intestinale. Un effetto che ovviamente dipende da tempi e modalità di assunzione del farmaco e dell’alimento, e che merita di essere preso in considerazione quando il paziente trattato con il farmaco sia anche un forte consumatore di avena. Soggetti rari, direi. [8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18]
L’avena in tavola: dai fiocchi, alla farina, al latte
Mentre Romani e Greci erano intenti a pasturare i cavalli con generose dosi di avena, a latitudini più elevate si imparava a sfruttare meglio un cereale che ben si adattava a climi più rigidi ed umidi. Molte e interessanti le lavorazioni proposte e gli usi in cucina, tanto che gli anglosassoni parlano collettivamente di oatmeal riferendosi ai tanti modi diversi di consumare questo cereale.
In commercio l’avena si può trovare in forma di chicchi ma molto più spesso è lavorata, per dare fiocchi, farina o addirittura latte.
L’avena irlandese si ottiene facendo passare i chicchi brillati e tostati tra lame di acciaio che li tagliano finemente, rendendo possibile una cottura più rapida.
I fiocchi di avena sono prodotti cuocendo al vapore i chicchi e poi pressandoli sotto appositi rulli. Le dimensioni sono molto variabili, i fiocchi possono essere infatti tagliati in più pezzi, fino a ottenere frammenti molto piccoli. La consistenza è molto varia, la cottura più o meno rapida. Più sottili i fiocchi, più rapidamente andranno a reidratarsi, assorbendo avidamente il liquido nel quale sono bagnati.
La farina di avena è il prodotto della molitura dei semi interi o decorticati, può essere utilizzata per preparare focacce e prodotti non lievitati oppure può essere mescolata con della farina di frumento o di farro per produrre pane, biscotti, dolci, cui dona un gusto molto particolare.
Grazie ad alcune diete alla moda anche la crusca di avena ha conosciuto una nuova popolarità. Si tratta di uno scarto del prodotto della farina e dei fiocchi, non particolarmente ricco di fibre ma con un buon apporto di grassi e di proteine. La trovate comunque nell’avena irlandese e in alcuni tipi di fiocchi.
Dall’avena si ottiene anche una bevanda impropriamente definito latte di avena. La lavorazione è complessa: i semi macinati vengono ammollati e, in alcuni casi, sottoposti all’azione di enzimi che liberano gli zuccheri dall’amido; seguono vari stadi di separazione e filtrazione e infine aggiunta eventuale di calcio, vitamine e altre sostanze, in genere per avvicinarne composizione e gusto a quelli del latte vaccino.
L’avena è un protagonista delle colazioni del nord-Europa. Si presta bene a essere cotta nel latte o semplicemente aggiunta a dello yogurt e si lega al gusto di frutti, specie quelli di bosco, e spezie, cannella o zenzero. L’avena è ingrediente indispensabile del porridge britannico e del muesli, un misto di fiocchi di cereali, frutta secca e uvetta, che possono essere delle ottime colazioni alternative.
Con l’avena, in Scozia, Scandinavia e Spagna, si fanno anche diversi tipi di pane, focacce e gallette, molto apprezzati, in genere utilizzando farina di avena e di grano in proporzioni diverse.
L’avena, grazie alla sua capacità di legare liquidi, è anche usata, in forma di fiocchi o farine, per ispessire brodi, minestre e zuppe, utilizzo tipico della cucina nord-europea.
Insomma, soprattutto a colazione, l’avena è da provare. A me piace mescolata con yogurt greco, sciroppo d’acero, cannella e nocciole. E i cavalli mi invidiano, per questo.