Il consumo di pesce crudo, tipico di certe culture, è ormai diffuso e molto apprezzato. Esiste tuttavia il rischio che il pesce mangiato contenga anisakis, un verme le cui larve, nell’uomo, possono causare problemi anche molto gravi. Rischio che si può ridurre con un’adeguata prevenzione e una prudente preparazione del cibo; dal sushi alle alici marinate.
Anisakis è un genere di vermi nematodi, parassiti di pesci e mammiferi marini, che appartiene alla famiglia delle Anisakidae assieme ai generi Pseudoterranova, Phocascaris, and Contracaecum, anche questi parassiti di pesci ed uccelli marini. Purtroppo tra gli ospiti occasionali delle larve di questi vermi c’è anche l’uomo, che può ingerirle consumando pesce crudo o poco cotto. La specie più spesso associata a infestazioni nell’uomo è Anisakis simplex, mentre buona parte dei casi di parassitosi registrati in Italia paiono essere dovuti ad Anisakis pegreffi, specie tipicamente presente nel Mediterraneo.
Il primo caso di anisakiasi fu descritto dal medico tedesco Leuckart nel 1876, in Groelandia. Descrizioni più accurate risalgono agli anni 50 e 60 del secolo scorso, in corrispondenza di una vera e propria epidemie di akisakiasi in Olanda, dovuta al consumo di aringhe affumicate. Dei 20.000 casi finora registrati oltre il 90% proviene dal Giappone, paese in cui è molto forte il consumo di pesce crudo, seguito daSpagna, Olanda e Germania. Il primo caso registrato in italia è del 1996: negli ultimi anni si è assistitito ad un aumento dell’incidenza dell’infestazione, sia per un aumento del consumo di cibi a rischio, sia per un deciso miglioramento delle tecniche diagnostiche.
L’infestazione da anisakis causa sintomi gastrointestinali che possono essere associati con reazioni immunologiche, a volte molto gravi, e può manifestarsi con quattro diverse forme: gastrica, intestinale, ectopica — quando le larve perforano la barriera gastrointestinale e vanno a colonizzare altri organi — e allergica. Quest’ultima forma è al centro di molti studi visto che le reazioni possono essere determinate anche da minima esposizione ad anisakis, addirittura per contatto cutaneo o inalazione degli antigeni, come avviene quando si respirano polveri di farina di pesce prodotta con esemplari infettati dal verme.
Il ciclo vitale di anisakis
Anisakis ha come ospiti definitivi mammiferi e uccelli marini. Qui gli adulti maturano e si riproducono; le uova vengono eliminate con le feci dell’animale e si sviluppano in larve L1 e quindi in larve L2. Le larve sono ingerite da piccoli crostacei, ospiti intermedi che sono a loro volta consumati da pesci e cefalopodi. È in questi ospiti che le larve maturano allo stadio L3, penetrando nell’intestino dell’animale e qualche volta raggiungendo i muscoli e altri tessuti. Se un pesce infestato è mangiato da un pesce più grande le larve presenti andranno progressivamente ad accumularsi, fino a raggiungere l’ospite definitivo, dove le larve L3 si sviluppano il larve L4 e quindi in adulti, dando inizio a d un nuovo ciclo. Le abitudini di mammiferi e uccelli marini, che spesso compiono migrazioni tra aree molto distanti, contribuiscono decisamente alla diffusione di questi parassiti.
Tra le specie ittiche tipiche del Mediterraneo che possono presentare infestazione da anisakis abbiamo:
- Pesce sciabola o spatola: prevalenza dell’infestazione 100%
- Suro o sugarello: prevalenza dell’infestazione 95%
- Lanzardo o sgombro cavallo: prevalenza dell’infestazione 75%
- Sgombro: prevalenza dell’infestazione 71%
- Nasello: prevalenza dell’infestazione 40%
- Totano: prevalenza dell’infestazione 22%
- Alice: prevalenza dell’infestazione 17%
- Triglia: prevalenza dell’infestazione 10%
- Cefalo: prevalenza dell’infestazione 9%
- Sardina: prevalenza dell’infestazione 1%
In questi ospiti intermedi le larve si trovano incapsulate a formare spirali con un diametro di 4-5 mm negli organi viscerali, nel mesenterio e nel peritoneo. Un ridotto numero di larve può migrare e trovarsi nella muscolatura del pesce, sia in quella ventrale, sia nella più robusta muscolatura dorsale. Alcuni studi hanno rilevato che le larve, alla morte del pesce, si spostano in massa dai visceri alla muscolatura, tuttavia studi successivi non hanno confermato queste osservazioni.
L’ispezione visiva di filetti di pesce può rivelare la presenza di larve negli strati superficiali del muscolo, ma non in quelli profondi. In questo caso si osservano i filetti in controluce (candling) in modo da evidenziare le larve in profondità eventualmente presenti. Altre tecniche più complesse sono il pressing, che permette di rilevare le larve in filetti pressati e congelati, grazie alla loro fluorescenza il luce UV, o la digestione con una miscela di acidi ed enzimi che libera le larve, resistenti all’azione di queste sostanze, dal muscolo che invece è, appunto, digerito. Test molto precisi, in grado di rilevare tracce del parassita veramente minime, utilizzano la tecnica PCR, per rilevare la presenza del DNA di anisakis in prodotti freschi e lavorati. [1, 2]
L’anisakis nell’uomo
L’uomo è un ospite accidentale di anisakis. L’infestazione è associata all’ingestione di pesce crudo o poco cotto, i tradizionali sushi e sashimi giapponesi, le aringhe salate o affumicate dei paesi scandinavi, il ceviche sudamericano, le acciughe marinate tipiche dei paesi del Mediterraneo. Le larve sono in grado di resistere agli acidi e agli enzimi digestivi dello stomaco e penetrano la mucosa gastrica sia per azione meccanica, grazie al dente tenebrante che portano all’estremità cefalica, sia producendo enzimi che attaccano la mucosa. La presenza delle larve determina una reazione infiammatoria con un ruolo determinante svolto dai linfociti TH2, che rilasciano interleuchine che attivano gli esosinofili e stimolano la produzione di immunoglobuline specifiche, IgE, da parte di linfociti B.
Nel giro di 6-12 ore dall’ingestione si manifestano i primi sintomi con dolore addominale, nausea, vomito e, in alcuni casi, diarrea. Alcuni pazienti possono presentare manifestazioni di tipo allergico: si parla di anisakiasi gastroallergica, da non confondere con l’allergia ad Anisakis che può essere dovuta alla semplice contaminazione da allergeni, senza che siano presenti larve vive.
La forma acuta, a rapida insorgenza, può raramente riguardare l’esofago, molto più frequentemente lo stomaco e l’intestino, soprattutto l’ileo, più raramente il colon. Sono sempre presenti dolori addominali, ci può essere febbre con aumento dei leucociti e degli eosinofili.
Il parassita non può completare il proprio ciclo vitale nell’uomo: tuttavia le larve penetrate nella mucosa possono provocare la formazione di lesioni e ascessi che nell’intestino possono addirittura dar luogo a occlusione. Il parassita è osservabile per circa cinque settimane, quindi degenera e calcifica, dopo circa 6 mesi dall’infezione iniziale. In forma cronica i sintomi possonono presentarsi in maniera evidente, ma sono descritte anche forme con sintomi scarsi o del tutto assenti. Si parla di forma cronica.
Nell’anisakasi ectopica il parassita riesce a perforare la parete dello stomaco o dell’intestino e va a localizzarsi negli organi vicini, dando sintomi di varia natura, a seconda dell’organo interessato. La sopravvivenza delle larve in queste condizioni è di circa due mesi, il problema maggiore è legato alla formazione di ascessi e granulomi.
La forma gastroallergica — circa il 10% dei casi totali — è causata da antigeni presenti sulla cuticola del parassita e dagli enzimi che questo produce per penetrare la mucosa gastrica. La reazione può essere molto severa, con orticaria, asma e anafilassi, non sempre accompagnate dai sintomi gastrointestinali. Molti degli antigeni sono resistenti alla cottura e possono indurre reazione anche dopo il consumo di pesce cotto, come per alcuni casi registrati in Spagna. I sintomi allergici si presentano in genere tra le 12 e le 24 ore dal consumo del pesce infestato e tendono a risolversi, nelle forme meno gravi, altrettanto rapidamente. Soggetti con una storia di orticaria o esposti per lavoro a pesce o farina di pesce, che possono ovviamente contenere gli allergeni, sono particolarmente a rischio per forme di questo tipo.
Da sottoineare che numerosi studi hanno evidenziato che reazioni allergiche, anche estremamenter severe, possono insorgere consumando prodotti che contengono parassiti morti o, addirittura, cibi che presentino soltanto gli antigeni di anisakis, ed esempio carne di polli allevati con farine di pesce contaminate dal nematode. Soggetti che hanno sofferto di una forma gastoallergica di anisakiasi o che sono esposti, spesso per lavoro, agli antigeni, dovrebbero esercitare particolare cautela nel consumare pesce o altri prodotti che potrebbero contenere gli allergeni.
I sintomi dell’anisakiasi non sono specifici, per cui la diagnosi risulta spesso molto difficile. Frequentemente l’infestazione viene scambiata per altre patologie dell’apparato digerente, dall’appendicite al Morbo di Crohn. Tra gli esami utilizzati endoscopia e test immunologici; il test più affidabile risulta il RAST che permette di evitare i falsi positivi dovuti a reattività crociata con altri parassiti intestinali.
Non esistono trattamenti specifici per curare l’infestazione. Spesso è necessario rimuovere le larve utilizzando pinze endoscopiche. Allo studio l’utilizzo di farmaci specifici per elminti o cortisonici come il prednisolone.
In Italia il numero dei casi rilevati è basso ma in crescita. La maggior parte dei casi registrati sono dovuti al consumo di alici marinate preparate in maniera non corretta, spesso con associata reazione gastroallergica. [3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10]
Come evitare l’anisakis e vivere felici
I problemi più grandi con l’anisakis si hanno consumando pesce crudo o poco cotto. L’infestazione può essere evitata con una efficace opera di prevenzione che inizi al momento della pesca, con la rapida rimozione dei visceri per impedire la migrazione delle larve, un’accurata ispezione per l’individuazione di esemplari infetti, e prosegua poi sia con mezzi chimici che con mezzi fisici.
I trattamenti chimici più comunemente utilizzati sono la salagione e la marinatura:
- Salagione: le larve di anisakis sono uccise con trattamenti di almeno sei settimane in soluzioni con concentrazioni dell’8-9% di sale, senza che risultino necessari ulteriori trattamenti;
- Marinatura: il pesce viene marinato utilizzando soluzioni di acqua, sale e acido acetico o altri acidi organici. La marinatura oltre ad eliminare batteri e parassiti modifica anche le caratteristiche organolettiche del pesce che acquisisce consistenza, sapore e aromi particolari. Nell’area del Mediterraneo la maggior parte dei casi di anisakiasi sono dovuti proprio al consumo di alici marinate in maniera non adeguata all’uccisione del parassita. Per le acciughe marinate in aceto sono necessari almeno 120 giorni per la distruzione completa delle larve, tuttavia, per maggior sicurezza, le tecniche di marinatura dovrebbero essere accompagnate da procedure di congelamento, in grado di assicurare l’eliminazione definitiva del parassita.
I trattamenti fisici più utilizzati sono congelamento e cottura:
- Congelamento: i fattori che influenzano l’efficacia del trattamento sono temperatura, rapidità del congelamento, tempo di congelamento e contenuto in grassi del pesce. Il regolamento UE richiede che per l’eliminazione delle larve il pesce sia congelato a -20°C al cuore del prodotto per almeno 24 ore. Trattamenti a temperature diverse richiedono tempi diversi; a -15°C sono necessarie almeno 96 ore, mentre a -35°C sono sufficienti 15 ore. È importante sottolineare che se si utilizzano congelatori domestici è necessario utilizzare strumenti contrassegnati a 3 stelle, in grado appunto di raggiungere i -18°C: a questa temperatura, che deve essere raggiunta in tutte le parti del pesce, sono necessarie circa 24 ore per l’eliminazione delle larve. Temperature superiori ai -12°C non sono in grado di assicurare la completa eliminazione dei parassiti.
- Cottura: la devitalizzazione delle larve si ottiene portando ogni parte del pesce alla temperatura di 60°C per almeno un minuto. Per un trancio di pesce di medio spessore possono essere necessari circa 10 minuti a più di 60°C. Per pesce da consumarsi crudo è efficace il trattamento per almeno 15 secondi a temperature superiori a 74°C, con forni a microonde.
- Essiccazione: non ci sono studi specifici sul tema, ma l’essiccazione non può essere considerata un trattamento efficace per l’eliminazione delle larve.
- Affumicatura: il trattamento di affumicatura a caldo, con temperature superiori a 60°C per almeno 3-8 ore, è efficace nell’eliminare le larve di anisakis. Il trattamento di affumicatura a freddo, in genere a temperature inferiori ai 38°C per un tempo che può arrivare a diversi giorni, non risulta invece sufficiente ad una completa eliminazione dei parassiti.
In definitiva molti trattamenti tradizionali, come la marinatura e l’affumicatura a freddo, non sono sufficienti a garantire l’assoluta sicurezza del pesce consumato; è bene che questi trattamenti vengano accompagnati da congelamento, che deve essere ottimizzato in funzione delle dimensioni del pesce e del suo contenuto in grassi. Il congelamento è di gran lunga trattamento più efficace e andrebbe considerato anche prima di salagione e marinatura. Trattamenti sperimentali, come l’utilizzo di radiazioni, corrente a basso voltaggio, pressione idrostatica, sono allo studio, ma non sono ancora sufficientemente testati o utilizzabili su larga scala.
Vari studi mostrano che anche il pesce di allevamento è potenzialmente a rischio di infestazione di anisakis, rischio maggiore o minore a seconda delle tecniche utilizzate, e richiede quindi di essere preparato per il consumo in maniera analoga a quanto avviene per il pesce selvaggio.
Non c’è quindi necessità di rinunciare al gusto di certi piatti a base di pesce crudo o marinato; è sufficiente accertarsi che il pesce che si sta per consumare sia stato trattato in maniera efficace per poter consumare il nostro pasto in tutta tranquillità. Ricordando tuttavia che Anisakis può provocare reazioni allergiche anche quando le larve siano state uccise o, in alcuni casi, quando non siano presenti, come avviene per altri importanti allergeni. [11]
- In Italia è attivo il Centro di Referenza Nazionale per le Anisakiasi presso la sede centrale dell’istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia. Maggiori informazioni le trovate qui.
- L’opinione EFSA (EuropeaFood Safety Authority) sul rischio legato alla presenza di parassiti nei prodotti della pesca la trovate qui.