Ai Romani l’aceto piaceva tantissimo e se lo bevevano come bibita. Noi lo utilizziamo per condire e cucinare e ne apprezziamo il gusto aspro e deciso ma non sono da trascurare neppure i potenziali vantaggi per la salute, senza però farsi prendere dall’entusiasmo.
Le origini dell’aceto sono remotissime. Già nel 4000 avanti Cristo i Babilonesi erano impegnatissimi a produrne partendo da vino di datteri, d’uva o da birra per poi utilizzarlo come condimento, conservante o per disinfettare l’acqua da bere. Riferimenti all’aceto si trovano nel Vecchio Testamento e nella cultura greca. I Romani erano grandi produttori di aceto che utilizzavano in cucina — come testimoniano le molte ricette di Apicio che lo prevedono tra gli ingredienti — ma che non disdegnavano di consumarlo come bevanda mescolato con acqua, la posca ampiamente diffusa tra i legionari. Nell’antica Cina l’aceto era ottenuto dal riso e si dice che Sung Tse, padre della medicina forense, utilizzasse una miscela di zolfo e aceto per lavarsi le mani dopo ogni intervento. Nel medioevo era utilizzato come disinfettante durante le epidemia di colera e peste, e ancora nel 1800 l’aceto era ala base di molti farmacie rimedi popolari ampiamente utilizzati.
Per lungo tempo l’aceto fu prodotto in maniera molto semplice, lasciando inacidire all’aria liquidi contenenti alcol o zuccheri, in genere per tempi lunghi, da settimane a mesi, e con risultati ampiamente variabili. Soltanto nel 1700 cominciarono a diffondersi sistemi e tecniche per una produzione più rapida e stabile, con successivi perfezionamenti che hanno portato alle moderne tecniche industriali che permettono di ottenere aceto in appena un giorno.
Aceto, acido acetico e acetobatteri
L’aceto può essere prodotto da diverse materie prime, requisito essenziale è che contengano alcol o zucchero: si utilizzano uva, mele, melassa, riso, malto, cocco, miele, sciroppo d’acero, datteri e bietole. Il primo stadio della produzione consiste nella fermentazione degli zuccheri presenti con la produzione di alcol etilico. È proprio l’alcol etilico a essere ossidato ad acido acetico per azione di batteri appartenenti al genere Acetobacter.
CH3CH2OH + O2 —> CH3COOH + H2O
I batteri acetici sono degli aerobi obbligati, richiedono ossigeno per poter sopravvivere, quindi si sviluppano sulla superficie del liquido durante la fermentazione, formando talvolta una pellicola detta “madre” dell’aceto. L’ossigeno non deve essere in eccesso altrimenti si rischia una uteriore ossidazione dell’acido acetico ad anidride carbonica e acqua e quindi una diminuizione della resa. Gli acetobatteri per svilupparsi al meglio richiedono temperature comprese tra i 28 e i 40°C e un’acidità compresa tra pH 5,4 e 6,3, anche se sono note specie che possono sopravvivere in ambienti molto acidi con pH tra 2,3 e 3.
La concentrazione di alcol nel materiale di partenza influenza il processo di ossidazione e le caratteristiche del prodotto finale. Una concentrazione alcolica del 5 % porta a produrre abbastanza rapidamente un aceto con concentrazione di acido acetico intorno al 4 %, appena sufficiente a evitare successive degradazioni. Per la normale produzione si preferiscono materie prime con concentrazione di alcol tra il 7 e il 10 %: si ottiene così un aceto stabile anche se il tempo di acetificazione sarà più lungo per l’azione inibitrice dell’etanolo sulla crescita batterica. Tenori di alcol superiori al 12 %, quelli tipici di un buon vino, rendono il processo produttivo molto lento e in genere vini con questa gradazione sono diluiti con acqua o sono utilizzati per produrre aceti speciali.
L’acido acetico è un acido debole che in soluzione acquosa ha una limitata capacità di dissociarsi:
CH3COOH + H2O ↔ CH3COO– + H3O+
La sensazione di acidità è dovuta alla presenza della forma dissociata , mentre la molecola non dissociata è volatile e contribuisce a generare il tipico aroma dell’aceto, assieme all’acetato di etile che si forma per reazione tra acido acetico e etanolo. La forma non dissociata predomina quando siano presenti altri acidi e questa situazione esalta l’aroma del prodotto. L’acido acetico per la sua struttura chimica può sciogliere sia composti polari che non polari, come molte molecole aromatiche presenti in erbe e spezie, motivo per cui l’aceto può facilmente essere aromatizzato. L’aceto, grazie alla capacità di sciogliere i grassi, può anche essere utilizzato come sgrassante.
Accanto all’acido acetico si trovano anche altri acidi organici come l’acido tartarico, l’acido, malico e l’acido lattico. Il contenuto di alcol non fermentato deve essere inferiore all’1,5% in volume e l’acidità totale, espressa in g/100ml di acido acetico, non deve essere inferiore al 6 %.
Produrre aceto per divertimento e profitto
Attualmente si utilizzano tre tecniche principali per la produzione di aceto di vino.
Il metodo più antico è quello di Orléans, che data al medioevo ed è molto semplice ma anche abbastanza lento. Il vino, in origine Bordeaux o Borgogna, viene diluito e quindi utilizzato per riempire in parte delle botti. Si inocula la madre e si lascia fermentare, rimuovendo periodicamente un poco di aceto e rabboccando con del nuovo vino. In genere sono necessari due mesi per produrre dell’aceto che grazie alla lenta ossidazione ha un aroma e un gusto molto ricchi.
Un metodo industriale ampiamente utilizzato è quello a fermentazione in superficie, che utilizza tini di grandi capacità nei quali il vino è versato su trucioli di legno di quercia che forniscono una superficie estesa per il processo di ossidazione da parte dei batteri, permettendo così un’aereazione ottimale. Il liquido cola lungo il tino e viene recuperato alla base. Il processo richiede dai 5 ai 9 giorni e pr un tino da 500hl e permette la produzione di 80-100 hl di aceto con rese superiori all’85 %. Si tratta del metodo preferito per ottenere aceto industriale di buona qualità, ricco di composti volatili e componenti estrattivi.
Nel metodo a fermentazione sommersa si utilizzano invece tini di acciaio contenenti la materia prima. Gli acetobatteri sono immersi nel liquido e l’ossigeno necessario al processo di ossidazione è costantemente insufflato grazie a turbine di areazione. Per un tino da 200hl la produzione giornaliera è superiore ai 90hl con rese elevatissime. L’aceto così prodotto è molto torbido e va chiarificato e filtrato.
L’aceto industriale prima di essere posto in commercio viene pastorizzato per eliminare i batteri residui e renderlo stabile nel tempo. Gli aceti comuni possono essere conservati soltanto per qualche mese, poiché sul lungo periodo si registra perdita dei caratteri organolettici per azione dell’ossigeno. Gli aceti di pregio hanno vita più lunga e possono essere conservati fino a 2 o 3 anni
Come si produce l’aceto balsamico
L’aceto balsamico si produce esclusivamente nelle provincie di Modena e Reggio Emilia, in ambito familiare fino a qualche decennio fa, con grande successo commerciale negli ultimi anni, tanto da far nascere marchi DOP e IGP. [1, 2]
L’aceto balsamico tradizionale di Modena e Reggio Emilia si produce a partire da mosto d’uva cotto. I vitigni utilizzati sono Lambruschi, Spergola, Sgavetta, Sauvignon ma soprattutto il Trebbiano per il suo miglior rapporto tra zuccheri e acidità totale a maturazione. L’uva è raccolta a maturazione avanzata e il mosto viene sfecciato e quindi cotto a fuoco diretto in vasi aperti. La temperatura di cottura non deve mai superare i 90°C per evitare la formazione di composti indesiderati. Il mosto è concentrato a un terzo del volume iniziale e quindi posto in damigiane di vetro dove viene lasciato per l’inverno. In primavera è utilizzato per riempire i vaselli, delle botti che sono riempite per i 2/3, in modo da permettere una buona areazione e quindi un’azione ottimale dei batteri acetici. Inizialmente sono attivi soprattto lieviti che portano alla formazione di alcol, quindi inizia il lavoro dei batteri acetici che producono acido acetico, la cui azione batteriostatica inibisce ulteriore fermentazione alcolica. L’attività microbica si ha soprattutto nella prima botticella, nelle botti successive i batteri sono praticamente assenti e tutte le trasformazioni che avvengono sono di tipo chimico.
L’acetaia è sempre in un sottotetto per permettere le forti escursioni termiche necessarie alla maturazione dell’aceto. Le botti hanno capacità decrescente e formano delle batterie costituite da 5-10 vaselli di legni differenti, ognuno dei quali cede delle essenze indispensabili a conferire il bouquet finale e a determinare il colore del prodotto. La produzione è al rincalzo, ogni anno si recupera un poco di aceto balsamico dalla botte più piccola, andando a rabboccarla con aceto prelevato da quella precedente e così via, fino ad arrivare alla prima botte in cui invece si va ad aggiungere mosto cotto fresco. Dopo dodici anni d’invecchiamento l’aceto balsamico è pronto, ma prima di essere commercializzato deve essere sottoposto al severo goiudizio di una commisione di degustatori, per garantire massima qualità dal prodotto sul mercato. Esistono bollini di diverso colore che indicano il punteggio ottenuto: per qualità crescente abbiamo bollino aragosta, bollino argento e bollino oro, che indica un aceto di qualità elevatissima.
L’aceto balsamico di Modena si produce invece aggiungendo aceto di vino a mosto concentrato, con la possibilità di utilizzare caramello, per dare colore, fino al 2%. Si utilizzano sia tecniche che prevedono concentrazione del mosto e successiva acidificazione, sia tecniche di fermentazione in superficie con rincalzi costanti di mosto. Segue un un affinamento in botti di legno per 60 giorni, anche se sul mercato si possono trovare prodotti invecchiati in legno fino ai tre anni.
Le proprietà nutritive dell’aceto,
La composizione dell’aceto dipende molto dalla materia prima dal quale è ottenuto. Negli aceti di vino e mele la presenza di zuccheri è ridottissima mentre grassi e proteine sono praticamente assenti. Nell’aceto balsamico ottenuto da mosto troviamo ancora degli zuccheri, circa 15 g per 100 g di prodotto. L’aceto di vino e mele apportano circa 20 kcal per 100g, mentre l’aceto balsamico può arrivare intorno alle 90 kcal. Sono presenti tracce di vitamina C, potassio, manganese e altri minerali. Presenti, accanto all’acido acetico, anche altri acidi organici come l’acido malico, l’acido tartarico e l’acido lattico. Il profumo dell’aceto è dovuto soprattutto a esteri dell’acido acetico e dell’acido lattico.
Aceto e salute
L’aceto è da sempre stato utilizzato oltre che per le sue virtù gastronomiche anche per tutta una serie di usi medicinali, alcuni assolutamente fantasiosi, altri decisamente meno balzani e degni di essere studiati più a fondo.
L’aceto ha proprietà antimicrobiche e pare proprio che lo stesso Ippocrate lo utilizzasse per combattere infezioni ed ulcere. In realtà la maggior parte degli studi indicano che questa azione si esplica al meglio nella preparazione dei cibi: condire alimenti, soprattutto verdure, con aceto può in effetti ridurre l’eventuale carica batterica presente. Da evitare invece il trattamento di ferite con aceto o l’utilizzo come disinfettante domestico, mentre non esistono prove convincenti che giustifichino il tradizionale uso per eliminare pidocchi o funghi.
Nella medicina popolare l’aceto è stato spesso utilizzato per trattare ipertensione o diabete. L’aceto di riso e l’aceto balsamico hanno in effetti mostrato un modesto effetto ipertensivo su modelli animali, sia grazie ad una diretta azione dell’acido acetico, sia grazie alle molte sostanze bioattive presenti. Mancano tuttavia studi convicenti su soggetti umani.
Decisamente più interessanti gli studi che indagano l’effetto antiglicemico dell’aceto: molti lavori indicano come l’aceto possa ridurre il picco glicemico quando venga consumato con pasti ricchi di amidi e possa inoltre contribuire ad aumentare la sensibilità all’insulina in soggetti affetti da diabete di tipo 2. Diversi i meccanismi proposti per spiegare questi effetti: secondo alcuni autori l’acido acetico potrebbe interferire con la digestione dei carboidrati complessi, riducendo l’attività degli enzimi necessari, mentre altri ipotizzano una stimolazione dell’assorbimento del glucosio a livello dei tessuti con conseguente riduzione della glicemia. Vari studi hanno mostrato che sia l’aceto di vino che quello di riso possono ridurre la velocità di svuotamento dello stomaco, contribuendo a modulare il carico di glucosio e la risposta insulinica post-prandiale. Diversi tipi di aceto sono stati utilizzati in studi volti a valutarne il possibile uso nel trattamento dell’obesità, con risultati modesti ma degni di approfondimento, soprattutto per i lavori che indicano un deciso miglioramento della steatosi epatica in modelli animali.
Diversi lavori hanno valutato l’attività antitumorale dell’aceto. Molto studiati due particolari tipi di aceto giapponese, il Kibizu, ottenuto dalla canna da zucchero, e il Kuroso, ottenuto dal riso, che nel modello animale hanno mostrato di poter inibire la proliferazione di differenti linee di cellule tumorali. Oltre che ai particolari polifenoli presenti, l’effetto antitumorale dell’aceto può essere ascritto all’acido acetico che ha mostrato di poter ridurre la proliferazione e inibire la motilità di cellule cancerose. Prima di attaccarsi alla bottiglia dell’aceto per curare i tumori è necessario tuttavia sottolineare che le evidenze epidemiologiche sono controverse: studi su popolazioni con rilevante consumo di aceto hanno dato risultati confusi, che vanno da una netta riduzione dell’incidenza di certe forme tumorali all’aumento deciso di altre forme. La cautela è d’obbligo ed è necessario non confondere il cibo con i farmaci, nonostante quanto affermato da celebri medici classici.
Per concludere, l’utilizzo ormai millenario dell’aceto non deve farcelo necessariamente ritenere sicuro. In letteratura esistono molti lavori che registrano problemi associati ad un eccessivo consumo di aceto, che vanno da alterazioni ematiche dei livelli di potassio a lesioni a livello esofageo fino a giungere ad una significativa erosione dello smalto dentale. Prima di abbracciare trattamenti alternativi che vi propongono consumi giornalieri di quantità elevate di aceto per curare diabete o tumori, fermatevi un attimo, riflettette e informatevi meglio consultando esperti — differenti dai cugini che sono dimagriti bevendo la pozione magica al mattino — che si documentino sulla letteratura scientifica corrente e non tramite canali alternativi che nessuno vi dirà. [3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15]
L’aceto in cucina
Chi intende utilizzare l’aceto in cucina ha davvero l’imbarazzo della scelta. I diversi tipi di aceto hanno tutti lo stesso gusto di base, dovuto all’acido acetico, ma a seconda della materia prima iniziale e dei processi di produzione, affinamento e invecchiamento, ognuno di essi presenta un proprio carattere distintivo.
L’aceto di vino conserva caratteri e aromi derivanti dalla fermentazione alcolica delle uve d’origine. L’aceto di vino bianco è meno profumato ed è ottimo per pesce e crostacei, per marinate e salse gentili come olandese e bernese. L’aceto di vino rosso ha un maggior carattere e si sposa bene con le carni rosse.
L’aceto di sidro, prodotto da succo di mela fermentato, per l’elevato contenuto di acido malico della mela va spesso incontro a fermentazione malolattica con una riduzione dell’acidità complessiva. Per l’elevato contenuto di tannini il colore è spesso ambrato e l’aspetto può divenire torbido per la formazione di complessi tra tannini e proteine. L’aceto di sidro dà agli alimenti un lieve sentore di mela, aggiunge colore e carattere ed è indicato per marinate e condimenti speziati, quando non si voglia un tocco eccessivamente aspro.
L’aceto di malto è ottenuto da birra a cui non è stato aggiunto luppolo. Tipico dell’Inghilterra ha un gusto corposo e aromatico ed è ottimo per marinate, insalate, carne e pesce e soprattutto per insaporire le patatine del fish’n chips, il massimo contributo della cucina inglese all’umanità.
In Cina e Giappone si utilizzano vari tipi di aceto, prodotti a partire da riso, cereali e canna da zucchero. Alcuni tipi di aceto cinese sono prodotti utilizzando cereali arrostiti, lasciati fermentare con muffe, lieviti e batteri per tempi molto lunghi. In genere hanno un sapore forte con un netto retrogusto dolce e sono indicati per condire verdure, zuppe, piatti in agrodolce e l’immancabile riso per il sushi.
L’aceto balsamico tradizionale è un vero e proprio condimento, è molto delicato e non va mai fatto bollire, per cui è bene aggiungerlo soltanto a fine cottura. In genere si usa in piccole quantità su carni alla griglia e pesce, ma è ottimo per condire insalate, formaggi e frutta, in particolar modo le fragole.
L’aceto bianco è prodotto per fermentazione di alcol puro, non è invecchiato e non viene tenuto in contatto con legni o altre essenze, per cui è quasi del tutto privo dei particolari composti che si formano attraverso fermentazione ed ossidazione negli altri tipi di aceto. È utilizzato soprattutto nell’industria conserviera per la produzione di sottoaceti ed altri alimenti conservati.
In commercio si trovano anche prodotti molto particolari come l’aceto di Corinto, prodotto con uva sultanina, scuro e fruttato, ottimo con carne alla griglia e verdure e l’aceto di Sherry, prodotto a partire da vino sherry con un metodo laborioso che prevede l’invecchiamento in botte fino a venticinque anni, dal sapore corposo e fruttato, ottimo per condimenti sughi e salse.
Come farsi l’aceto in casa
Per prepararsi l’aceto in casa potete partire da del vino, da succhi o da frutti, purché abbiano adeguato contenuto di alcol o zucchero. Vino e succhi inacidiranno spontaneamente ma per un risultato migliore, che riduca la possibilità che si sviluppino batteri che possano impartire aroma e gusto spiacevoli, si può partire con dell’aceto non pastorizzato o con della “madre” di aceto. La proporzioni potrebbe essere di 4:1 ossia circa 800 ml di vino o sidro miscelati a 200 ml di aceto. Il recipiente da utilizzare deve essere ampio, per garantire una areazione ottimale e una rapida acetificazione, e deve costantemente essere mantenuto a temperature intorno ai 30°C, ricoperto con un telo che lasci comunque passare l’aria.
Il processo può richiedere da qualche settimana a qualche mese. Se si parte con succhi con un contenuto in zucchero inferiore al 10 % l’alcol ottenuto con la fermentazione sarà minore del 5 % e l’aceto prodotto avrà una percentuale di acido acetico inferiore al 4% e sarà prono a guastarsi. Per evitare il problema il succo di partenza può essere addizionato con dello zucchero, per incrementare la successiva produzione di alcol e acido acetico.
La madre dell’aceto, la pellicola ricca di batteri che si forma in superficie, può essere conservata immersa nell’aceto e riutilizzata in cicli di produzione successivi. L’aceto ottenuto può essere aromatizzato con erbe, dal timo, al rosmarino, al dragoncello, scaldandolo e versandolo in un contenitore in cui saranno state prima introdotte le erbe ben pulite. Il tutto si può lasciare a riposare per una o due settimane e si può quindi filtrare e imbottigliare. E il vostro aceto è pronto, da servire in tavola.
La ricetta: trota in salsa di aceto e capperi
Per chiudere, una stuzzicante ricetta della Moglie del Nutrizionista©®™, un piatto di pesce che può essere servito sia come antipasto che come saporitissimo secondo piatto, in cui l’aceto di vino ha un ruolo fondamentale.
Ingredienti per quattro persone
- 2 trote da 500g
- brodo di pesce
- 5 acciughe sotto sale
- un bicchiere di olio extra vergine di oliva
- 30 g di capperi
- mezzo bicchiere di aceto di vino bianco
- sale qb
Procedimento
Lessate le trote ben pulite nel brodo di pesce.
Eliminate pelle e lische e disponete la carne a pezzi in un piatto da portatata con bordi alti.
Pulite le acciughe e scioglietele nell’olio caldo. Aggiungete i capperi e l’aceto. Scaldate evitando di far bollire.
Versate la salsa sulla trota. Fate raffreddare e riposare il tutto per qualche ora, prima di servire in tavola.
Buon appetito.