Il calcio è un minerale conosciuto soprattutto per il suo contributo alla salute delle ossa ma in realtà svolge una quantità di ruoli diversi e importanti, così importanti da render necessario un complesso sistema di controlli che ne regolano assunzione, utilizzo ed escrezione: un adeguato apporto con la dieta è essenziale al corretto funzionamento di questi complessi processi metabolici.
Il calcio è uno dei metalli più abbondanti della crosta terrestre, dove lo troviamo sotto forma di ammassi sedimentari formati dal lento accumularsi — la scala temporale è di milioni di anni — dei gusci di creature marine. Esiste un ciclo del calcio che parte proprio da questi sedimenti che, esposti all’azione degli elementi da processi tettonici, rilasciano il metallo nelle acque superficiali che di nuovo lo portano al mare, dove andrà a formare nuovi sedimenti. La stima è che ogni anno oltre 500 milioni di tonnellate di calcio si muovano attraverso questo incessante ciclo.
Il calcio è il metallo più abbondante nel nostro organismo: alla nascita ne sono presenti circa 30 grammi, quantità che aumenta progressivamente fino all’età adulta, per arrivare a valori medi di 900-1300 grammi. Il calcio è presente in tutti i tessuti e in tutte le cellule ma è distribuito in maniera fortemente asimmetrica: circa il 99% è localizzato nelle ossa e nei denti, mentre il restante 1%, all’incirca una decina di grammi, lo si trova a livello del sangue e dei tessuti.
Il calcio è essenziale per un gran numero di processi e funzioni, così importante che quando l’apporto del minerale con la dieta risulta inadeguato l’organismo è disposto a sacrificare parte di quello presente nelle ossa pur di mantenerne una adeguata concentrazione a livello di sangue, fluidi extracellulari e cellule.
Calcio e salute delle ossa
La nostra percezione dello scheletro è sbagliata. Lo vediamo come qualcosa di solido, inorganico, una impalcatura fissa che sostiene e protegge l’insieme di sistemi e apparati che formano il nostro organismo. E ci scordiamo che questa struttura è viva, cresce, cambia, invecchia, con una continua opera di rimodellazione che nell’adulto porta ad un ricambio quasi completo del materiale minerale che lo costituisce in circa sei-sette anni, molto più rapidamente durante l’infanzia e l’adolescenza.
L’osso è composto per il 20-40% da una matrice organica, costituita soprattutto da collagene e altre proteine, per il 50-70% da una frazione minerale costituita soprattutto da idrossiapatite di calcio [ Ca10(PO4)6(OH)2] e per il resto da acqua e grassi.
La parte organica garantisce elasticità allo scheletro, è essenziale per i processi di crescita, rigenerazione e rimodellamento, e oltre che dal collagene è costituita da proteine come l’osteocalcina — molecola ad alta affinità per il calcio, indispensabile per la mineralizzazione dell’osso — e da numerosi elementi cellulari, in particolar modo osteoblasti e osteoclasti, responsabili dei processi di crescita e rimodellamento del tessuto osseo.
Gli osteoblasti sono cellule specializzate nella produzione delle componenti tissutali e di diverse proteine indispensabili alla formazione di tessuto osseo. La loro attività è stimolata da carico meccanico sull’osso e dalla presenza di fluoro, mentre si riduce in assenza di carico, in seguito a malnutrizione e ai normali processi di invecchiamento. Gli osteoblasti intrappolati nella lacune della struttura ossea prodotta si trasformano in osteociti, cellule che partecipano alla regolazione dei livelli ematici di calcio e fosforo, e che in caso di lesioni e fratture possono tornare attivi e partecipare ai processi di rimodellazione necessari.
Gli osteoclasti sono cellule annidate in particolari spazi nello spessore dell’osso, in grado di demolirne sia la matrice organica che la parte minerale, rendendo nuovamente disponibili il calcio e il fosforo presenti.
L’equilibrio tra l’attività degli osteoblasti e quella degli osteoclasti, tra l’attività di deposizione e quella di riassorbimento, permette di mantenere costante la massa ossea. Ovviamente il rapporto tra i processi cambia nelle varie fasi della vita ed è alla base dei cambiamenti cui lo scheletro va incontro durante il ciclo vitale.
Lo scheletro si forma attraverso processi complessi, a partire da tessuti molli e cartilaginei che si organizzano a formare strutture più o meno regolari sulle quali si depositano i cristalli di idrossiapatite. Accanto al calcio anche il fosforo risulta essere indispensabile per una corretta mineralizzazione, tanto che in carenza di fosforo il processo non può procedere adeguatamente anche con un adeguato apporto di calcio.
Nel primo anno di vita la deposizione di calcio nello scheletro avviene a ritmi vertiginosi con il neonato in grado di accumulare a livello delle ossa fino al 60% del calcio presente nel latte materno, che nei primi sei mesi ne contiene circa 260mg per litro. L’assorbimento cala al 40% per i neonati allattati con latte artificiale, che per questo motivo viene formulato con un contenuto di calcio doppio rispetto a quello materno.
Durante l’infanzia l’accrescimento dello scheletro continua per raggiungere un picco durante l’adolescenza, quando in un periodo di 3-5 anni, per azione di diversi ormoni, si ha deposizione giornaliera di calcio di 100-200mg, con picchi che possono arrivare a 400 mg/die.
Durante la crescita l’apporto ottimale di calcio è stimato intorno ai 1200 mg/die. Valori superiori a questi, raggiungibili grazie all’uso di integratori, rendono possibile un aumento del contenuto del minerale a livello osseo, aumento che però scompare al venir meno dell’integrazione.
Entro i 18-20 anni è accumulata la maggior parte della massa ossea: se durante la crescita l’apporto di calcio è stato insufficiente porzione corticale e solidità dell’osso risulteranno compromesse, mentre l’accrescimento in lunghezza non risulta compromesso. L’accrescimento si completa durante la terza decade di vita, con un bilancio ampiamente positivo, fino a raggiungere il picco di massa ossea, che dipende soprattutto da fattori genetici.
Tra i 30 e i 50 anni la massa ossea si mantiene relativamente costante e i processi di rimodellamento sono legati soprattutto all’attività fisica e al carico meccanico che questa determina. Una riduzione della massa ossea in questa fase è legata a patologie, utilizzo di particolari farmaci, inattività forzata e prolungata, fumo e abuso di alcol.
Man mano che l’età avanza l’attività degli osteoclasti sopravanza quella degli osteoclasti e il riassorbimento del tessuto osseo supera la formazione. Nelle donne, durante e nel periodo successivo alla menopausa, la riduzione del livello di estrogeni si accompagna a una riduzione apprezzabile della massa ossea, la cui entità dipende da un gran numero di fattori tra cui il livello di attività fisica, la composizione corporea e il picco di massa ossea raggiunto in gioventù.
Nel periodo perimenopausale si ha una perdita di massa ossea pari al 3-7% annuale, valore che cala allo 0,5-2% annuale dopo i 65 anni, valori a questo punto molto simili a quelli degli uomini nel medesimo gruppo di età.
Nei soggetti anziani è cruciale mantenere un adeguato apporto di calcio a causa di una progressiva riduzione dell’efficienza dell’assorbimento intestinale, accompagnata spesso da livelli non adeguati di vitamina D.
Quando la riduzione del contenuto minerale dell’osso è rilevante si parla di osteoporosi: le ossa divengono fragili e aumenta il rischio di fratture spontanee, soprattutto a carico delle vertebre e dell’anca. La progressione di questa condizione può essere rallentata con una alimentazione adeguata, ricca di calcio, fosforo e vitamina D, e con una attività fisica mirata che stimoli l’azione degli osteoblasti. [1, 2, 3, 4]
Il calcio oltre le ossa
La quantità di calcio nei tessuti molli e nei liquidi corporei è molto piccola, intorno agli 8-10 grammi, ma svolge funzioni così importanti da giustificare il “sacrificio” di parte del calcio presente a livello dello scheletro pur di mantenere stabile questa quota.
La calcemia, la quantità di calcio presente nel plasma, ha un intervallo di normalità molto ristretto, 9-11 mg/dl: circa il 40% di questo calcio è legato a proteine, soprattutto albumina, il restante 60% è in piccola parte complessato ad acidi organici e inorganici, mentre la maggior parte è disponibile in forma ionica, Ca++, la forma fisiologicamente attiva, con concentrazione tipica di 4,5-5,6 mg/dl, mantenuta su questi valori grazie ad un complesso controllo ormonale.
Il calcio plasmatico partecipa ai processi di coagulazione del sangue, è infatti necessario all’attivazione della protrombina e di altre proteine che partecipano alla cascata che rende possibile questo fondamentale fenomeno.
La concentrazione di calcio nella cellula è molto bassa, 10 volte minore rispetto ai liquidi extracellulari. Buona parte di questi ioni calcio sono legati a membrane e proteine strutturali, oppure si trovano accumulati in vescicole di deposito. Una quota di calcio insolubile è accumulato nei mitocondri e attraverso un complesso sistema di trasporto attraverso le membrane viene utilizzato per mantenere costante il pH del citoplasma.
Il calcio, muovendosi attraverso la membrana della cellula grazie a sistemi di trasporto dedicati, ne influenza l’eccitabilità partecipando al controllo di processi di contrazione e rilassamento dei vasi sanguigni, alla secrezione di ormoni, alla trasmissione di impulsi nervosi e alla contrazione delle fibre muscolari.
Nel muscolo il ruolo del calcio è ben noto: quando un impulso stimola la contrazione della fibra muscolare si aprono dei canali dedicati che permettono l’ingresso di calcio nella fibra. Il calcio si lega a proteine che a loro volta permettono di rilasciare una grande quantità di ioni calcio dalle vescicole in cui sono accumulati; questi ioni calcio si legano ad una proteina, la troponina-c, avviando una serie di processi che rendono possibile la contrazione della fibra a spese di ATP. Il calcio rilasciato dalle vescicole si lega anche alla calmodulina, una proteina che scinde il glicogeno muscolare per rendere disponibile il glucosio utilizzato per produrre l’energia necessaria alla contrazione
La complessità e la delicatezza di questi meccanismi spiegano l’assoluta necessità di mantenere la concentrazione di calcio nei fluidi extracellulari e all’interno della cellula su valori costanti e in rapporti ben precisi, e quindi il rigoroso sistema di controllo che regola assorbimento, distribuzione, utilizzo ed escrezione del prezioso minerale. [5, 6, 7, 8]
Il metabolismo del calcio
Sono tre gli ormoni che regolano assorbimento intestinale, utilizzo a livello dello scheletro ed escrezione del calcio: il paratormone (PTH), la calcitonina (CT) e la vitamina D.
Quando la concentrazione di calcio nel plasma cala le ghiandole paratiroidi aumentano la secrezione di paratormone che stimola indirettamente l’attività degli osteoclasti favorendo il riassorbimento del tessuto osseo e la liberazione in circolo di ioni calcio, aumenta il riassorbimento del calcio a livello renale e, sempre a livello del rene, favorisce la conversione della vitamina D alla sua forma attiva — 1,25-diidrossivitamina D o calcitriolo) — che a sua volta determina un aumento dell’assorbimento di calcio a livello intestinale. Quando la calcemia torna su livelli normali il circuito si chiude e le paratiroidi riducono la secrezione di paratormone.
Quando la concentrazione di calcio plasmatico aumenta in maniera eccessiva la tiroide secerne calcitonina che inibisce l’attività delle paratiroidi, riduce l’attività di riassorbimento dell’osso e l’assorbimento di calcio nell’intestino, mentre ne viene aumentata l’escrezione con le urine.
Una carenza di estrogeni provoca riduzione della densità ossea, attraverso meccanismi che ancora non sono ben noti, mentre altri ormoni come il PThP (parathyroid hormone related protein), l’ormone della crescita, il testosterone e alcuni fattori di natura proteica, possono favorire il riassorbimento osseo o aumentare la formazione ossea, in vari stadi della vita.
L’impatto maggiore legato all’azione di queste sostanze si ha a livello dello scheletro, che funziona come una vera e propria riserva di calcio, tuttavia anche i processi di assorbimento e di escrezione giocano un ruolo importante nel mantenimento dell’omeostasi del calcio.
L’assorbimento del calcio a livello intestinale avviene sia attraverso trasporto attivo che per diffusione passiva attraverso la mucosa. Il trasporto attivo richiede energia e dipende dalla presenza di recettori per la vitamina D e di vitamina D in forma attiva, calcitriolo. La diffusione passiva avviene assieme all’assorbimento di acqua, sodio e glucosio ed è tanto maggiore quanto maggiore è l’assunzione di calcio con la dieta.
Nell’intestino viene di norma assorbito il 25% del calcio presente negli alimenti consumati, percentuale che aumenta in misura notevole durante la crescita — fino al 60% nel neonato, al 35 % nell’adolescenza— e raddoppia durante la gravidanza, per ridursi progressivamente di circa lo 0,4 % all’anno dopo i 40 anni.
Il calcio è eliminato soprattutto attraverso l’urina e le feci. Nel rene circa il 95-98% del calcio filtrato viene riassorbito attraverso meccanismi attivi e passivi. La quantità di calcio così eliminata è di circa 40 mg/die nei bambini, valore che sale fino a 150-200 mg/die negli adulti, con variazioni notevoli dovute a diversi fattori: un introito elevato di proteine favorisce l’eliminazione urinaria di calcio, così come un elevato consumo di sodio o dosi elevate di caffeina, superiori ai 400 mg/die, l’equivalente di 4-5 tazzine di espresso. L’escrezione urinaria di calcio aumenta in estate, per effetto dell’aumentata sintesi di vitamina D dovuta alla radiazione solare , con aumento dell’assorbimento intestinale che comporta aumento della calcemia e quindi necessità di eliminare il calcio in eccesso attraverso le urine.
La quota di calcio eliminata con le feci è molto più bassa, 2mg/die, e modesta è anche la perdita dovuta alla sudorazione, circa 15 mg/die che possono arrivare fino a 100 mg per soggetti molto attivi in presenza di temperature elevate.
Durante l’allattamento la donna perde ogni giorno circa 240 mg di calcio, quantità che se non fornita con l’alimentazione viene sottratta allo scheletro. Complessivamente la donna cede al neonato circa 100 grammi di calcio, con una leggera riduzione della massa ossea che torna comunque su valori normali abbastanza rapidamente se si mantiene un buon consumo di alimenti ricchi del minerale. Le linee guida consigliano di aumentare l’apporto giornaliero di calcio di circa 400 mg al giorno durante gravidanza e allattamento, specie in caso di gravidanze ripetute seguite da allattamento prolungato. [9, 10, 11, 12]
Il calcio negli alimenti
I livelli di assunzione del calcio attualmente raccomandati sono basati sull’analisi di diversi fattori che tengono conto delle perdite giornaliere, dell’efficienza dell’assorbimento — in genere tanto maggiore quanto minore è la presenza del minerale nel cibo consumato — della ritenzione di calcio durante la crescita e dei valori di densità raggiunti al picco di massa ossea.
I livelli di assunzione attualmente consigliati per fasce di età:
- 0-1 anno: 500 mg/die
- 1-6 anni: 800 mg/die
- 7-10 anni: 1000 mg/die
- 11-20 anni: 1200 mg/die
- Adulti: 1200 mg/die
- Durante la gravidanza: +400 mg/die rispetto al fabbisogno di base
- Nei 5 anni successivi alla menopausa: 1500 mg/die
Gli alimenti più ricchi di calcio sono il latte e tutti i suoi derivati (formaggi, yogurt, kefir, skyr etc) poiché le ghiandole mammarie concentrano il calcio nel latte. Nel latte fresco troviamo circa 100-120 mg di calcio per 100g, valore che può arrivare fino ai 900 mg/100g di alcuni formaggi stagionati. Anche molluschi, crostacei e uova contengono una quantità apprezzabile di calcio.
Tra i vegetali sono particolarmente ricchi di calcio la rucola (300mg/100g), mandorle e frutta secca (150-200mg/100g) e quindi la cicoria, gli agretti, il radicchio, i broccoli (tutti intorno ai 100 mg/100g). La disponibilità del calcio presente nelle verdure è condizionata dalla presenza di ossalati e fitati, sostanze che possono legare il calcio riducendone l’assorbimento, anche quando presente in altri alimenti consumati contemporaneamente. Sono molto ricchi di ossalati spinaci, rabarbaro, patate dolci e fagioli, mentre troviamo quantità elevate di fitati nei cereali integrali, nei legumi e nei frutti oleosi secchi. In una dieta variata la riduzione dell’assorbimento di calcio dovuta a questi antinutrienti è trascurabile, ma può diventare importante in diete con esclusione di particolari alimenti, come quelle vegane strette, che richiedono quindi molta attenzione negli alimenti da consumare e nelle combinazioni, per garantire un adeguato apporto di calcio.
Anche un consumo elevato di grassi saturi può ridurre l’assorbimento di calcio, per formazione di saponi insolubili che ne aumentano l’escrezione attraverso le feci.
Un elevato apporto proteico aumenta la biodisponibilità di calcio a livello intestinale ma contemporaneamente ne aumenta l’escrezione urinaria, con un effetto netto che probabilmente non è rilevante se non in presenza di consumi assolutamente anomali.
Un elevato consumo di sodio favorisce l’escrezione urinaria di calcio, con perdite che possono arrivare fino all’1% della massa minerale ossea in un anno. Un effetto opposto ha il potassio, che riduce l’eliminazione urinaria del calcio, particolarmente in donne nel periodo successivo alla menopausa.
Caffeina e fosforo aumentano entrambi l’escrezione urinaria di calcio, tuttavia le quantità necessarie a determinare effetti apprezzabili sono molto elevate: soltanto un consumo molto importante di caffè, tè, bevande gassate contenenti caffeina e fosfati può causare un aumento del rischio di osteoporosi o fratture in soggetti con un apporto di calcio adeguato.
Il calcio è presente in quantità apprezzabile in molte acque e viene assorbito in maniera sovrapponibile a quanto avviene per quello presente nel latte e negli altri alimenti. La scelta di acque con un buon contenuto di calcio è quindi consigliata per aumentare l’apporto quotidiano del minerale, particolarmente per quei soggetti che presentano un fabbisogno più elevato.
La carenza di calcio può essere legata a apporto ridotto, assorbimento alterato o escrezione aumentata, questi ultimi due condizione spesso legate a stati patologici che coinvolgono le paratiroidi, l’intestino o i reni. Anche carenza di vitamina D e alcolismo sono situazioni che possono ridurre in maniera sensibile l’assorbimento di calcio.
Lo scheletro risulta particolarmente danneggiato da una ridotta disponibilità di calcio, con manifestazioni che dipendono dall’età del soggetto in cui si registra la carenza: ridotta densità ossea o addirittura rachitismo se i problemi si hanno nella fase di crescita, osteoporosi, fragilità ossea e aumento del rischio di fratture se la carenza riguarda soggetti adulti. In realtà la salute dello scheletro dipende da un gran numero di fattori diversi e la quantità di calcio disponibile è soltanto uno di questi. L’organismo ha anche capacità di adattarsi a disponibilità ridotta e oltretutto sembra presentare una soglia di assunzione oltre la quale, all’aumentare della quantità di calcio fornito non si registra più alcun miglioramento della densità ossea.
Una carenza cronica di calcio determina una sindrome molto complessa che comporta ipertensione, aterosclerosi, Alzheimer, distrofia muscolare e diabete mellito. Un eccesso cronico è molto raro, si osservava in passato in soggetti affetti da ulcera peptica che consumavano grandi quantità di latte e di antiacidi (Milk-alkali syndrome), con anoressia, nausea, stipsi, disidratazione, perdita di peso, insufficienza renale e riduzione dell’assorbimento di ferro e zinco. Ridotto apporto di calcio aumenta il rischio di calcoli renali, poiché si riduce la quantità di acido ossalico che viene legato dal calcio ed eliminato con le feci: aumenta quindi l’assorbimento intestinale di ossalati e la loro escrezione a livello renale, con maggior probabilità di formazione di calcoli.
Infine un apporto costantemente elevato di calcio può interferire con l’assorbimento di ferro, magnesio, zinco e fosforo, apprezzabile quando la quantità di calcio consumata superi i 2000 mg/die, livelli che è possibile raggiungere quando si esagera con l’integrazione, che andrebbe riservata ai casi in cui risulta strettamente necessaria, cercando di individuare le possibili cause della carenza registrata. [13, 14, 15, 16]
Calcio, salute e integrazione
Il modo migliore di procurarsi un’adeguata quantità di calcio è con un’alimentazione varia ed equilibrata, consumando le giuste porzioni di alimenti che ne sono ricchi, mirando a mantenere valori normali per la vitamina D senza la quale gran parte del calcio consumato non può essere assorbito.
Esiste comunque una significativa fetta della popolazione che potrebbe beneficiare dell’integrazione con calcio: tra le preparazioni più usate carbonato di calcio, fosfato di calcio, citrati, lattati e gluconati di calcio, mentre per chi è amante dei prodotti esotici è disponibile calcio prodotto a partire dal corallo, calcio corallino, ricco di idrossiapatite, la forma in cui il calcio si trova nello scheletro: va detto che i pochissimi studi disponibili non hanno evidenziato maggiore efficacia per questa forma di calcio, rispetto ad altri prodotti. In genere questi integratori sono forniti in dosi da 500 mg, circa il 50% della dose giornaliera consigliata, e andrebbero presi ai pasti.
Nella prevenzione e nel trattamento dell’osteoporosi l’integrazione con calcio non ha prodotto grandi risultati. Con dosi giornaliere di 800 mg si ottiene un modestissimo aumento della densità ossea e una riduzione altrettanto modesta del rischio di fratture. Anche integrando contemporaneamente vitamina D e calcio non si sono ottenuti risultati importanti, tuttavia si è visto che l’integrazione con vitamina D è assolutamente inutile se non c’è un adeguato apporto di calcio, mentre l’integrazione con calcio è poco efficace quando sia ridotta la disponibilità di vitamina D. È evidente che le due sostanze sono entrambe necessarie per garantire una buona salute delle ossa e la loro integrazione andrebbe sempre valutata con attenzione, come è facile intuire tenendo a mente i meccanismi che permettono l’assorbimento del calcio.
L’integrazione con calcio può essere utile durante la gravidanza per ridurre il rischio materno di ipertensione, preeclampsia ed eclampsia, con dosi giornaliere di circa 1000 mg. L’effetto è particolarmente rilevante in donne con un ridotto apporto di calcio con la dieta o che presentano un elevato rischio per complicazioni di questo tipo.
Studi di popolazione hanno mostrato che un elevato consumo giornaliero di latte e latticini, circa 400-500 g/die, è correlato ad una riduzione apprezzabile del rischio per tumori del colon-retto. Si pensa che il calcio possa favorire una rapida eliminazione di acidi grassi e sali biliari che altrimenti, rimanendo a lungo nell’intestino, potrebbero stimolare la formazione di cellule tumorali. Studi clinici con integrazione di calcio hanno dato risultati variabili, senza apprezzabile riduzione del rischio di una prima comparsa per questo tipo di tumori, ma con una leggera riduzione del rischio di recidiva. Studi più ampi, che dovrebbero chiarire la questione, sono in corso.
Il calcio riduce l’assorbimento di piombo a livello intestinale e aiuta a mantenerlo fissato a livello della porzione minerale delle ossa dopo l’assorbimento: contribuisce quindi a ridurne la notevole tossicità, causa di gravi deficit di sviluppo fisico e mentale nei bambini, e danni renali, ipertensione e encefalopatia nell’adulto. Un adeguato consumo di calcio e l’utilizzo di integrazione mirata è risultato correlato ad una riduzione dei livelli ematici di piombo nella popolazione e in donne in gravidanza.
Un elevato consumo di calcio, o l’integrazione di calcio in studi clinici mirati, risultano associati ad una miglior controllo del peso corporeo e ad una maggiore riduzione della massa grassa durante una dieta. Un elevato apporto di calcio in effetti stimola la mobilitazione e l’utilizzo dei grassi corporei a scopo energetico e secondo alcuni potrebbe anche ridurre l’assorbimento di lipidi a livello intestinale. L’effetto appare tuttavia modesto e molto spesso limitato a gruppi particolari, quindi è di rigore sottolineare la necessità di studi più approfonditi su questo tema di notevole interesse.
Diversi studi mostrano che un elevato apporto di calcio con la dieta o integrazione con 500-1200 g/die del minerale, sono associati ad una riduzione dei sintomi della sindrome premestruale, particolarmente in quei soggetti in cui si presenta con particolare severità.
Alcuni studi mostrano un leggero aumento del rischio di cancro alla prostata con aumentato consumo di latte ma non di latticini, mentre risultano controversi i dati relativi all’uso di integratori, con alcuni lavori che fanno registrare effetti protettivi, altri che indicano un aumento del rischio. Parrebbe che più che il calcio siano altri componenti presenti nel altte a favorire lo sviluppo di questo tipo di tumori.
Controversi anche i dati relativi a patologie cardiovascolari, con parte degli studi che fanno registrare un aumento del rischio legato a elevato apporto o integrazione con calcio, mentre altri lavori non evidenziano effetti negativi. Una possibile spiegazione di questi risultati suggerisce che elevati livelli di calcio nel sangue possano favorire i processi di indurimento della parete delle arterie, parte di quella serie di eventi che porta ad aterosclerosi e ipertensione.
Gli integratori di calcio possono interferire con l’assorbimento di diversi farmaci, come tetracicline, chinoloni, diversi farmaci antivirali — raltegravir, dolutegravir e elvitegravir — levotiroxina e bifosfonati, riducendone l’efficacia. Gli integratori di calcio non vanno presi con diuretici, digossina o calcipotriolo per potenziali effetti collaterali anche gravi. Gli integratori di calcio possono ridurre in maniera significativa l’assorbimento di ferro, soprattutto di quello presente nei vegetali, zinco e licopene.L’utilizzo di antagonisti dei recettori H2 (cimetidina) e di inibitori di pompa protonica (omeprazolo, lansoprazolo etc) può invece ridurre l’assorbimento di calcio. In tutti questi casi è bene che integratori e farmaci siano somministrati ad adeguata distanza gli uni dagli altri, da 2 a 4-6 ore, per ridurre al minimo il rischio di interazioni. [17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35]