Si torna a parlare di carne rossa dopo la pubblicazione di un imponente lavoro di analisi di un gran numero di studi. E stavolta parrebbero esserci buone notizie per gli amanti di fiorentine, costate e salumi, visto che lo studio giunge alla conclusione che non c’è alcuna necessità di modificare il consumo di questi cibi alla luce dei dati disponibili. Ma come per tutti i lavori di questo tipo è importante valutare con attenzione i risultati, per capirne meglio le implicazioni profonde (e capire anche un po’ più chiaramente come funziona la ricerca scientifica).
Qualche anno fa destò un grosso scalpore un lavoro congiunto di OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), un documento nel quale si valutava la robustezza delle prove che mettono in relazione il rischio di contrarre certi tipi di tumore e il consumo di carne rossa e carni lavorate (qui un articolo con analisi approfondita del lavoro). L’analisi dei dati portava ad indicare il consumo di carni lavorate come “cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 1) mentre il consumo di carne rossa risultava essere “probabilmente cancerogeno per l’uomo” (Gruppo 2A).
Panico e terrore, la carne rossa additata dai più come un veleno potentissimo, pianto e stridor di denti, finché alla ribalta dei non salì un nuovo argomento di interesse e il tutto venne rapidamente dimenticato, lasciando però sedimentato nell’opinione pubblica un senso di diffidenza e timore nei confronti di questo cibo. Diffidenza ulteriormente alimentata dalle recenti considerazioni che indicano nel costante aumento del consumo di carne uno dei fattori che rendono il nostro stile di vita poco sostenibile dal punto di vista ambientale.
La marea si è invertita negli ultimi giorni con la pubblicazione di un importante lavoro di meta-analisi che ha preso in considerazione un gran numero di studi sul tema concludendo che, sulla base dei dati attualmente disponibili, i soggetti adulti possono continuare a consumare carne rossa e lavorata seguendo le loro normali abitudini. Ola da stadio tra i tifosi della fiorentina (intesa come bistecca), sconcerto tra i convinti sostenitori di una dieta a basso o assente consumo di carne, dubbi e perplessità tra il pubblico generale, confuso da questo continuo flusso di dichiarazioni contrastanti.
Risultati controversi, che apparentemente ribaltano posizioni consolidate richiedono un’analisi attenta, che non si limiti ad una rapida scorsa per ricavarne il titolo sensazionale: quindi, prima di addentare succulenti cosciotti alla brace, vale la pena di esaminare un poco più in dettaglio questo lavoro.
Carne rossa e rischio: la meta-analisi
Il lavoro in questione è stato pubblicato su Annals of Internals Medicine, da un consorzio indipendente di esperti, il Nutritional Recommendations (NutriRECS) Consortium: 14 gli esperti impegnati a formulare le raccomandazioni finali, provenienti da 7 paesi, tutti rigorosamente selezionati in modo da eliminare potenziali conflitti di interesse che potessero inficiarne l’oggettività (potete leggere l’intero lavoro qui).
Obiettivo del lavoro, stilare linee guida relative al consumo di carne rossa basate su dati solidi, prive di conflitti di interesse e basate sui valori e sulle preferenze degli utenti finali delle linee guida stesse.
Implicita la critica alle tante linee guida attualmente disponibili, tutte concordi nel consigliare una riduzione del consumo di carni rosse e lavorate, il cui consumo eccessivo è considerato un fattore di rischio per alcune forme di cancro e per patologie cardiovascolari. Raccomandazioni basate soprattutto su studi di popolazione, molto sensibili all’effetto di fattori confondenti e quindi con una capacità limitata di stabilire nessi causali, spesso non in grado di indicare la grandezza assoluta dell’effetto ma limitate ad indicare soltanto variazioni del rischio relativo.
Termini che ai più suoneranno arcani, relativi alle modalità con cui sono condotti gli studi scientifici, ma che tradotti in termini pratici significano che gli studi sul tema che indicano un aumentato rischio legato al consumo di questi alimenti non quantificano mai in maniera assoluta l’entità del rischio osservato e non possono indicare con certezza che sia proprio il consumo di carne rossa a determinare l’aumento del rischio che potrebbe anche essere dovuto ad altri fattori, come fumo e sedentarietà.
Il gruppo non ha volutamente preso in considerazione temi legati alla sostenibilità ambientale e al benessere degli animali d’allevamento e ha scelto di indirizzare le linee guida proposte a quei soggetti che abitualmente consumano carne rossa e lavorata, considerando il punto di vista del singolo piuttosto che quello legato ai grandi temi di salute pubblica.
Sono stati presi in considerazione un gran numero di studi che hanno complessivamente coinvolto diverse centinaia di migliaia di persone con l’obiettivo di chiarire due singoli punti:
- qual è, tra gli adulti, l’effetto di un’alimentazione con ridotto consumo di carni rosse e lavorate, e di quanto viene ridotto il rischio legato a indicatori rilevanti per la salute del singolo?
- quali sono le preferenze relative al consumo di carne rossa e lavorata del singolo, e quali i valori e le convinzioni legati al tema della salute?
Gli indicatori considerati importanti sono mortalità per ogni causa, mortalità per patologie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro, qualità della vita e disponibilità a modificare il proprio stile di vita. Valutati anche una serie di indicatori relativi allo stato di salute — peso, indice di massa corporea, lipidi ematici, pressione, emoglobina ed anemia — assieme alle ragioni addotte dai singoli per il consumo di carni rosse e processate.
Sono stati selezionati, tra tutti i lavori sul tema disponibili fino al luglio 2018, sia studi di intervento, sia studi di popolazione, questi ultimi soltanto nel caso il numero dei soggetti studiati fosse superiore a 1000 e la durata delle osservazioni superiore ai sei mesi.
Gli esperti hanno considerato realistica una indicazione per la riduzione del consumo di carni rosse e lavorate pari a 3 porzioni per settimana, ad esempio un passaggio da 6 a 3 porzioni settimanali, considerando un intervento di questo tipo come base per la valutazione delle prove disponibili.
Particolare attenzione è stata data alla valutazione di discrepanze provenienti da studi che hanno analizzato in maniera specifica il consumo di carne e studi che hanno valutato l’insieme della dieta, in modo da stabilire l’esistenza di un nesso causale diretto tra consumo di carne e specifiche patologie.
I dati derivanti dagli studi selezionati in base a questi stringenti criteri sono poi stati elaborati con sofisticati strumenti statistici per valutare la forza delle prove disponibili e passare quindi alla formulazione di linee guida sottoposte poi al giudizio di un gruppo di 14 esperti.
Queste le conclusioni:
Raccomandazioni relative al consumo di carne rossa
Per gli adulti si consiglia di non modificare l’attuale consumo di carne rossa non lavorata (raccomandazione debole, con prove di ridotta evidenza). 11 esperti hanno votato a favore di questa conclusione, 3 hanno votato contro.Raccomandazioni relative al consumo di carne rossa lavorata
Per gli adulti si consiglia di non modificare l’attuale consumo di carne rossa lavorata (raccomandazione debole, con prove di ridotta evidenza). 11 esperti hanno votato a favore di questa conclusione, 3 hanno votato contro.
Il gruppo di lavoro ha quindi giudicato scarsa la forza delle prove relative a una riduzione del rischio legata al decremento del consumo di carni rosse e lavorate. Le variazioni sono comunque apprezzabili dal punto di vista statistico: per una riduzione settimanale di 3 porzioni si osserva una diminuzione di 1-6 eventi cardiovascolari e di circa 7 casi di cancro, calcolati su 1000 persone. La riduzione del rischio assoluto è quindi presente, per alcune patologie ma non per tutti gli indicatori presi in esame, rimanendo tuttavia sempre molto piccola.
L’indagine sulle preferenze degli utenti finali ha mostrato che tra gli onnivori il consumo di carne è considerato parte essenziale di una dieta salutare, con una scarsa propensione a modificare le proprie abitudini alimentari, nonostante i potenziali effetti negativi sulla salute.
Proprio per il ridotto effetto protettivo che è possibile dedurre dai dati disponibili, insieme alla resistenza a cambiare la propria dieta da parte della maggioranza dei soggetti interpellati, il gruppo di esperti non ha ritenuto opportuno consigliare modifiche apprezzabili del consumo di carne rossa e lavorata.
Gli autori sottolineano che si tratta di raccomandazioni “deboli”, la cui debolezza evidenzia sia l’incertezza dei possibili effetti negativi sia la dimensione ridotta di tali effetti, negativi o positivi che siano. Queste conclusioni non escludono che possa esistere un legame causale tra il consumo di carne e certe patologie, tuttavia l’effetto è probabilmente molto piccolo e soltanto sommandosi ad altri fattori — consumo di sodio, nitriti e nitrati, presenza di prodotti derivanti dalla cottura — può render conto del debole effetto protettivo legato ad una riduzione del consumo di questi alimenti registrato in alcuni studi osservazionali sulle abitudini alimentari.
Gli autori sottolineano che, nonostante i sofisticati strumenti statistici utilizzati per elaborare i dati disponibili, gli studi oggetto di revisione soffrono comunque di un’incertezza di fondo: negli studi clinici questa è dovuta alle ridotte differenze del consumo di carne tra i gruppi d’intervento e quelli di di controllo, mentre negli studi di popolazione è imputabile alla scarsa qualità dei dati relativi a consumi ed abitudini e alla suscettibilità a numerosi fattori confondenti, difficili da eliminare.
Gli autori si rendono ben conto che le loro conclusioni sono in contrasto con la grande maggioranza delle linee guida disponibili ma rimarcano che i dati non mostrano nessi causali forti, evidenziano effetti protettivi modestissimi e sottolineano che la maggioranza della popolazione non pare propensa a ridurre i propri consumi di carne alla luce di benefici per la salute piccoli ed incerti.
Il lavoro si conclude sollecitando studi più approfonditi e precisi sul tema, con la consapevolezza che lavori sul tema della nutrizione presentano aspetti critici difficilmente riducibili e notevole difficoltà di esecuzione, difficoltà che richiederanno grande ingegno e fervida immaginazione ai ricercatori che vorranno cimentarsi con questi temi.
Carne rossa e rischio: mangiare o non mangiare?
Nonostante i titoli esagerati che sono rimbalzati sui media, il lavoro di questo gruppo indipendente di esperti non autorizza certo, come molti hanno invece hanno scritto, a consumare carne senza problema alcuno.
Come ogni analisi di questo tipo, questo lavoro ha esaminato soprattutto la forza delle prove in grado di supportare linee guida che consiglino la riduzione del consumo di carne rossa e lavorata e ha giudicato queste prove deboli. Tuttavia giudica analogamente deboli le conclusioni cui arriva, quelle che paiono riabilitare questi alimenti, soprattutto a causa dei limiti che presentano gli studi, d’intervento o osservazionali, nell’ambito della nutrizione.
Non può certo essere un singolo lavoro, per quanto importante e raffinato, a capovolgere completamente la mole di dati che proviene da altri studi e che mostra una associazione abbastanza evidente tra un elevato consumo di carni lavorate e alcune patologie, situazione un poco più sfumata per quanto riguarda invece la carne rossa non lavorata.
L’aumento del rischio relativo può apparire importante, tuttavia quello del rischio assoluto è decisamente modesto e molto meno impressionante: la maggior parte degli studi concorda nell’indicare un aumento del 18% per un consumo giornaliero di 50 grammi di carni lavorate, come prosciutto o wurstel. In Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il rischio di ammalarsi di cancro al colon-retto entro i 75 anni di età è del 4% per i maschi e del 5% per le femmine. Considerando il rischio dovuto al consumo di giornaliero di 50 gr di carni lavorate questi valori salgono quindi al 4,7% per i maschi e al 5,9% per le donne, valori che non appaiono certo stellari e che non sono assolutamente comparabili ad altri fattori di rischio, come il fumo, cui molto spesso il consumo di carne è paragonato.
Tutto questo se non prendiamo per nulla in considerazione né l’aspetto etico né la sostenibilità ambientale legate al consumo di carne, argomenti di grande rilievo ormai ma che non sono stati contemplati dal lavoro in esame.
Purtroppo queste indicazioni contrastanti, che di volta in volta sono pubblicizzate con grande clamore, contribuiscono ad aumentare l’enorme confusione che regna in questo campo, confusione che rischia di lasciare spazio libero a ciarlatani e cialtroni sempre pronti a manipolare i dati provenienti dalla ricerca per promuovere diete tanto fantasiose quanto improbabili.
Prendiamo quindi queste nuove linee guida per quello che sono: delle indicazioni che provengono da un gruppo di lavoro che ha esaminato in maniera approfondita, ma di certo non esaustiva, i dati al momento disponibili sul tema. I dati mostrano che statisticamente un minor consumo di carne risulta ridurre il rischio di sviluppare alcune patologie c’è, è misurabile, ma appare assai modesto. La ridotta magnitudine dell’effetto protettivo e la scarsa propensione che il pubblico mostra nel modificare le proprie abitudini alimentari si traducono in raccomandazioni che semplicemente indicano che non sembrano esserci ragioni sufficienti per modificare gli abituali consumi di carni rosse e lavorate.
Quindi niente bacon a colazione, bistecca a pranzo e salsicce a cena, come qualcuno ha voluto intendere. La maggioranza dei dati sul tema mostra che un consumo elevato di carni rosse e lavorate comporta un aumento del rischio per patologie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro. Elevato consumo che spesso è indice di uno stile di vita tutt’altro che sano, caratterizzato da sedentarietà e da un’alimentazione eccessiva nel suo complesso, abbondante di sale e grassi, spesso con consumo di alcolici, tutti fattori che possono contribuire in maniera apprezzabile ai problemi osservati.
Considerando quella che ormai è divenuta la dieta standard dell’intero occidente industrializzato, un consumo più ragionato di carne e prodotti animali appare auspicabile, sia per la nostra salute sia per quella del pianeta. Un consumo più attento che dovrebbe essere accompagnato da un ripensamento del proprio stile di vita che riguardi la dieta nel suo complesso e, ovviamente, l’attività fisica. In questa maniera si potrebbe amplificare quel debole effetto protettivo che è stato osservato, risparmiando sofferenze e risorse in un mondo che troppo ricco delle prime e ormai impoverito delle seconde.