Il pepe è da sempre considerato il re delle spezie: nell’antica Roma ne bastava un pugno per comprare la libertà di uno schiavo. Fortunatamente oggi lo usiamo soltanto in cucina, ingrediente essenziale di mille piatti grazie al suo gusto e al suo aroma. Tra i fitocomposti presenti c’è anche la piperina, superstar dei laboratori di tutto il mondo, grazie ai possibili benefici per la salute che pare presentare.
Il pepe, Piper nigrum, è il frutto di una pianta delle famiglia delle Piperacee, probabilmente originaria dell’India meridionale. Utilizzato nella cucina di quelle terre sin dal 2000 AC, è stato tra i primi prodotti a diventare protagonista di scambi internazionali, giocando un ruolo di primo piano nell’espansione della cultura europea nel mondo. Dalla lontana India il pepe era arrivato già in Egitto, dove veniva usato nella mummificazione dei Faraoni ma un uso decisamente più gradevole glielo riservavano i Greci, per i quali il pepe era spezia esclusiva che insaporiva i piatti dei più ricchi.
Grande la fortuna del pepe presso i Romani, che utilizzavano indistintamente grani o spighe per aggiungere una nota piccante ai loro piatti. Le flotte romane viaggiavano ogni anno fino alle coste dell’India per acquistare pepe e altre spezie. Si ritiene che all’apice di questi commerci l’impero romano spendesse ogni anno oltre cinquanta milioni di sesterzi per acquistare la grande quantità di pepe che il mercato richiedeva. Si narra addirittura che durante la caduta dell’impero Roma pagasse tributi ai barbari invasori utilizzando appunto del pepe, merce rarissima e costosa.
Nel medioevo gran parte dei traffici tra Europa e Asia passava per la via delle spezie, tra Baghdad e Costantinopoli, controllate da Persiani e Arabi. Un ruolo cruciale nel commercializzare il pepe in tutto il continente europeo lo svolsero Genova e, soprattutto, Venezia, che verso il 1400 aveva praticamente monopolizzato il commercio delle spezie tra i due continenti. Una situazione che spinse i Portoghesi a cercare vie alternative per raggiungere l’India. Fu Vasco de Gama a raggiungere la favolosa città di Calicut, centro indiano del commercio delle spezie, conquistandola militarmente nel 1503, ponendo quindi le basi per la nascita dell’impero portoghese. Nel frattempo Cristoforo Colombo, anche lui ansioso di raggiungere le coste delle Indie, aveva scoperto un altro continente, dove trovò soltanto peperoncini: ma questa è un’altra storia.
I portoghesi si contesero a lungo con Venezia il monopolio del commercio del pepe in Europa, ma alla fine cedettero i loro territori agli olandesi e agli inglesi. La East India Company fu formata a Londra nel 1600 e fu protagonista del commercio delle spezie nei secoli successivi: il trasporto era rischioso e i mercanti acquistavano dapprima quote di un singolo carico, per limitare eventuali perdite, quindi quote della società stessa, dando origine, in definitiva, al moderno mercato azionario e al capitalismo.
Ben presto la coltivazione del pepe si diffuse in altre aree tropicali dell’Asia, dell’Africa e dell’America meridionale, con grande piantagioni in grado di far fronte a una domanda sempre più elevata: il prezzo del pepe, un tempo spezia dei ricchi e famosi, calò rapidamente e il suo utilizzo si fece sempre più diffuso.
Oggi la produzione mondiale annuale si aggira intorno alle 473.000 tonnellate: buona parte di queste provengono dal Vietnam, primo produttore mondiale, seguito da Indonesia, India, Brasile e Cina. Il pepe ormai è soltanto una delle tante spezie, disponibile a buon prezzo sugli scaffali di ogni supermercato, non più il motore segreto che ha spinto gli europei a percorrere il globo, scoprire nuove terre, creare imperi, cambiare la faccia del pianeta. La sua parte l’ha fatta, comunque.
Coltivare il pepe per divertimento e profitto
La pianta del pepe è un rampicante che cresce soltanto in climi caldi e umidi, in terreni ben drenati e ricchi di materiale organico. Gli steli legnosi possono raggiungere i 4 metri di altezza e richiedono l’aiuto di tutori su cui svilupparsi. La propagazione avviene per talea, in modo da evitare eccessiva variabilità genetica.
Le foglie, verde intenso, sono ovali e coriacee. I fiori sono ermafroditi, bianchi e piccoli, raccolti in infiorescenza a forma di spiga. I frutti sono delle drupe che racchiudono un singolo seme, di colore inizialmente verde che a maturazione tende a virare al rosso. Il diametro va da 3 a 6 millimetri.
La pianta comincia a produrre frutti a partire dal quarto anno e rimane produttiva per un periodo di circa sette anni. Una pianta con una buona produzione permette fino a 8 raccolti all’anno. La produzione è di circa 1600-4000 chilogrammi per ettaro. La raccolta viene fatta manualmente, quando i frutti alla base della spiga cominciano a diventare rossi. È importante raccogliere i frutti prima che maturino completamente, per evitare che perdano il loro aroma.
Tutti i colori del pepe
Raccolta e lavorazione dei semi del pepe sono momenti fondamentali per ottenere le diverse varietà che troviamo sul mercato:
- Pepe nero: si tratta della varietà più comune. I frutti sono raccolti mentre stanno cambiando colore, dal verde al rosso, e immersi per qualche minuto in acqua calda per ripulirli: in questo modo si ha rottura delle pareti cellulari e liberazione di enzimi che, nella successiva fase di essiccamento, al sole o in forni, causano l’imbrunimento del guscio esterno. Il pepe nero è la varietà più piccante e ricca di aromi.
- Pepe bianco: i frutti sono raccolti a completa maturazione e mantenuti a bagno, in acqua salata, per circa una settimana. L’involucro esterno è quindi rimosso e il seme nudo, dal caratteristico colore bianco, viene fatto essiccare. Ha un gusto meno aggressivo rispetto a quello del pepe nero.
- Pepe verde: i frutti sono raccolti ancora acerbi, in genere una settimana prima della maturazione, e la loro colorazione viene mantenuta trattandoli con anidride solforosa oppure conservandoli in salamoia o in aceto.
- Pepe rosso: si tratta di frutti completamente maturi, in genere conservati in salamoia o sottaceto.
- Pepe grigio: è semplicemente una miscela di pepe bianco e pepe nero macinati molto, molto finemente.
Accanto al frutto del Piper nigrum sono utilizzati come spezie anche i frutti di altre specie, alcune parenti strette del pepe, altre appartenenti a generi diversi ma con frutti dal gusto simile.
- Pepe lungo: è l’intera spiga di un’altra specie, Piper longum, con forma conica allungata e drupe piccole, saldamente ancorate. Per l’uso si macina l’intera spiga. È più pungente del pepe nero, con un deciso aroma di legno.
- Pepe di Giava o cubebe: si ottiene da una specie diversa, Piper cubeba. Molto utilizzato nell’Europa del 1600, ha un gusto pungente con note di legno ed eucalipto.
- Pepe della Giamaica: noto anche come pimento o pepe garofanato, si ottiene da una pianta originaria dell’America Centrale, Pimenta dioica. Utilizzatissimo nella cucina caraibica ha un aroma che ricorda quello dei fiori di garofano, con tracce di menta e cannella, uniti al gusto piccante del pepe.
- Pepe rosa: si ricava da una specie diversa, Schinus molle, una pianta sudamericana della famiglia delle Anacardiacee: può quindi causare allergie. Ha un sapore delicato, lievemente piccante.
- Pepe di Sichuan: si ottiene da una pianta del genere Zanthoxylum, oltre al sapore pungente ha un leggero aroma di agrumi e lascia la bocca leggermente intorpidita per la presenza di un composto, lo sanshoolo, che agisce su differenti tipi di terminazioni nervose producendo questa particolarissima sensazione.
Pepe, piperina e salute
Quando si parla delle proprietà nutritive di una spezia è sempre bene sottolineare che il consumo che se ne fa è necessariamente modesto: la quantità consumata in un singolo pasto è dell’ordine di pochi grammi e quindi ha poco senso fare riferimento alla quantità standard — 100 grammi — di solito utilizzata per indicare i nutrienti presenti. Un soggetto che ami piatti particolarmente speziati potrà forse mangiare 5 grammi di pepe, una quantità che apporta circa 15 calorie, quasi tutte dovute ai carboidrati presenti, intorno ai 4 grammi. I grassi sono praticamente assenti, appena 0,2 g , e poco più abbondanti sono le proteine, 0, 7 g. Abbastanza elevato il contenuto di vitamina K, intorno al 12% del fabbisogno giornaliero, apprezzabile quello di vitamina C. Buono il contenuto di manganese, ferro, rame, magnesio e calcio.
Appurato che nessuno consuma pepe per aumentare il suo apporto giornaliero di vitamine e sali consideriamo invece il gran numero di composti presenti, sostanze che oltre che impartire al pepe gusto e aroma presentano potenziali benefici per la salute: non a caso il pepe è da sempre uno dei rimedi più utilizzati nella medicina tradizionale di varie culture.
Un chicco di pepe contiene terpeni — tra cui limonene e α- e β-pinene — steroidi, lignani e flavoni come quercetina e kampferolo, tutti in quantità decisamente apprezzabili: sono queste le sostanze volatili responsabili dell’aroma della spezia, principali componenti dell’olio essenziale che si ricava dalle drupe.
La piperina è un alcaloide presente in abbondanza nei frutti, assieme al suo stereoisomero chavicina e a derivati come la piperidina. Il dibattito è ancora aperto su quale di questi composti sia effettivamente responsabile del gusto piccante del pepe: secondo alcuni autori è la chavicina a dare il gusto piccante ma la maggior parte degli studiosi ritiene che questo onore tocchi alla piperina. In effetti il contenuto di piperina del frutto è utilizzato per stimarne il gusto e in genere si aggira tra il 2 e il 7% del peso secco della drupa.
Il gusto piccante del pepe non è un reale sapore ma è dovuto all’attivazione da parte delle piperina di particolari proteine presenti sulla membrana cellulare, i recettori vanilloidi, la cui funzione specifica è quella di segnalare l’aumento della temperatura sopra un certo valore soglia. Questi recettori — indicati dalla sigla TRPV1 — sono attivati anche da segnali non specifici e la piperina, assieme alla capsaicina del peperoncino, è uno di questi. La sensazione piccante, di calore, che percepiamo quando mangiamo del pepe è quindi virtuale, il frutto dell’azione della piperina su questi particolari recettori. [1, 2, 3]
La piperina è molto sensibile al calore e alla luce: in presenza di questi tende a convertirsi nei suoi isomeri, con netta perdita del gusto del pepe.
La piperina non è importante soltanto per il gusto che impartisce al pepe: si tratta di una molecola superstar, ampiamente studiata per il gran numero di benefici che potrebbe aver per la nostra salute.
Vari studi hanno evidenziato un’apprezzabile azione antinfiammatoria della piperina, che probabilmente agisce riducendo l’attività degli enzimi responsabili della produzione delle sostanze che scatenano la reazione infiammatoria. Studi su animali hanno dato interessanti risultati nel trattamento del dolore e dei sintomi dell’artrite reumatoide.
Accanto alla piperina il pepe nero è fonte di un gran numero di sostanze con rilevante attività antiossidante. Studi su animali hanno mostrato che in condizioni di stress ossidativo pepe nero e piperina possono ridurre in maniera importante il danno causato dall’accumulo di radicali liberi, stimolando anche l’azione degli enzimi ad azione antiossidante. Risultati molto interessanti si sono avuti nella prevenzione e nel trattamento del danno ossidativo nel modello animale del diabete mellito.
Il potenziale antiossidante della piperina e degli altri composti presenti è probabilmente responsabile dell’attività anticancro del pepe nero. La piperina modula anche l’azione degli enzimi responsabili dell’eliminazione di sostanze potenzialmente cancerogene e può rallentare la crescita e favorire l’eliminazione delle cellule tumorali, con un effetto sia preventivo che di controllo dello sviluppo del cancro.
A livello dell’apparato digerente la piperina stimola la produzione di saliva, favorisce il rilascio dei succhi pancreatici e della bile, pare esercitare un’azione di protezione nei confronti del fegato mitigando i processi ossidativi a carico dei lipidi, e riduce in maniera apprezzabile il tempo di transito del cibo nell’intestino.
Altri lavori, tutti su modello animale, hanno evidenziato una possibile attività analgesica, effetti antidepressivi e anche una significativa azione immunomodulatoria. Ben nota è l’azione antimicrobica del pepe nero verso diversi ceppi di Staphylococcus, Salmonella e numerose altre specie. Estratti di pepe nero e piperina mostrano anche una potente azione nei confronti di larve resistenti ad insetticidi: pare molto promettente l’utilizzo contro ceppi di Anofele, la zanzara vettore della Malaria. [4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13]
La piperina è in grado di aumentare la biodisponibilità di alcune sostanze, tra cui alcuni farmaci e numerosi fitocomposti come curcumine e catechine. L’azione potrebbe essere dovuta ad un aumento dell’assorbimento intestinale, ad un effetto protettivo nei confronti di reazioni di detossificazione a livello dell’intestino e da protezione di queste sostanze nei confronti di processi ossidativi. La piperina mostra in effetti azione inibitoria nei confronti di alcuni costituenti del citocromo P450, il gruppo di enzimi responsabile di degradazione ed eliminazione di alcuni farmaci e degli xenobiotici in genere.
Tra i farmaci che presentano aumentata biodisponibilità abbiamo amoxicillina, ampicillina, acefotaxime, carbamazepina, ciprofloxacin, norfloxacin, metronidazolo e nimesulide. L’effetto va considerato in soggetti in terapia con queste sostanze che facciano un uso importante di pepe, ma potrebbe anche essere sfruttato a fini terapeutici, per massimizzare l’effetto di questi farmaci in terapie combinate.
La piperina aumenta in maniera rilevante l’assorbimento di fitocomposti che in genere sono scarsamente disponibili: curcumina, resveratrolo, beta-carotene e acido gallico sono i più noti, sostanze il cui potenziale ruolo protettivo è ben descritto e studiato. Curioso notare che il curry, nota miscela di spezie proveniente dall’India, preveda come ingredienti principali proprio curcuma e pepe nero: un mix vincente, che permette di cogliere al meglio i vantaggi derivanti dal consumo di queste spezie, e di godere anche di un aroma e di un gusto davvero gradevoli. [14, 15, 16]
La piperina è risultata non mutagenica al test di Ames e non genotossica in altri test specifici. Sul modello animale dosi molto elevate di pepe o piperina, superiori di 20 volte al normale consumo umano, non hanno dato effetti apprezzabili. Sono segnalati casi di allergia al pepe nero e sono stati isolati alcuni allergeni che mostrano cross-reattività con proteine del frumento, betulla e sedano. [17, 18, 19]
Tutti sanno che il pepe può causare sonori starnuti: nessuno sa perché ciò avvenga. Alcuni ipotizzano che la piperina possa agire su recettori presenti nelle narici, ma non esistono studi specifici sul tema: va segnalato che alcuni vermi rispondono alla presenza di piperina con una reazione simile ad uno starnuto, come l’hanno definita i ricercatori che l’hanno osservata! [20]
Un ragionevole consumo di pepe non presenta controindicazioni particolari: massima cautela nel consumo della spezia devono averla soggetti che soffrono di reflusso gastroesofageo e ulcera gastrica. Da evitare il consumo in soggetti che abbiano subito operazioni chirurgiche all’intestino.
Il pepe in tavola
Trovate il pepe in commercio in una miriade di forme: in grani, frantumato, macinato, al naturale o aromatizzato, in salamoia o sottaceto. Per coglierne appieno il gusto e l’aroma sarebbe opportuno macinarlo al momento dell’uso. Se si acquista del pepe in grani fare attenzione che siano pesanti, compatti, non friabili e di colore uniforme. Se invece si acquista del pepe macinato è importante scegliere un prodotto fresco, che conservi ancora il gusto piccante, controllando che non siano presenti muffe o impurità.
Il pepe in grani può essere conservato molto a lungo mentre quello macinato va utilizzato entro tre mesi. Sarebbe comunque bene conservarlo in confezioni sigillate e al riparo dalla luce: la radiazione luminosa infatti provoca degradazione della piperina, convertendola in una molecola priva di sapore.
In cucina il pepe andrebbe sempre aggiunto al termine della preparazione del piatto, per evitare che perda aroma o sapore a causa della cottura.
Il pepe è tra le spezie più utilizzate nella cucine di ogni parte del mondo: può essere aggiunto a tutti gli alimenti salati, caldi o freddi, a salse, a primi gustosi come gli ottimi spaghetti cacio e pepe, a carni, salumi, condimenti e anche ad alcuni dolci come i biscotti al pepe siciliani o il panpepato tipico di Toscana, Umbria e d Emilia-Romagna.
Il pepe bianco può essere utilizzato per aromatizzare salse bianche, volatili o pesce, piatti sui quali rimane praticamente invisibile grazie al colore chiarissimo.
I grani interi si aggiungono a salumi, formaggi e carni, scegliendo tra le varietà disponibili per dare, oltre al gusto pungente, anche un tocco di colore.