Lo stress è qualcosa con cui tutti, oggi, dobbiamo imparare a convivere. O perlomeno così ci ripetono costantemente. Ma troppo stress può diventare un grave problema per il nostro organismo, può interferire nel nostro rapporto con il cibo e rappresentare un importante fattore di rischio per un gran numero di malattie.
Tutti sono stressati, pochi sanno definire cosa esattamente sia lo stress. Il nostro progenitore, a caccia nella savana, avrebbe definito stressante l’attacco di un grande predatore che avrebbe potuto trasformarlo da cacciatore in preda, o l’agguerrito membro della tribù confinante deciso a rubargli quell’antilope catturata tra mille difficoltà. Oggi raramente la minaccia è fisica, si parla invece di stress quando ci sentiamo sovrastati dalle incombenze della vita, oppressi da difficoltà che temiamo di non poter affrontare, senza respiro, senza possibilità di recupero, senza speranza, con il cuore che batte a mille, incapaci di riposare o anche soltanto pensare chiaramente.
Spesso il nostro stress dipende da problemi di natura psicologica o sociale, catastrofi che talvolta esistono puramente a livello mentale ma il cui effetto sul nostro organismo è assolutamente reale e può determinare conseguenze estremamente spiacevoli. In effetti si tratta di una serie di risposte fisiologiche che dovrebbero metterci nella condizione di affrontare efficacemente la sfida che ci si para innanzi, un prezioso meccanismo adattativo, essenziale per la sopravvivenza in un ambiente ostile e sempre mutevole. Purtroppo e per fortuna non viviamo più nella savana e gli stress con cui abbiamo a che fare non sono in genere acuti, minacce immediate per la nostra incolumità fisica, ma sono spesso cronici, protratti negli anni e dovuti alle nostre complicate strutture sociali: e il nostro corpo tollera molto male questi stress cronici, che da risposta adattativa possono divenire alcuni dei principali fattori che ci espongono al rischio di malattie.
Cosa è lo stress
Il fisiologo Claude Bernard, a metà dell’800, notò con acutezza che la sopravvivenza di un organismo vivente è legata alla capacità di questo di mantenere costante il proprio mezzo interno rispetto al sempre mutevole ambiente esterno. Negli anni 20 del 900 un altro fisiologo, Walter Cannon, riprese il concetto e lo battezzò omeostasi, definendola come “la proprietà di quei sistemi presenti in un organismo vivente in cui una variabile sia regolata attivamente in modo da rimanere costante al mutare delle condizioni esterne“.
Qualche anno dopo l’endocrinologo Hans Selye, lavorando su umili topi da laboratorio, notò che, qualunque fosse la natura delle ardue prove cui sottoponeva le bestiole, la risposta era sempre la medesima, quella che lo scienziato chiamò Sindrome Generale di Adattamento (GAS) e che noi oggi chiamiamo stress. Selye definì quindi la GAS come “una risposta non specifica dell’organismo a qualunque richiesta ambientale cui venga sottoposto” mentre più recentemente il neurobiologo Bruce McEwen ha proposto di riservare il termine stress a “quelle condizioni in cui le richieste imposte dall’ambiente eccedono le naturali capacità di regolazione dell’organismo“.
Nel 1975 Selye ha proposto una interessante distinzione dividedo lo stress in eustress e distress. L’eustress è quel tipo di risposta ad uno stressor che permette un complessivo miglioramento delle funzioni: l’allenamento sportivo è una forma di eustress, dove stimoli sempre crescenti inducono un adattamento che rende il soggetto in grado di migliorare le proprie prestazioni atletiche. Il distress è invece quello che si ha quando l’organismo non riesce ad adattarsi o a rispondere ad uno stressor ripetuto nel tempo, con un progressivo peggioramento delle condizioni generali.
In anni recenti Eyer e McEwen hanno proposto anche una interessante revisione del concetto di omeostasi, introducendo il concetto di allostasi, ovvero il processo costante e in continuo divenire per raggiungere l’omeostasi, attraverso modificazioni fisiologiche e del comportamento. Si tratta di un concetto basato sull’osservazione che non esiste un singolo valore ideale per specifici parametri fisiologici ma che tale valore dipende dal contesto, che tale valore può essere raggiunto e regolato in molti modi diversi dall’organismo e che l’organismo può reagire anche in previsione di un mutamento delle condizioni di equilibrio.
In questo quadro di riferimento un fattore di stress (stressor) non è quindi null’altro che una qualsiasi agente che spinga l’organismo fuori dalla condizione di omeostasi/allostasi — una tigre dai denti a sciabola, il vostro capoufficio o la rata del mutuo in scadenza — mentre lo stress è la risposta del corpo, una risposta che mira a ristabilire l’allostasi perduta.
Il dato caratteristico dei vertebrati è che la risposta a differenti fattori di stress è sempre molto simile, una risposta il cui fine è di permettere ai nostri muscoli di lavorare al massimo delle possibilità e il cui primo stadio fu definito da Cannon reazione di attacco-fuga. Il pericolo incombe, l’allostasi è minacciata, tutti i sistemi dell’organismo si attivano per rendere possibili due semplici risposte: una reazione d’attacco e lotta o una reazione di fuga, quanto più veloce possibile. In entrambe i casi i muscoli hanno bisogno immediato di energia, è necessario un trasporto rapidissimo di nutrienti ai muscoli e allo stesso tempo vanno messe in pausa tutte quelle attività che hanno un costo energetico importante ma che nell’incombere immediato del pericolo non sono di alcuna utilità: digestione, riproduzione, crescita, recupero e perfino processi immunitari.
In natura lo stress è in genere legato a minacce la cui risoluzione è rapida. Se mentre caccio nella foresta un predatore mi attacca ho due possibilità: o attaccare il predatore, sperando di eliminarlo, o fuggire a gambe levate, con la speranza di essere più veloce della bestia che vorrebbe trasformarmi nel suo banchetto. Ci sono soltanto due soluzioni possibili: elimino fisicamente o sfuggo al predatore, oppure il predatore elimina me. I miei guai hanno una soluzione veloce, sia che sopravviva, sia che soccomba.
Il problema per noi esseri umani moderni è che i fattori di stress che affrontiamo non permettono risposte così semplici — provate ad assalire il fiunzionario di banca mentre discutete del pagamento del vostro mutuo ventennale — e che in molti casi l’attivazione della risposta è continua nel tempo e tale di divenir ben più dannosa del fattore di stress stesso, in particolar modo quando i fattori sono di natura psicologica. Il che è quasi ovvio, visto che lo stress è una risposta a una minaccia immediata, da risolvere in maniera fisica, con meccanismi che sul lungo periodo possono divenire notevolmente problematici per l’organismo. Mobilizzazione delle riserve, aumento del battito cardiaco e della pressione sanguigna, depressione del sistema immunitario, alla lunga producono danni, danni che l’organismo, tutto impegnato a rispondere a minacce fantasma, non riesce mai a riparare.
Lo stress è quindi un meccanismo fondamentale del nostro organismo per far fronte alle sfide dell’ambiente in cui viviamo: il problema nasce quando il meccanismo è costantemente attivo, senza più produrre una risposta adattativa, anzi creando danni ben maggiori di quelli derivanti dalle potenziali minacce da affrontare. [1, 2, 3]
Stress: i meccanismi della risposta
La risposta a un fattore di stress è non specifica e comporta una cascata di cambiamenti a livello dei sistemi nervoso, cardiovascolare, endocrino e immunitario. La risposta immediata è adattativa nel breve periodo ed è caratterizza dalla rapida secrezione di specifici ormoni.
Per stimolazione da parte del Sistema Nervoso Simpatico la midollare del surrene secerne adrenalina e noradrenalina. Contemporanenamente a livelllo dell’ipotalamo viene secreto l’ormone di rilascio della corticotropina che determina, appunto, secrezione di corticotropina da parte dell’ipofisi. La corticotropina agisce a sua volta sulla corticale del surrene con rilascio di cortisolo. Si parla di asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA).
L’azione combinata di adrenalina, noradrenalina e cortisolo ha come risultato di mobilitare le riserve di energia promuovendo la lipolisi e la glicogenolisi con immediato innalzamento della glicemia. Le riserve vengono messe a disposizione del tessuto muscolare con aumento della frequenza e della gittata cardiaca e aumento della pressione sanguigna: il sangue viene dirottato preferenzialmente ai muscoli piuttosto che agli organi interni. Nell’immediato si ha anche un’attivazione del sistema immunitario con macrofagi e cellule killer che migrano verso muscoli e cute, i tessuti che sono a maggior rischio di lesione in una reazione attacco-fuga.
In uno stress acuto, una volta che la situazione si sia risolta, il sistema torna alla normalità, ma in condizioni di stress cronico questo non avviene, poiché la stimolazione è continua e ripetuta nel tempo. A questo punto la risposta alla stress diventa maladattativa. La continua stimolazione del sistema nervoso simpatico porta a ipertensione, irrigidimento della parete dei vasi, ipertrofia cardiaca. Livelli cronicamente elevati di adrenalina, noradrenalina e cortisolo influenzano negativamente la composizione corporea, determinando riduzione della massa magra, aumento della massa grassa, aumento della glicemia e dei lipidi ematici.
Inoltre si registra una soppressione immunitaria con alterazioni dei livelli delle citochine, molecole segnalatrici che modulano la risposta immunitaria: si ha soppressione delle citochine Th1, responsabili della risposta immunitaria cellulare, e contemporanea stimolazione dela produzione di citochine Th2, responsabili della risposta umorale. Una situazione che può determinare una maggior vulnerabilità a malattie infettive e neoplasie e, nello stesso tempo, una maggior suscettibilità a malattie autoimmuni e allergie. Sembra che gli effetti dello stress sul sistema immunitario siano particolarmente rilevanti nei soggetti anziani, nei quali questo sistema presenta già una funzionalità ridotta dovuta all’invecchiamento. [4, 5, 6, 7]
Lo stress come fattore di rischio
Mentre uno stress acuto superato rapidamente rappresenta una risposta adattativa efficace, uno stress cronico, indipendentemente dai fattori che lo determinano, è estremamente problematico per l’organismo. Come dice Robert Sapolsky, uno dei principali studiosi dello stress nei primati, “lo stress non ti fa ammalare, lo stress aumenta il rischio che tu ti ammali di specifiche patologie“, una distinzione sottile ma importante. Lo stress non è una malattia, è un meccanismo fisiologico di risposta: solo quando la risposta è protratta nel tempo il nostro organismo risulta più vulnerabile nei confronti di certe malattie.
Ben descritto è il legame tra stress cronico, ipertensione e malattie cardiovascolari: studi epidemiologici e prospettici evidenziano l’esistenza di una correlazione tra stress psicosociali e patologie cardiache. Esiste una correlazione anche tra stress e malattie dell’apparato respiratorio, dal comune raffreddore all’asma. Lo stress è associato anche ad un aggravamento di malattie autoimmuni e allergie, attraverso il meccanismo di modulazione delle citochine descritto prima e attraverso l’azione del cortisolo che in soggetti con patologie autoimmuni ha azione proinfiammatoria, probabilmente a causa dell’induzione di un meccanismo di resistenza all’azione dell’ormone.
Altre patologie che possono comparire o aggravarsi in condizioni di stress cronico sono quelle a carico dell’apparato digerente, come ulcera peptica o colite ulcerosa, emicrania, malattie metaboliche com il diabete mellito e tutta una serie di patologie psichiatriche che vanno dalla depressione, alla schizofrenia, ai disturbi bipolari.
Anche se la medicina pop del web lega lo stress al tumore, la ricerca è molto più cauta. Il cancro è una patologia multifattoriale ed è difficile capire quanto possa effettivamente contribuire una condizione di stress cronico allo sviluppo di vari tipi di cancro. Esistono lavori epidemiologici che hanno osservato una qualche correlazione e il fatto che lo stress tenda a ridurre un particolare tipo di cellule del sistema immunitario, i linfociti NK, particolarmente attivi nello scovare ed eliminare cellule cancerose, dà credito all’ipotesi che possa esistere una relazione di causalità tra stress e cancro, ma sono necessari studi più approfonditi prima che lo si possa affermare con certezza. [8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16]
Stress e alimentazione
Gli ormoni dello stress favoriscono l’accumulo di grasso corporeo e possono contribuire ad una aumento dell’appetito e dell’assunzione di cibo, con conseguente aumento di peso. I meccanismi specifici sono ancora oggetto di studio, uno stress cronico potrebbe alterare i meccanismi cerebrali che controllano l’appetito e il sistema di ricompensa, spingendo alla ricerca di cibi iperpalatabili in quantità. La maggior parte dei soggetti sottoposti a stress, oltre il 60%, riferisce un aumento del consumo di cibo, con netta preferenza verso quei cibi definiti “di conforto”, ricchi di zuccheri e grassi.
Un aumento cronico di catecolamine e cortisolo può determinare variazioni severe dei livelli di tutta una serie di altri ormoni, leptina, grelina, ormoni sessuali, con alterazioni importanti del comportamento alimentare. Lavori sui primati evidenziano come animali stressati, in presenza di grande disponibilità di cibo ad elevato contenuto calorico, rispondano con un aumento del consumo, un comportamento che parrebbe essere presente anche negli umani, dove si ipotizza che una situazione di stress cronico potrebbe amplificare una predisposizione genetica alla dipendenza da cibo. Più rara, anche se ben documentata, una risposta di segno opposto, con riduzione dell’introito calorico e comportamenti di tipo anoressico.
Ad ogni modo, accanto al diretto impatto dei glucocorticoidi su certi aspetti del metabolismo, gli effetti dello stress sul comportamento alimentare sono frutto di interazioni estremamente complesse che partono dalla genetica del soggetto e coinvolgono sistemi di regolazione le cui interazioni sono davvero difficili da dipanare. [17, 18, 19, 20]
Governare lo stess
Sovrappeso, sedentarietà e stress. Tre condizioni oggi purtroppo molto comuni, spesso presenti contemporaneamente. Tre fattori di rischio estremamente gravi eppure poco considerati: spesso l’attenzione si fissa sul dito — il pericolo del momento, che si tratti dell’olio di palma o delle farine raffinate non fa differenza — senza mai spostarsi sulla luna: la pancetta che si accumula, il fiato corto quando si salgono quei sette gradini, lo stress continuo e sotterraneo legato a lavoro, relazioni, società.
Sul nostro preso corporeo e sul nostro livello di attività abbiamo la possibilità di lavorare in maniera diretta ed immediata: un poco più complicato intervenire sui fattori di stress, che spesso sono in gran parte indipendenti dalla nostra volontà.
Un passo importante sarebbe già capire se e cosa ci stressa, quali sono le situazioni che percepiamo come una minaccia, che alterano in maniera drammatica il nostro delicato equilibrio interno e ci pongono in una condizione di allarme che alla lunga può soltanto farci male.
Per alcuni anche alimentazione e attività fisica diventano fattori di stress: preoccupazioni costanti su natura e salubrità del cibo consumato, esercizio ossessivo che toglie spazio ad altri essenziali aspetti della vita di ogni giorno. Ognuno si costruisce i propri demoni e ingaggia battaglie che spesso è destinato a perdere. Ricordiamo sempre che la maggior parte dei fattori di stress sono di natura psicosociale, frutto delle strutture e dell’intreccio di relazioni nei quali ci ritroviamo a vivere.
Io mi occupo di nutrizione e non so e non posso dare consigli su come affrontare lo stress. Un’attività fisica non ossessiva aiuta, una buona alimentazione — in tranquillità, senza che ogni singola scelta diventi una questione di vita o di morte — può aiutare. E può aiutare ancora di più, se ci sentiamo sopraffatti dallo stress, lavorare con professionisti preparati che possano aiutarci a comprenderne le cause e possano fornirci gli strumenti per affrontarlo. Intanto, respirate e guardate il cielo azzuro. Aiuta, a volte.
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