C’è tutta una categorie di sostanza presenti nei cibi che possono interferire con i processi di digestione ed assorbimento di alcuni nutrienti. Queste sostanze sono definite antinutrienti e tra di esse ben noto è l’acido fitico, presente soprattutto in cereali e legumi, in grado di ridurre l’assunzione di calcio, ferro e zinco. C’è chi vorrebbe eliminarlo completamente dalla dieta, ma studi recenti mostrano che l’acido fitico può avere anche effetti decisamente positivi: scopriamo se davvero c’è motivo di temerlo così tanto.
L’acido fitico, per gli amici acido inositol-esafosforico, è la molecola che un gran numero di specie vegetali utilizzano per accumulare fosforo nei semi e nelle parti fibrose durante la maturazione della pianta. Per lungo tempo è stato considerato un antinutriente in grado di limitare in maniera significativa l’assorbimento intestinale di alcuni minerali — ferro e zinco in primo luogo e, in misura minore, calcio e magnesio — e quindi composto di cui valutare con attenzione il consumo complessivo.
Per i teorici della paleo dietal’assunzione di acido fitico è addirittura da azzerare e questo ha portato alla completa eliminazione dalla tavola degli alimenti che ne sono più ricchi, legumi e cereali. In realtà l’acido fitico, accanto all’azione antinutriente, ha delle funzioni decisamente positive nel nostro organismo e la sua assunzione va valutata non in maniera astratta ma nel contesto di una valutazione complessiva della dieta, tenendo conto sia dei potenziali problemi che delle importanti funzioni del composto. Come sempre la paura è cattiva consigliera, mentre la scienza può aiutarci ad avere un rapporto più sereno con quanto mangiamo.
Cosa è l’acido fitico
Come abbiamo detto l’acido fitico è il composto che molti vegetali utilizzano per creare una riserva di fosforo, una riserva di minerali, e una riserva di mio-inositolo — la porzione ciclica della molecola — che è un importante componente della parete cellulare. Nei semi e nelle parti fibrose di molte specie l’acido fitico si trova in forma di fitina, sali di calcio e magnesio, o di fitati, anioni dell’acido fitico. Molto più ridotta è la presenza in radici, tuberi e turioni.
Il contenuto di acido fitico nei tessuti vegetali viene modulato dall’azione di enzimi specifici e un ruolo importantissimo lo svolge la fitasi, enzima idrolitico che rende disponibili i vari costituenti della molecola — magnesio, calcio, fosforo e mio-inositolo — durante la germinazione dei semi e lo sviluppo del germoglio.
Acido fitico: in quali cibi si trova
Cereali e legumi sono molto ricchi di acido fitico. I cereali lo accumulano soprattutto nei granuli di aleurone, in quantità diverse a seconda delle varietà, mentre nei legumi l’acido fitico si trova soprattutto nell’endosperma e nei cotiledoni, anche qui con valori che dipendono dalle varietà considerate. Anche soia e derivati sono un’altra importante fonte di acido fitico, insieme a semi di girasole, di lino e di colza.
Alimenti molto ricchi di acido fitico — che stranamente troviamo sempre abbondanti in diete paleo — sono mandorle, nocciole, noci e noci del Brasile, con valori che spesso sono il doppio o il triplo di quelli di cereali e legumi.
Il contenuto in peso secco, per 100 grammi di prodotto va dagli 0,06g del riso fino ai 7g della crusca o ai 10g delle mandorle: valori che riflettono il gran numero di varietà coltivate, l’importanza del clima e del terreno e l’importanza dei processi di germinazione e maturazione nel determinare la presenza di acido fitico del vegetale. Qualche problema deriva anche dalle tecniche analitiche utilizzate, tecniche difformi e purtroppo ancora non standardizzate, che valutano il contenuto di acido fitico dopo estrazione acida dal cibo con potenziale sottostima dei fitati, i sali dell’acido, effettivamente presenti.
Sono molto pochi gli studi sistematici sull’assunzione giornaliera di acido fitico. In Italia alcuni lavori danno un consumo medio di circa 290 mg/die, con estremi che vanno dai 130 mg/die fino ai 1300 mg/die. Sensibili le variazioni anche tra le diverse zone del paese con un consumo medio più elevato nel nord-est, 320mg, e più ridotto nel centro-sud, intorno ai 260mg/die: la principale fonte di acido fitico nella dieta italiana è rappresentata dai cereali, con contributi decisamente più modesti da legumi, semi e noci.
Relativamente in linea con l’Italia i consumi europei e nell’America del Nord, con valori molto elevati per soggetti con diete vegetariane e vegane che possono arrivare introno ai 5000 mg/die. Decisamente più alti i valori medi di paesi in via di sviluppo dove cereali e legumi sono alimenti fondamentali della dieta e contribuiscono in maniera rilevante all’apporto calorico giornaliero, spesso per oltre il 70-80%. In India e in altri paesi dell’Asia il consumo va dai 1500 ai 2500 mg/die mentre in Africa il consumo oscilla tra i 1000 i 1500 mg/die. Risulta evidente l’enorme differenza nel consumo di fitati che esite tra i paesi occidentali e quelli in via di sviluppo o del terzo mondo, che in piccolo si ritrovano anche tra aree urbane e rurali e tra soggetti più giovani e soggetti più anziani; dati che riflettono diverse culture alimentari ma anche diverse disponibilità di alimenti e che indicano come in alcune aree del mondo una eccessiva assunzione di acido fitico possa essere un reale problema.
L’acido fitico fa male? I rischi per la salute
I ruminanti sono in grado di digerire l’acido fitico, grazie all’azione della flora batterica presente nel rumine, ma per gli altri mammiferi, uomo compreso, la situazione è diversa. Per molto tempo si è ritenuto che l’acido fitico non potesse essere assorbito, vista la presenza estramamente ridotta di fitasi nel nostro intestino, ma studi in vitro e sul modello animale hanno evidenziato che una piccola percentuale del composto potrebbe essere assorbito nell’intestino tenue, dati confermati anche da studi su umani. Attualmente si pensa che possano effettivamente esistere dei meccanismi di assorbimento di acido fitico, fitati e prodotti di degradazione, ma la loro natura è ancora da chiarire. [1, 2, 3,]
Esiste una estesa letteratura scientifica sulla capacità dell’acido fitico di inibire l’assorbimento di alcuni minerali, in particolar modo ferro, zinco, calcio e magnesio. In condizione fisiologiche l’acido fitico ha forte carica negativa e può legare ioni con carica positiva formando dei complessi che sono solubili a pH acido ma che precitano a pH neutro, condizione che troviamo nell’intestino. I fitati possono addirittura legarsi a peptidi e proteine riducendone la disponibilità e l’assorbimento.
L’acido fitico forma con il calcio un precipitato insolubile che probabilmente contribuisce anche a ridurre l’assorbimento di ferro e zinco. I fitati inibiscono in maniera significativa l’assorbimento del ferro, assorbimento che invece aumenta quando sia presente dell’acido ascorbico — la cara, vecchia, vitamina C. Anche l’assorbimento di zinco è ridotto ad opera dei fitati e la riduzione risulta maggiore quando sia presente anche del calcio. Anche per lo zinco la presenza di acidi organici può aumentare l’assorbimento del metallo.
L’affinità dell’acido fitico per gli ioni metallici può anche avere risvolti positivi, contribuendo a ridurre l’assorbimento di metalli tossici come piombo o cadmio, mentre i dati relativi al mercurio sono ancora dubbi. Interessanti alcuni lavori che hanno mostrato come l’intestino possa adattarsi a diete molto ricche di acido fitico mantenendo comunque un adeguato assorbimento di ferro: rimane da stabilire se ciò avvenga grazie ad una maggior produzione di fitasi oppure ad un più probabile aumento dell’efficienza dei processi di assorbimento del minerale.
In realtà l’entità dell’assorbimento non dipende soltato dalla presenza di acido fitico ma anche dalla natura dell’alimento consumato, delle proteine presenti, degli acidi organici, dal pH di stomaco e intestino e da numerosi altri fattori il cui effettivo contributo è difficle da quantificare. Non c’è dubbio che una presenza elevata di acido fitico possa interferire con l’assorbimento di calcio, ferro e zinco, arrivando anche a determinare reali carenze per diete particolarmente ricche di fitati e povere dei minerali in questione. [ 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10]
L’acido fitico non è poi così cattivo!
Se uno si fermasse a quanto esposto sopra la conclusione sarebbe scontate: meglio ridurre al minimo l’assunzione di acido fitico, rendendo così possibile un efficiente assorbimento dei preziosi minerali presenti nel cibo. Ma parlando di nutrizione e di fisiologia la situazione non è mia così netta o definita come a qualcuno piace molto dipingerla. Negli ultimi anni una discreta mole di studi ha rilevato tutta una serie di possibili effetti positivi dell’acido fitico : lavori in vitro, su modello animale e anche diversi studi epidemiologici su ampie popolazioni paiono indicare un ruolo protettivo dell’acido fitico nei confronti di diverse patologie.
Il ferro è una sostanza indispensabile per il nostro organismo, ma è anche un elemento molto pericoloso, che tende a ossidarsi facilmente portando alla formazione di radicali liberi, in particolar modo il radicale idrossile, estremamente aggressivo e in grado di determinare danni importanti alle membrane cellulari e al DNA (maggiori dettagli sul tema qui e qui). L’acido fitico può legarsi agli ioni ferro liberi, formando dei complessi molto stabili, chiudendoli in una specie di gabbia protettiva che ne impedisce la reazione con altre sostanze. In pratica l’acido fitico si comporta come un vero e proprio antiossidante, specie quando fitati e ione metallici sono in determinate proporzioni tra loro. Studi animali hanno mostrato che l’acido fitico può in ridurre lo stress ossidativo dovuto ad un elevato apporto di ferro. Risultati positivi si sono avuti anche valutando la riduzione del danno ossidativo dovuto a ischemia/riperfusione.L’acido fitico in effetti è presente nelle cellule in concentrazioni realtivamente elevate e potrebbe giocare un ruolo importante nel metabolismo del ferro e nella formazione del radicale idrossile, processi il cui controllo è vitale per la cellula. Studi più approfonditi sono necessari per chiarire meglio l’effettivo ruolo dell’acido fitico in questi processi. [11, 12, 13, 14]
Il cancro al colon è una forma tumorale che dipende in misura rilevante dalla dieta. Numerosi lavori hanno mostrato una correlazione inversa tra un elevato consumo di cibi ricchi di acido fitico e incidenza di questa particolare forma di cancro. Un effetto protettivo pare essere presente anche per tumori del fegato, del polmone, del seno e della prostata. Anche in questo caso l’acido fitico potrebbe agire riducendo il danno ossidativo a livello dei tessuti, inibendo la crescita delle cellule tumorali e la crescita cellulare: in quest’ultimo caso sarebbero alcune forme di mio-inositolo a funzionare da messaggeri entro la cellula tumorale inibendone la divisione. Anche qui mancano dati estensivi da studi su umani, ma quelli attualmente disponibili ci indicano un effetto protettivo dell’acido fitico nei confronti di alcuni tipi di tumore. [15, 16, 17, 18, 19]
Alcuni studi preliminari indicano un potenziale ruolo protettivo dell’acido fitico anche nei confronti di patologie cardiovascolari: una dieta ricca di fitati può portare a riduzione di colesterolo e trigliceridi, dei livelli di zinco e del rapporto zinco/rame, dei livelli di glucosio plasmatici. Inoltre i fitati potrebbero ridurre i processi di calcificazione a carico di lesioni cardiovascolari.
L’acido fitico può prevenire la formazione di calcoli renali. Studi prospettivi su popolazioni hanno mostrato una correlazione inversa tra consumo di alimenti ricchi di acido fitico e incidenza di calcoli. Studi in vitro hanno effettivamente mostrato come i fitati possano inibire la formazione di cristalli di ossalato di calcio o di fosfato di calcio. I fitati sono normalmente escreti con le urine in concentrazioni variabili tra gli 0,5 e i 3 mg/l e soggetti con maggior tendenza a formare calcoli ne presentano in genere valori ridotti. [15, 16, 17]
Infine studi recenti, in vitro e su modello animale, indicano un possibile ruolo protettivo dell’acido fitico nei confronti della malattia di Alzheimer, sia per inibizione dell’accumulo di proteina β-amiloide, sia per riduzione del danno ossidativo nel neurone, sia favorendo processi di autofagia che permettono di mantenere una elevata efficienza mitocondriale. Un settore di studi molto promettente che ovviamente necessita di ulteriori approfondimenti. [20, 21]
Come ridurre l’acido fitico negli alimenti
Se ancora foste terribilmente terrorizzati dalla tremenda presenza di acido fitico negli alimenti che consumate ricordate che comunque è possibile ridurne il contenuto con una opportuna preparazione.
L’acido fitico è stabile a temperature elevate e la cottura a temperature intorno ai 100 °C ne elimina soltanto una piccola parte. Soltanto processi industriali con temperature superiore ai 140 °C per almeno 45 minuti possono portare ad una riduzione significativa del contenuto di fitati.
I fitati sono solubili in acqua: per cereali e legumi è possibile ridurrne il contenuto per ammollo, da 20 minuti a circa 12 ore, magari in condizioni che permettono di mantenere una buona attività della fitasi presente nel seme, con pH 7 e temperatura di circa 45-55 °C. Meglio ancora se si sostituisce spesso l’acqua di ammollo, favorendo ulteriore eliminazione dei fitati.
Cereali e legumi possono anche essere fatti germogliare. Anche in questo caso è la fitasi presente nel seme a degradare l’acido fitico presente, con un abbattimento che varia molto da una specie all’altra ma che comunque è sempre rilevante. Un effetto analogo lo ha la maltatura utilizzata per orzo, segale e frumento.
Anche lievitazione e fermentazione possono ridurre in maniera significativa il contenuto di acido fitico di cereali e legumi, sia per azione della fitasi presente, sia grazie a quella prodotta da batteri e lieviti utilizzati. La pasta acida pare essere più efficace rispetto al lievito di birra, probabilmente grazie al pH acido, circa 5,5, che favorisce l’azione degli enzimi in grado di degradare il composto.
Sono anche disponibili preparati a base di fitasi che possono essere aggiunti durante la preparazione di cereali e legumi. Le fitasi sono enzimi con specificità ridotta e quelle estratte da una determinata specie sono attive anche in specie diverse. Particolarmente efficaci sono le fitasi di origine fungina con le quali è possibile degradare completamente i fitati presenti nell’alimento.
Infine si è tentato di ottenere varietà di cereali e legumi con una ridotta presenza di acido fitico, sia selezionando varietà derivate da mutanti con ridotta produzione di fitati, sia creando varietà transgeniche in cui viene maipolata la via metabolica che porta alla sintese di questi composti. I risultati sono incoraggianti ma non esenti da problemi relativi allo sviluppo della pianta e alla resistenza a infezioni e condizioni avverse. Un territorio comunque da esplorare soprattutto in quelle aree del mondo dove maggiore è il consumo di alimenti ricchi di acido fitico. [22, 23, 24, 25, 26, 27, 28]
Acido fitico: che faccio, mangio?
Dai dati disponibili risulta evidente che l’acido fitico può ridurre l’assorbimento di minerali importanti per la nostra salute come calcio, zinco, ferro e in misura minore magnesio. Ma è altrettanto evidente che l’acido fitico nel nostro organismo può anche svolgere funzioni decisamente positive, dalla riduzione della formazione di calcoli renali alla prevenzione di tumori del colon. È vero ch3e la maggior parte dei dati che ne indicano un ruolo positivo provengono da studi in vitro o su modello animale, ma una sostanziale mole di ricerche su umani si sta accumulando negli ultimi anni a rinforzare quanto osservato in questi lavori preliminari.
In diete povere, in cui una percentuale molto elevata delle calorie provenga da cereali o legumi non fermentati o germogliati, esiste il rischio concreto che un’elevata assunzione di acido fitico possa causare una riduzione dell’apporto di alcuni minerali con potenziali carenze che potrebberro sfociare in vere e proprie patolgie: rachitismo, osteomalacia e, nei più giovani, problemi nell’accrescimento. Un problema diffuso in molte aree di India e Pakistan, zone in cui la dieta si basa per oltre l’80% su legumi e cereali.
In occidente il problema potrebbe presentarsi in soggetti con diete restrittive o limitate: ci sono studi che mostrano come carenze di calcio, zinco e altri nutrienti possano verificarsi in soggetti che seguono diete vegane o macrobiotiche che non siano attentamente bilanciate, e in questo caso l’elevata assunzione di alimenti ricchi di fitati tipica di questi regimi alimentari un ruolo potrebbe decisamente averlo. [29, 30]
La soluzione al problema è in realtà semplice: consumare una dieta variata, in cui accanto a cereali e legumi siano presenti, verdura, frutta, pesce, carne e latticini, tutti cibi molto ricchi di quei minerali che potrebbero essere carenti a causa dell’acido fitico.
Non bisogna pensare alla nostra alimentazione come ad un insieme di singoli nutrienti, con l’obiettivo di assicurarci la dose giornaliera consigliata di ciascuno, ogni giorno, ogni pasto. Riempirsi di vitamine e minerali non dà benefici apprezzabili, men che meno se cominciamo a ricorrere sistematicamente a integratori vari. Assicuriamoci invece che la nostra dieta sia ben bilanciata, senza eliminare a priori alimenti e nutrienti che accanto ad aspetti problematici possono presentare, come abbiamo visto nel caso dell’acido fitico, anche funzioni decisamente positive: una situazione comune a gran parte di quegli alimenti che oggi le varie tribù fedeli a diete varie amano dipingere esclusivamente come nefasti distruttori della salute.
Soggetti con una dieta ricca e variata non hanno alcun motivo di temere che l’acido fitico presente nei cibi che consumano possa arrivare a determinare carenze reali di alcuni minerali. Chi invece segue una dieta vegana o macrobiotica qualche attenzione la deve avere, magari cercando di consumare legumi e cereali dopo ammollo, oppure germogliati o fermentati, in modo da ridurne il contenuto di fitati, e cercando comunque di mantenere un elevato apporto di calcio, ferro e zinco con la dieta. Il principio è semplice: più la dieta è restrittiva, maggiore è l’attenzione che bisogna avere affinché sia ben bilanciata.
E poi, se anche i nostri antenati nel paleolitico si mangiavano semi e noci che sono ricchissime di acido fitico, stendendo comunque mammuth e tigri dai denti a sciabola senza problemi, chi siamo noi per privarci di certi preziosi alimenti?