Il fruttosio è lo zucchero tipico della frutta. Assieme al glucosio forma il saccarosio, il comune zucchero che utilizziamo come dolcificante e, in forma di sciroppi, è utilizzato nell’industria alimentare, massicciamente negli USA, in misura crescente in Europa. Per alcuni è uno dei responsabili dell’epidemia di obesità e diabete che dilaga nei paesi industrializzati, addirittura da evitare a costo di non consumare quei frutti che lo contengono in quantità apprezzabili. Ma è proprio vero che il fruttosio sia così terribile come alcuni affermano?
Il fruttosio è uno zucchero semplice, uno dei tre monosaccaridi, con glucosio e galattosio, presenti negli alimenti che consumiamo. Si tratta di una molecola con formula C6H12O6, identica a quella del glucosio, da cui si differenzia per un diverso arrangiamento degli atomi (per i puristi, si tratta di un chetoso, anziché di un aldoso come glucosio e galattosio). Il fruttosio fu scoperto dal chimico francese Augustin-Pierre Dubrunfaut a metà del 1800, e deve il suo nome al chimico inglese William Miller.
In natura il fruttosio è presente in quantità apprezzabili nella frutta, nel miele e in vegetali come cipolla e cicoria. Legato al glucosio, a formare saccarosio — il comune zucchero da cucina — lo troviamo nella canna da zucchero e nella barbabietola da zucchero, entrambi utilizzati per la produzione di zucchero. Lo si trova in genere disciolto in soluzione acquosa; cristallizza con difficoltà, con cristalli che fondono intorno ai 104°C, è fermentato da lieviti e batteri con produzione di etanolo e anidride carbonica.
Come ogni zucchero che si rispetti il fruttosio dà una apporto calorico di cicrca 4 kcal/grammo. Tuttavia viene metabolizzato in maniera differente dal glucosio: inizialmente consigliato ai diabetici come valida alternativa allo zucchero per il suo minor indice glicemico — argomento su cui torneremo in futuro — si è recentemente ritrovato sul banco degli imputati ritenuti responsabili del crescente diffondersi dell’obesità. Un gran numero di studi su modello animale hanno infatti mostrato come il consumo di dosi elevate di fruttosio possa portare a sviluppare resistenza all’insulina, aumento di peso, diabete di tipo 2 , sindrome metabolica, ipertensione e uricemia.
Panico immediato! In pratica un altro dei supposti killer che periodicamente si affacciano nel panorama della nutrizione ad indurre comportamenti nevrotici e paranoidi che spesso vanno a colpire il bersaglio sbagliato. Non di rado capita di leggere che per evitare i rischi connessi all’abuso di fruttosio è necessario limitare il consumo di frutta, un po’ come dire che per evitare i rischi connessi all’inquinamento atmosferico sarebbe meglio smettere di respirare.
Cerchiamo di capire meglio quali siano le caratteristiche di questo zucchero, quali i rischi reali osservati negli esseri umani e quali i problemi connessi al consumo dello sciroppo di glucosio-fruttosio, la forma in cui la maggior parte delle persone consuma quantità apprezzabili di fruttosio.
Lo sciroppo di glucosio-fruttosio
Il fruttosio è impiegato sempre più diffusamente nell’industria alimentare per il suo elevatissimo potere edulcorante, superiore di 1,5 volte a quello del saccarosio; in pratica un grammo di fruttosio è percepito come molto più dolce rispetto ad un grammo di zucchero. Tuttavia in campo industriale non si utilizza direttamente fruttosio; si preferisce invece impiegare Sciroppi di Glucosio-Fruttosio (HFCS High Fructose Corn Syrup) che sono prodotti dall’amido di mais. L’amido è idrolizzato per liberare le molecole di glucosio presenti e quindi una parte di queste molecole viene isomerizzata, trasformata utilizzando enzimi ricavati dal batterio Streptomyces murines, in fruttosio. Si ottiene così uno sciroppo costituito da una miscela in percentuali variabili di glucosio e di fruttosio liberi, non legati cioè a formare saccarosio. A seconda del crescente contenuto di fruttosio libero abbiamo HFCS42, HFCS55, HFCS65, HFCS90: il numero dopo la sigla indica la percentuale di fruttosio presente.
HFCS42 è soprattutto utilizzato per produrre dolci, cibi industriali e cereali, HFCS55 e HFCS65 sono impiegati per la produzione di succhi e bibite, HFCS90 è utilizzato per la preparazione industriale di sciroppi a più basso tenore di fruttosio.
Questi sciroppi sono da almeno una trentina di anni il principale edulcorante utilizzato nell’industria alimentare degli USA, per motivi legati a politiche agricole che prevedono forti sussidi per la coltivazione del mais da cui si ricava. In Europa produzione e impiego di questo sciroppi — classificati come isoglucosio — sono in parte limitati da quote imposte per tutelare coltivazione e lavorazione della barbabietola da zucchero, ma sono comunque aumentati negli ultimi venti anni. E le quote zucchero saranno abolite nell’ottobre 2017, con un prevedibile ulteriore aumento dell’utilizzo industriale del prodotto. [1, 2]
Il metabolismo del fruttosio
Le molecole di fruttosio presenti nell’intestino — sia che provengano dai cibi in cui questo zucchero è naturalmente presente in forma libera, sia che originino da sciroppo di glucosio-fruttosio o dalla scissione di molecole di saccarosio — vengono assorbite grazie all’azione di GLUT5, una specifica proteina di trasporto. Il processo non richiede ATP e non è dipendente dall’assorbimento di sodio come avviene per il glucosio. Il fruttosio assorbito diffonde nella cellula e passa quindi nel flusso sanguigno grazie ad un ‘altra proteina di trasporto, GLUT2. Una piccola quota del fruttosio può essere metabolizzato direttamente nell’enterocita con produzione di lattato, anche questo rilasciato nella circolazione portale.
L’assorbimento di fruttosio è limitato, si ritiene che un consumo di fruttosio pari a 50 g/die per gli adulti e 2g/kg peso corporeo nei bambini rappresenti la capacità media nella popolazione. Alcuni individui possono avere una capacità ancor più limitata. Questi soggetti mostrano elevata propensione a sviluppare sintomi caratteristici come dolori addominali, diarrea e flatulenza, dovuti soprattutto a processi fermentativi da parte del microbiota intestinale. I sintomi appaiono ancora più importanti quando il fruttosio venga consumato senza contemporanea presenza di glucosio. In questo casi una dieta FODMAP può essere indicata per ridurre i fastidi accusati. Esistono anche forme di intolleranza grave al lattosio (HFI), con manifestazioni importanti che possono portare alla morte del paziente se non adeguatamente trattate. [3, 4]
Attraverso il circolo portale il fruttosio giunge al fegato e entra negli epatociti grazie al trasportatore GLUT2. L’assorbimento è molto efficiente e la rimozione del fruttosio dal circolo è quasi totale. Nell’epatocita il fruttosio è convertito in fruttosio-1-fosfato dall’enzima fruttochinasi, un enzima con grande affinità per il substrato e notevole velocità di reazione, fattori che determinano un rapido metabolismo epatico dello zucchero. Il fruttosio-1-fosfato è quindi metabolizzato in triosofosfati, composti a 3 atomi di carbonio che possono essere convertiti a piruvato per essere infine ossidati a CO2 e H2O nel ciclo di degli acidi tricarbossilici.
Esistono marcate differenze tra il metabolismo epatico del fruttosio e quello del glucosio. Il metabolismo del glucosio è regolato dall’insulina, che attiva gli enzimi glicolitici, e dallo stato energetico della cellula. Il metabolismo del fruttosio è indipendente dall’insulina, è molto rapido e tende a ridurre le riserve di fosfati e ATP della cellula epatica. Inoltre una parte dei triosofosfati porodotti dal fruttosio sono convertiti in lattato e rilasciati nel plasma. Una parte di questo lattato è utilizzata per per produrre acidi grassi — lipogenesi — a loro volta utilizzati per produrre tirgliceridi, accumulati quindi nelle cellule epatiche, o VLDL-trigliceridi, lipoproteine a densità molto bassa, che legano appunto i trigliceridi prodotti dal fruttosio. Le VLDL sono lipoprotene che giocano un ruolo importante nella genesi dell’aterosclerosi.
Quasi tutto il fruttosio assorbito viene estratto e utilizzato a livello epatico. Non si registra un significativo metabolismo del fruttosio a livello di altri organi in condizioni normali. Soltanto per assunzioni elevatissime tramite infusione si osserva un apprezzabile utilizzo di fruttosio a livello del rene.
Ricapitolando, in un soggetto sano il fruttosio ingerito stimola la sintesi di glucosio nel fegato che in parte viene accumulato in forma di glicogeno, cin contemporanea inibizione della glicogenolisi. Aumenta la sintesi di trigliceridi, immagazzinati nel tessuto epatico o trasportati ai tessuti periferici tramite proteine VLDL. Viene contemporaneamente ridotta la lipolisi a livello del tessuto adiposo — il processo che permette di utilizzare i grassi accumulati negli adipociti — con ulteriore accumulo di grassi. Aumenta però la spesa energetica a riposo, visto che il metabolismo del fruttosio richiede ATP, soprattutto per la sintesi di glucosio e, in piccola parte, di lipidi.
La presenza di fruttosio nel plasma non determina una risposta insulinica apprezzabile, sebbene risulti aumentata in soggetti diabetici, e per questo motivo in passato il fruttosio è stato consigliato come dolcificante da utilizzare da soggetti diabetici, con discreta fortuna presso la popolazione nel suo insieme, tanto che trovate senza problemi fruttosio puro sugli scaffali di ogni supermercato.
L’effetto del fruttosio sull’appetito non è chiaro. Rispetto al glucosio il fruttosio non determina aumento della glicemia, aumento che direttamente e indirettamente è coinvolto nel controllo della sazietà, e determina una riduzione meno marcata della grelina, ormone che stimola l’appetito, e un aumento meno marcato della leptina, altro ormone coinvolto nel segnalare sazietà. Pare quindi che in condizioni fisiologiche il fruttosio abbia un potere saziante inferiore a quello del glucosio. Studi sul modello animale hanno mostrato che dosi molto elevate di fruttosio, per tempi prolungati, possono indurre resistenza alla leptina, favorendo l’aumento di peso, e possono alterare le condizioni locali di quelle area del cervello, ipotalamo in particolare, che controllano la sazietà. resta da vedere quello che succede in realtà con quantità normali nell’uomo.
Un utilizzo interessante del fruttosio lo abbiamo in campo sportivo: infatti una bevanda con una miscela di glucosio e fruttosio garantisce un apporto di carboidrati che sono assorbiti on trasportatori differenti e meabolizzati in maniera diversa, aumentandone l’utilizzo di zuccheri di oltre il 40%, con leggera riduzione della percezione di fatica e stress e un modesto miglioramento della prestazione, soprattutto in sport di endurance. [5, 6]
Fruttosio: i rischi per la salute
Il fruttosio non aumenta la glicemia e non richiede insulina per essere metabolizzato: per questo motivo è disponibile una gran messe di studi sugli effetti legati alla sostituzione del glucosio con fruttosio in soggetti affetti da Diabete Mellito di tipo 2. Studi che hanno evidenziato come un elevato consumo di glucosio porti ad un aumento dei trigliceridi, ad una riduzione del colesterolo LDL e a un aumento dell’acido urico. Anche gli studi sul modello animale non hanno dato certo buoni risultati: gli effetti sul metabolismo in genere sono negativi, con iperlipidemia, resistenza all’insulina, ipertensione, iperuricemia e aumento di peso.
Il fruttosio stimola la produzione di acidi grassi nel fegato e fornisce il materiale per questi processi di sintesi. Inoltre stimola l’espressione di enzimi necessari alla sintesi di lipidi, con aumento plasmatico dei trigliceridi immediatamente dopo l’assunzione. Studi su modelli umani e animali hanno mostrato che il consumo di dosi elevate di fruttosio determina un aumento dei trigliceridi in circolo, aumento che appare più marcato nei maschi rispetto alle femmine. Nell’uomo l’effetto non è così rilevante: con un normale consumo di fruttosio, inferiore ai 50 g/die, le variazioni dei trigliceridi sono limitate al periodo post-assunzione e diventano importanti e prolungate nel tempo soltanto con consumi superiori ai 100 g/die.
Negli animali il fruttosio aumenta la deposizione di grassi in tessuti diversi da quello adiposo, soprattutto a carico di fegato, tessuto muscolare e ghiandolare. Lavori sull’uomo mostrano che con consumi pari a 100 g/die non si osservano aumenti apprezzabili — 100g al giorno sono equivalenti al consumo di due litri di bibite dolcificate con HFCS — tuttavia aumentando il consumo e portandolo vicino ai 200 g /die, quantità difficile da raggiungere in una normale alimentazione, l’accumulo di grassi nel fegato e nel muscolo diviene apprezzabile in soli sette giorni.
Alte dosi di fruttosio causano una marcata resistenza all’insulina nel modello animale, con aumento della glicemia a digiuno, steatosi epatica e danno ossidativo a carico delle cellule in cui si accumulano lipidi. Nell’uomo l’effetto è apprezzabile a livello del fegato ma non rilevante nel resto dell’organismo; da notare che alcuni lavori hanno mostrato come contemporanea somministrazione di acidi grassi omega 3 può mantenere comunque la sensibilità all’insulina epatica, anche per consumi elevati di fruttosio.
Una dieta molto ricca di fruttosio può determinare un aumento della concentrazione plasmatica e dell’escrezione di acido urico. Un carico di lavoro notevole per il rene, con aumento del rischio di sviluppare malattie renali o calcoli. L’aumento pare dovuto al forte utilizzo di ATP per produrre fruttosio-1-fosfato a livello del fegato e potrebbe essere legato alla resistenza insulinica.
Neglia animali diete in cui il fruttosio copre oltre il 30% dell’apporto calorico possono portare ad ipertensione. Un effetto analogo non si è osservato nell’uomo: potrebbero essere l’aumento di peso, la riduzione della resistenza all’insulina e l’elevato apporto calorico che si osserva in soggetti con un elevato consumo di cibi contenenti HFCS, a determinare l’aumento della pressione tipicamente associato a queste condizioni nell’uomo.
Il fruttoso è uno zucchero riducente e può reagire con proteine ed aminoacidi, soprattutto lisina, arginina e triptofano, a dare composti noti come AGE (Advanced Glicatyon End-products), sostanze che si accumulano su molecole come collagene e DNA, e appaiono implicate in processi di invecchiamento. Il fruttosio si trova in circolo a concentrazioni molto ridotte, ma è molto più reattivo del glucosio e può dare fenomeni di glicazione molto più importanti. Gli AGE si formano anche durante la cottura di cibi contenenti fruttosio libero e possono, una volta ingeriti e assorbiti, depositarsi nei tessuti, contribuendo al processo di invecchiamento. Purtroppo prodotti da forno o da pasticceria possono essere preparati utilizzando sciroppo di glucosio-fruttosio che, contenendo fruttosio e glucosio in forma libera, favorisce la formazione di questi composti davvero indesiderabili.
Molti degli studi relativi al possibile ruolo del fruttosio nello sviluppo di malattie metaboliche negli umani sono stati eseguiti valutando il consumo di bevande zuccherate, che ne apportano una rilevante quantità, con dati che non sono così precisi come sarebbe necessario. La maggior parte degli studi concorda nell’indicare come il consumo di fruttosio, tramite queste bevande, porti ad un aumento dell’apporto calorico giornaliero, senza che i dati siano così netti per quel che riguarda l’aumento di peso, che comunque appare significativo in buona parte dei lavori. Un elevato consumo di bevande dolcificate pare essere un fattore di rischio per il Diabete Mellito di tipo 2, mentre un buon consumo di frutto risulta essere fattore protettivo. E per finire un consumo importante di queste bevande è fattore di rischio per malattie cardiovascolari e per steatosi epatica.
Relativamente a questi studi va sottolineato che si tratta spesso di lavori epidemiologici, basati sulla compilazione di questionari dove si riporta il consumo di alimenti per uno specifico periodo, soggetti quindi a imprecisioni ed errori. Inoltre non sempre è agevole distinguere tra consumo di zucchero, glucosio, fruttosio o sciroppo di glucosio-fruttosio. Complessivamente i dati indicano un aumento dei fattori di rischio per varie patologie quando aumenti il consumo di bevande dolcificate, ma non è possibile dire, allo stato attuale della ricerca, se fruttosio o sciroppo di glucosio-fruttosio possano essere i principali responsabili del problema o se, molto più probabilmente, sia l’aumentato apporto calorico e l’elevato consumo di zuccheri totale a causare le nefaste conseguenze indicate. [7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21]
Non siate sciocchi: mangiate la frutta
Gli studi sul modello animale relativi agli effetti del fruttosio danno risultati inquietanti, ma in genere si utilizza fruttosio puro, in quantità impossibili da raggiungere con una alimentazione normale. Gli studi sull’uomo danno risultati più sfumati, significativi soltanto quando siano somministrate quantità elevatissime dello zucchero puro. Gli studi epidemiologici danno invece indicazioni che sono difficili da interpretare, soggette a molti fattori confondenti che vanno dal consumo complessivo di zuccheri allo stile di vita in generale; di certo è evidente che consumare un gran numero di cibi ricchi di dolcificanti piò avere conseguenzr negative per l’organismo, ma rimane difficile stabilire se siano gli zuccheri nel loro complesso oppure il fruttosio o lo sciroppo di glucosio-fruttosio ad essere responsabili diretti dei problemi rilevati.
Attualmente in Europa l’utilizzo di sciroppi di glucosio-fruttosio è ridotto grazie a particolari politiche agricole che purtroppo saranno modificate dal prossimo anno: assisteremo quindi ad un probabile aumento degli alimenti e delle bevande che vedono questi sciroppi tra i loro ingredienti. Già da oggi, leggendo con attenzione le etichette di molti prodotti, è possibile trovare lo sciroppo di glucosio-fruttosio utilizzato da marchi che magari si mostrano intransigenti con prodotti come l’olio di palma o vegetali e derivati OGM, alimenti nei confronti dei quali non esistono dati così rilevanti come quelli disponibili per zuccheri e fruttosio. Ovviamente il tema manca di appeal, o forse ancora non è il momento giusto per inseguire l’ennesima fobia alimentare.
Quello che va sottolineato è che, ancora una volta, è possibile ridurre il consumo di prodotti che potrebbero avere conseguenze negative per la salute senza grandi difficoltà. Basta lasciare sugli scaffali tutti quei cibi che vedono questi sciroppi tra i loro ingredienti, non solo per i possibili problemi legati ad un eccessivo consumo di fruttosio, ma proprio perchè in genere si tratta di prodotti voluttuari, ricchi di zuccheri e poveri, se non privi, di nutrienti veri. Non chiedete bibite con ingredienti “sani”: semplicemente non bevete regolarmente bibite. Se il consumo è del tutto occasionale non avete nulla da temere da prodotti che contenganoHFCS. Se il consumo è regolare i problemi, sinceramente, sono altri.
Purtroppo i lavori sul fruttosio e sugli sciroppi HFCS hanno fatto nascere in molti una forte diffidenza anche nei confronti di quei cibi che naturalmente contengono questo zucchero. C’è chi raccomanda di ridurre il consumo di frutta per evitare le temibili conseguenze di un eccesso di fruttosio (in genere sono gli stessi che consigliano di consumare bacon a colazione, alimento sanissimo e naturale quanto pochi altri). Si tratta di idiozie clamorose. Con pochissime eccezioni — miele, datteri e frutta secca — la quantità di fruttosio che troviamo nella maggior parte degli alimenti è decisamente ridotta e richiederebbe consumi elevatissimi per poter raggiungere quelle concentrazioni che si sono rivelate problematiche negli studi. C’è qualcuno tra di voi che si mangia 22 mele al giorno? Nemmeno i melariani riescono in una simile impresa, suppongo. Inoltre gli zuccheri della frutta, per la presenza di fibre, sono assorbiti lentamente e arrivano in maniera graduale al fegato, che può quindi processarli senza sovraccarichi eccessivi. La frutta fa parte del nostro cibo ancestrale, certo all’inizio in varietà molto meno dolci e ricche di quelle che consumiamo oggi, ma non ci sono validi motivi per evitarne il consumo.
In una alimentazione basata su cibi di qualità, sana e variata, quello del fruttosio è un problema inesistente. Diviene rilevante quando si perde la misura o si consumano abitualmente e in quantità quegli alimenti che dovrebbero essere, al più, concessioni molto occasionali. Ma il quel caso è bene rivedere il proprio stile di vita complessivo, piuttosto che focalizzarsi sulle supposte, potenziali, responsabilità di un singolo nutriente. Prendersi la responsabilità per il proprio benessere è un po’ più faticoso che non demandarla a industrie, a governi, o al caso, ma funziona: e dà soddisfazioni grandissime.
Di seguito una tabella con il contenuto in fruttosio di vari alimenti. Come vedete, tranne poche eccezioni, i valori sono sempre modesti, risulta quindi molto difficile raggiungere quantità problematiche se ci si limita a consumare alimenti semplici e poco manipolati.
Alimenti | Quantità di Fruttosio per 100 g di prodotto | |
---|---|---|
Miele | 40.94 | g |
Datteri | 31.95 | g |
Uva secca | 29.68 | g |
Datteri secchi | 19.56 | g |
Prugne secche | 12.45 | g |
Uva | 8.13 | g |
Aceto balsamico | 7.38 | g |
Succo di melograno | 6.37 | g |
Pere | 6.23 | g |
Mele, senza buccia | 6.03 | g |
Mele, con la buccia | 5.9 | g |
Pomodoro in barattolo, senza sale | 5.85 | g |
Succo di mela, non zuccherato, senza aggiunta di vitamina c | 5.73 | g |
Cachi | 5.56 | g |
Prugne selvatiche | 5.47 | g |
Ciliege | 5.37 | g |
Mirtilli | 4.97 | g |
Banane | 4.85 | g |
Mango | 4.68 | g |
Kiwi | 4.35 | g |
Succo di ananas | 3.81 | g |
Papaya | 3.73 | g |
Cocomero | 3.36 | g |
Mirtilli selvatici | 3.35 | g |
Prugne | 3.07 | g |
Lamponi selvatici | 3.04 | g |